giovedì 27 dicembre 2012

UP

Ieri sera ho rivisto Up, lo davano in tv senza troppe interruzioni.

E come la prima volta mi è piaciuto un casino.
E come la prima volta mi sono emozionato un casino.
E come la prima volta sono stato contento di vederlo, osservarlo, ascoltarlo, finanche viverlo.
E un film completo, mi pare. E ci tengo a scrivere film e non cartone animato, e nemmeno mi piace chiamarlo film d’animazione, quale è.
Dentro c’è un sacco di roba. E ce n’è talmente tanta che la mia mente fulminata di certo non la ricorda tutta.
Per prima cosa è un film d’amore, checchesenedica racconta la storia d’amore di due persone che si sono trovate e che si sono incastrate e che tali resteranno anche quando una non ci sarà più.
E’ una fortissima storia d’amore, con quella ciliegina o cameo o come lo vogliamo chiamare fa uguale, delle parole di lei per lui che lui vede molto dopo “Grazie per l’avventura, ora va a viverne un’altra!!”. Perfetto!
Ci sono l’anziano e il ragazzino.
Ci sono la natura onesta e l’arroganza del grattacielo.
Ci sono il burbero e l’innocenza.
Ci sono l’animale e la natura da rispettare con la giusta distanza.
Ci sono l’ordine delle cose e il caos fatto ordine.
Ci sono il sogno da realizzare e il sogno realizzato.
Ci sono il miracolo da compiere e la fantasia che non ha limiti.
Ci sono la libertà di pensiero nel rispetto del proprio essere se stessi.
C’è il mito da sfatare, e ce ne sarebbe da raccontarne in merito ma qui meglio soprassedere.
Ci sono il rispetto delle regole e l’abituarsi al cambiamento.
C’è tutto e forse c’è niente.
Io ho trovato un po’ di me. Prima durante e dopo.
Mi è piaciuto e mi piacerà rivederlo.
…che a rivederle poi le robe prendono una forma diversa, un altro punto di vista, ma sempre da questa parte.
Beh, buona visione a tutti.

giovedì 20 dicembre 2012

Ma che feste!


Ipotizziamo che vostro figlio abbia otto anni. Ipotizziamo che frequenti la terza classe di quelle scuole che erano le elementari. 
Ipotizziamo che in classe siano in venti, giusto per fare un numero pari e meno difficile da gestire. 
Ipotizziamo che almeno due maestre seguano la loro istruzione, ma anche che tra l’ora di religione e alcuni sostegni e alcune compresenze potrebbero essere di più le maestre che frequentano l’aula, quindi si possa considerare una media di quattro. E fanno già ventiquattro. 
Ipotizziamo che per ogni bimbo appartenente alla classe possano assistere entrambi i genitori, ma che è possibile raramente quest’opzione dunque si possa considerare più veritiera la partecipazione di un genitore e mezzo per ogni bimbo, cioè a bimbi alterni possano essere presenti uno o due genitori. E fanno trenta adulti. E con la classe sommano cinquantaquattro persone. 
Però la recita di quindici minuti quindici ha per argomento il Natale, quindi è usanza mal celata presentarsi supermegacurati e soprattutto la teoria dei genitori va a farsi friggere quindi i genitori ci sono tutti, dunque sono da aggiungere dieci adulti. 
Totale sessantaquattro persone. Tutte dentro la classe. Sessantaquattro mine vaganti dove venti sono trottole impazzite dalle gote rosse e sorrisi smaglianti anche se un poco bucati. Sessantaquattro persone in circa venti metri quadri.
Mi sembrano abbastanza. Mi sembrano tanti. Mi sembrano troppi. Mi sembrano veramente troppo troppi.
Allora qualcuno me lo spiega perché qualcuno ha pensato bene di presentarsi con anche i nonni? 
E non solo i nonni di una parte ma anche i nonni di entrambe le parti. E’ possibile? 
Qualcuno lo sa il perché? 
E perché io non capisco certi perché?

Comunque alla fine la cosa importante si è avverata, i bambini sono stati bene, sono stati bravi, si sono divertiti, hanno avuto un dono, hanno sorriso, hanno abbracciato, ed hanno emozionato le anime adulte perdute nel mondo degli adulti. Quasi.

Bene, ora, buone feste recite a scuola a tutti. Prima o poi la smetteranno.

O è Natale tutti i giorni o non è Natale mai


Così, circa vent’anni fa, cantavano due ragazzi di belle speranze quali erano Luca e Lorenzo. Sulle note di More than words degli Extreme avevano appuntato un concetto molto profondo e piuttosto vero, ed erano pure riusciti a farci saltar fuori una bella canzone.
Loro con le loro esperienze e le loro origini diverse, ma uguali a pensarla allo stesso modo.
Loro che con calma raccontavano le robe brutte del mondo.
Loro che con le loro speranze cercavano di esprimere un pensiero vero.
Ed io già da allora stavo con loro. Ed io già la pensavo a quel modo, già da tempi non sospetti.
Come dire. Non ci credo. Non credo a queste feste che arriveranno.
Non credo sia corretto andare per la corrente che porta le persone a comportamenti a volte falsi a volte di circostanza a volte vili a volte menefreghisti.
Credo invece che per fare del bene al mondo non si debba aspettare un momento un giorno o un periodo particolare. Ci si dovrebbe comportare sempre per bene.
Fare bene al mondo fa bene al mondo. Questa è la verità.
È una disciplina da vivere tutti i giorni.
Vuol dire niente e vuol dire tutto. Vuol dire salutare col sorriso e educatamente e raccogliere la cartaccia sotto il portico, vuol dire parlare alle persone schiettamente senza filtri senza inganni e rispettare le regole del vivere insieme, vuol dire avere un occhio di riguardo per le persone in difficoltà e sperare nella vittoria dei più deboli, vuol dire cercare di vivere sereni senza pretese verso gli altri cercando le nostre forze, anche se crediamo che in quel posto non le abbiamo mai avute, vuol dire portare un regalo a un amico anche se non è il suo compleanno anche se non è natale anche se non è una ricorrenza, vuol dire regalare a un amico quello che vorresti fosse regalato a te. Vuol dire tutto e vuol dire niente.
Tutti gli anni quando arriva il periodo che sta per cominciare io mi sento un poco malinconico, forse triste. Poi però le persone che frequento, con cui parlo, con cui mangio, un poco di serenità, almeno per qualche ora, me la fanno ritornare. Giacché sarà l’Epifania che le feste porta via.
E dopo, quindi, sarà come prima, ci sarà sempre la vita da vivere, appieno.
Ecco che Natale dovrebbe essere sempre, non solo un giorno o quindici come avviene solitamente nel mondo.
Quindi la speranza è che ci siano sempre più persone a vivere i prossimi giorni felici sereni e veri come il resto dell’anno. So che ci sono, si devono seguire, con le giuste distanze poiché non siamo tutti uguali, e con le nostre proprie personalità.

Bene, ora, buone feste a tutti.

lunedì 10 dicembre 2012

La Crisalide (di Simona)


Recentemente ho letto robe a pc, in rete, dove in silenzio si possono conoscere notizie, leggere parole, osservare immagini, riflettere ragionamenti.
Ho trovato notizie di un mercatino della solidarietà legato alle avversità di questo mondo, eppure vedendo la parte migliore del mondo soprattutto legato alla bontà che certe persone riescono a donare senza chiedere nulla in cambio.
Ma in silenzio, sempre, quelle stesse persone hanno robe dentro da tremarci per davvero.
Ne ho parlato vagamente e velocemente con persone che pensavo conoscessero qualcosa in merito a quanto letto. Detto fatto, il caso che non è mai un caso mi ha proposto un libricino tutto tremolante, pieno di un racconto tutto d’un fiato.
E così è stato!
Letto senza batter ciglio. Letto senza alzare gli occhi dalla carta. Letto ogni tanto con un poco di ansia. Letto con gli occhi aperti. Letto con brividi sinceri. Letto con emozioni a fior di pelle. Letto col magone ingoiato alla fine delle pagine. Letto da accarezzarlo, annusarlo, tenerlo al petto.
Me lo sono fatto mio. Anche se non è mio.
L’ho reso, certo, ma è rimasto qui da me.
Sono certo sarà letto appieno.

Grazie a RB per questa rivelazione. Mi ha illuminato. Aperto gli occhi, spero di non chiuderli per un po’.

(spero di non aver arrecato danni all’autrice del racconto, al pensiero che voleva far sapere, al suo sfogo)

I grandi e i bambini


I grandi dicono le bugie ai bambini!
Non c’è dubbio. E il periodo che si sta apprestando a coinvolgere il mondo ne è la prova più palese.
I grandi dicono le bugie ai bimbi, apposta, e lo fanno apposta, e lo fanno sempre, sempre più spesso, e tendono a non cambiare metodologia, e sempre di più lo faranno.
Per proteggere, per vergogna, per viltà, per ignoranza, per limitare, per aiutare, per sostenere, per imbarazzo, per paura. Per un sacco di buoni teorici motivi.
I grandi dicono le bugie ai bambini, e non credo sia la cosa giusta.
Credo che non sia il contenuto che non è capito, eventualmente.
Tanto che se non viene afferrato, i bambini chiedono, loro hanno sempre pronto un perché a riempire il vuoto che sentono.
Credo che sia un problema di toni di modi di sguardi.
Tanto che se non vogliono sentire e ascoltare non c’è grido che funzioni, non c’è sguardo serioso che blocchi, non c’è mano forte che convinca.
Credo che i bambini abbiano ragione, che non sia colpa loro, e che i grandi siano colpevoli di un sacco di robe, e che i rimorsi e i rancori e i perché siano appoggiati sempre più spesso sulle spalle e sulla pelle dei più deboli.
Credo che raccontare la verità ai bambini sia la cosa più giusta che un grande possa fare nei loro confronti.
Credo che i bambini vogliano solo crescere come viene più spontaneo loro, con alcuni aiuti dalla giusta distanza. In fondo sono spugne desiderose di raccogliere acqua dalla vita.

I grandi dicono le bugie ai bambini, ed è ora di smetterla!

(che altrimenti poi le persone come me ci credono sempre)

lunedì 3 dicembre 2012

Buon Compleanno, Ste!


L’idea era nata balzana all’invito “Ti va una fagiolata?”.
Seguita prontamente da un “Sì, però poi io dopocena voglio le patatine fritte quelle dentro il sacco grande”.
Dunque per dopo cena era previsto il divano sotto al culo e il dvd del primo Trinità alla tv.
Seguito poi da una proposta da ragazzini “Poi puoi dormire da me, se vuoi, così non guidi e non si rischiano ancora i punti e le multe e i pericoli e le condanne e”
Conclusione degli accordi di massima, immediati, “Ci sto, allora porto due bocce di bianco e una di rosso, tanto poi nessuno deve guidare”.
E la serata è proprio servita, è bastato solo che arrivasse il giorno, venerdì, accordato.
E pensare, solo il giorno prima, che il giorno dopo, sabato, sarebbe stato il suo compleanno.
Quale occasione migliore per sorprenderlo?
(ndr: proprio come piace fare a me; non dire mai niente a nessuno e presentare una roba nel tentativo di sorprendere positivamente una persona cara)
Perciò, da bravo oste, a parte il vino come premesso, mi sono indaffarato ai fornelli, come piace fare a me, anche stavolta.
I miei fagioli, dicono all’uccellina o uccelletta o ma io li chiamo i miei fagioli borlotti, trattati con olio aglio prezzemolo fine dado passato di pomodoro acqua, e cucchiaio di legno moderato ma mai assente (i miei fagioli sono coccolati), sono stati preparati come non mai, peraltro lasciandoli leggermente più “diluiti” così da costringere gli avventori all’utilizzo di pane da scarpetta. Checchesenedica!
Il caso, (?ma non esiste il caso in certe robe?), ha fatto si che fossero mescolati a piccoli dadini di salsiccia cotta bene e a piccoli tocchi di pollo allo spiedo (giusto per non sprecare nulla in frigo).
Poi, chi meglio di un amico poteva fare da cavia alla prima cottura di un cibo?
Ecco che, come ascoltato recentemente, il piatto è stato completato dallo spiedo di filetto di suino con pancetta come sciarpa e cipolla come coperta.


Non c’è che dire, s’è passata una bella serata, fatta di vino, bianco per lui rosso per me, e di buon mangiare. Dopo di schifezze fritte e frutta secca mista salata. Niente acqua. Tante parole, buoni pensieri. Un po’ di allegria e un po’ di ubriachezza. Vecchie risate al “Ehi elegantone?”, “Dice a lei senor…”, “Era dai tempi dell’esondazione del Pecos… è l’ultimo pezzo di sapone…”, e così via.
A mezzanotte e cinque la sveglia è suonata.
E la serata si è conclusa nel migliore dei modi.



Peccato solo che lui sia del 1963, ed io ero ubriaco di pensieri già da qualche giorno.
Ma pazienza e chissenefrega, in fondo non si dice che è il pensiero che conta?

Ciao Ste, sono stato bene, davvero. Grazie. 

(vorrei ringraziare I S per l'idea delle immagini e del mostrarsi al mondo)

venerdì 30 novembre 2012

Prima boa nel ricordo


Era ieri.
Era ieri sei mesi fa.
Mezzo anno.
Un’eternità con un numero a una cifra.
Ci penso. Ci penso spesso.
Un passo, forse, è già pensarci.
Forse, conoscendolo, riesco ad affrontarlo.

Lo sento, non c’è dubbio, lo ammetto.
Eppure mi ha quasi solo sfiorato.
Eppure mi ha toccato, dentro.
Prima o poi qualcosa guarirà.
Intano, domani, muoveremo altri passi, sempre avanti, senza dimenticare.

Un pensiero, lieve, presente, leggero, palpabile.

giovedì 29 novembre 2012

Si cambierà mai?


Qualche giorno fa ho ascoltato il racconto di una storiella, lieve, ingenua forse.
Alla fine del racconto l’ho sentita, forte.
E’ la storia dello scorpione e della rana.
E racconta di certi perché.
Un giorno lo scorpione ebbe necessità di passare dalla parte opposta, aveva bisogno di attraversare lo stagno, e non sapendo come fare in quanto incapace di nuotare chiese aiuto a una rana. Disse:
“Ciao rana, avrei bisogno di te. Devo andare di là dallo stagno, potresti accompagnarmi?, potrei salirti sulle spalle…”
“Certo che no!”, rispose la rana.
“E perché mai mi rispondi così? In questo modo così deciso…”
“Perché tu sei uno scorpione, se ti carico sulle spalle poi mi pungi e io muoio!”
“Ti prometto che non lo farò, io voglio andare di là, solo questo”
Convinta la rana raccolse sulle spalle lo scorpione e cominciarono l’attraversata assieme, in compagnia.
A metà dello stagno, però, lo scorpione punse la rana…
“Perché lo hai fatto?! Perché?!”, chiese la rana già dolorante.
“Perché mi hai punto?! Ora moriremo entrambi, io della tua puntura e tu di annegamento!”
Glaciale e serio come non mai lo scorpione rispose:
“Perché sono uno scorpione, non ci posso fare niente, sono fatto così”

Un saluto a tutti quelli che riescono a cambiare, e a quelli che li credono cambiati.
Un abbraccio a chi rimane se stesso, e lo ammette a sé prima che agli altri.

L’umanità riuscirà mai a cambiare per non morire di sé stessa?

martedì 6 novembre 2012

Quanta voglia avrei di correre ancora un po’…


Matt vuole correre perché ne ha voglia!
Matt deve correre due giri.
Matt vuole correre con i suoi compagni.
Matt deve fare come i compagni, parte come loro, corre come loro.
Matt corre da solo il secondo giro, ma non è da solo, non lo è mai stato, e mai lo sarà.
Matt è tutti noi messi assieme, e molto di più.
Matt è forte, molto più di noi.
Matt sarà sempre davanti a tutti noi.
Matt è grande, ed io mi sento lontano.

Bravo Matt, corri sempre, corri sempre come vuoi, come puoi.
E grazie, grazie davvero della tua enorme semplicità, e vuole essere un complimento grande quanto te.


Matt e la sua grande corsa


(Ringrazio chi ha postato sul web quello che ho trovato e che ho linkato, spero di non aver leso nessuno)

domenica 4 novembre 2012

Prime foto del mostro


Ho cercato di affrontarlo appena ne ho avuta la possibilità, proprio come ho imparato due anni fa ascoltando bene certe canzoni di un certo Lui.
In realtà ho approfittato di un giro fuori dalle solite tracce e mi sono preso una buona mezz’ora abbondante solo per me, troppo poco per realizzare tutto quello nella mente.
E troppo poche queste righe per esprimere quello che mi gira qui dentro, ed anche un po’ fuori.
Dunque mi sono incamminato sulla mia strada, per alcune che conosco e per altre che mai avevo percorso. Fotocamera alla mano, ho cercato di bloccare in un clic una sensazione, lieve ma pesante, di quanto andavo incontro, sempre con tanto rispetto, e in rigoroso silenzio.
Appena raggiunto il lungo viale della stazione ferroviaria mi sono sentito inseguito, non so da chi o da cosa, ma non mi sono sentito esattamente solo. Sì certo, a quell’ora del mezzo pomeriggio c’era gente in giro, ma non erano quelle poche persone a inseguirmi.
Ho visto come un luogo di fonte di energia e chiasso e giochi e sorrisi e prime esperienze possa essere male percepito quando avvolto e ricoperto da tutte quelle foglie che l’autunno ha voluto donargli.


Ho osservato come la porta che da sempre mi ha dato il benvenuto sia diversa da quella che sbadatamente osservavo in passato, e purtroppo l’ho notata storta, in bilico, non in bolla. E si sa bene che se uno non è in bolla è meglio che lo si lasci stare...



Ho scrutato le strade che nel poco tempo a disposizione ho potuto percorrere, piccoli angoli di vita che si riprende.



Ferite ancora aperte ancora troppo grandi, forse.
Nel mezzo delle strette vie ho ascoltato molto volentieri i rumori di piccoli lavori in corso, mazzuole battute su scalpelli a togliere le ferite e certi dolori.


Sotto portici limitati ho felicemente rivisto botteghe, anche se ancora vuote ma pronte a riprendersi.



Ho camminato quasi sulla piazza, limitato solo dalle transenne.
E mi sentivo ancora inseguito.
Peccato non poter assaporare ancora una volta il caffè al bar del teatro.







Sono passato dalla parte di là, dove andavo sempre poco, a parte rare occasioni recenti.
E di là mi si è fermato il cuore, almeno per un po’.


Poi rientro veloce, sempre con lo sguardo all’insù, sempre a osservare ogni ombra, ogni angolo davanti a me.


Ho letto una scritta rossoblù in uno striscione che sembra da ultrà, e credo e spero nel senso non violento del termine (il quale, in effetti, violento non è, sono le persone che ne danno eventualmente vita ad esserlo), e molto volentieri la riporto, ed è tutta roba loro: “Orgogliosi delle nostre tradizioni, fieri della nostra storia, per amore della nostra terra!!! Forza Emilia!!!”.
Forse esposto a Bologna in giugno o a Reggio Emilia in settembre.
Mi guardo un po’ attorno, sento passi dietro di me, ma i carabinieri sono fermi nella loro posizione, ci sono alcune auto che girano lente sulle vie più lontane verso il supermercato, ma quelle non muovono passi.
Non sono solo qui su queste vie in questi miei passi, non sono solo e lo so bene, sono alcuni mesi che lo so.
Alla fine, torno da dove sono venuto, verso la meta reale di questo pomeriggio uggioso anche se stranamente assolato.
Alla fine torno allo stadio dove i miracoli si avverano, spensierati e ignari di tutto quello attorno.


Alla fine, dall’alto della tribuna ho visto quei passi di pochi momenti prima, fermi immobili nei fantasmi delle tende che fino a pochi mesi fa facevano da casa.


E lui, il mostro, muovere passi spero lontano.
Ciao Creva, come ti chiamo da qua, torna te stessa come sei sempre stata.

Io, il lampadario, e quel soprammobile, li osservo ancora spesso.

mercoledì 31 ottobre 2012

Le monete e il loro suono in tasca


Qualche sera fa ero seduto al bar con pochi amici. Più che bar è pub e ritrovo. Più che amici erano anche persone, e a una certa ora non erano nemmeno poche.
Si parlava di sport, come da bar.
Si parlava di traffico, come da bar.
Si parlava di donne trovate, come da bar.
Si parlava di donne perse, come da non bar.
Si parlava di politica, quasi, e male, come da bar.
I toni erano aspri, parole accese da paure, angosce buttate sul bancone e sui tavoli delle birre.
Gli sguardi non erano contenti, nemmeno sereni.
Si parlava di economia, ma non quella dei colletti bianchi o degli affaristi o di chi ne so.
Si parlava dei conti da fare tornare. Ogni mese. Ogni giorno.
Si parlava di scontrini sempre meno numerosi, sempre più corti.
Si parlava di soldi da contare nelle tasche, sulle dita.
Si era concluso che il suono delle monete in tasca, in fondo, ti strappa un sorriso.
Lieve e ottimista.
Eravamo comunque usciti dal locale con la speranza ancora accesa, nonostante il buio della notte i nostri occhi vedevano ancora una luce.
Forza ragazzi, rimaniamo in giro a modo nostro.

lunedì 29 ottobre 2012

Pollino, così lontano così vicino


A voi che sentite i brividi di un inconscio indesiderato.
A voi che vivete momenti per nulla invidiabili.
A voi che oggi come ieri avete pensieri pesanti sulle spalle.
A voi che domani potreste vivere fuori dalle mura di casa.
A voi che avete crepe e linee confuse attorno a voi.
A voi che guardate la cima della vostra terra traballare come non vorreste.
A voi che guardate il tempo trascorrere e le idee confondersi.
A voi che state tremando con i piedi non più saldi sulla vostra terra.
A voi che non siete così soli come spero non lo pensiate mai nemmeno per un momento.
A voi che spero tenete botta ancora un po’, che per riposarsi ci sarà tempo.
A voi che spero restate ancora in giro per un altro po’.
A voi che certamente lotterete sempre per la vostra verità.
A voi che camminerete ancora e sempre per le vostre strade con l’orgoglio che serve.
A voi che siete così lontani eppure così vicini.
Un saluto, di cuore, coi pensieri e con le sensazioni e con le idee e.
Tenete botta per davvero! Mi raccomando…

martedì 23 ottobre 2012

La sua voce, le loro voci


Avete mai osservato dormire un bambino?
Avete mai guardato bene i suoi lineamenti sereni?
Avete mai scrutato i suoi pensieri muoversi sotto le palpebre chiuse dal sogno?
Avete mai sorriso emozionati dal suo riposare dopo una giornata piena di giochi o impegni sempre più importanti?
Spero di sì, fosse anche non il vostro, fosse anche vostro nipote, o l’amichetto dell’asilo o della scuola.
Avete mai ascoltato il suono penetrante delle parole di un bambino?
Avete mai sentito chiamare “mamma”? Magari da lontano, oppure distrattamente.
Avete mai origliato i discorsi dei bambini mentre giocano con le loro nuvole e i loro pensieri concreti?
Avete mai seguito il ragionamento del bambino che giustifica una marachella?
Spero di sì, fosse anche solo per condurlo in giro per il mondo.
Avete mai assistito allo sconforto di un bambino perso per il mondo alla ricerca della mamma o del papà?
Avete mai aiutato un bambino a capire quello che ha davanti? Quello che ha in mano?
Avete mai accompagnato un bambino mantenendo la debita distanza?
Avete mai sentito sulla vostra pelle l’energia di un bambino e nelle ossa le sue fragilità e nell’animo il suo candore?
Credo che i bambini siano miracoli preziosi da non offendere, e credo che gli adulti abbiano per lo più la coscienza almeno da rivedere.
E spero che i bimbi di oggi saranno adulti migliori di alcuni che ora vedo per il mondo.
La sua voce, le loro voci, suono di miracoli che si avverano. E’ una certezza.

domenica 21 ottobre 2012

Io c'ero, noi c'eravamo, ed eravamo tantissimi


Cavolo è già passato un mese, quasi.
Avevo passato tutta l’estate in attesa del suo momento che quasi non credo ancora sia capitato sul serio.
Avevo atteso quelle quattro ore nella speranza di fare qualcosa di buono, e di bene, per una terra che sembra davvero di tutti. Ora. Chissà domani.
Avevo quasi contato ogni giorno che mi separava dalla data di acquisto, immediata e senza troppi indugi, alla data dell’avvenimento.
C’ero, c’eravamo, tantissimi.
Più di centocinquantamila persone sono sei volte il mio borgo, e sono tre volte la grassa e la dotta.
Sono una marea di volti unici, visi sorridenti e inquieti, mani e braccia al cielo, circondanti sconoscenti, occhi emozionati sinceri, battute a sdrammatizzare, sono corpi e anime a coprire un campo a perdita d’occhio.
Mentre il sole tramontava sopra i tetti e le ombre si allungavano nella direzione giusta, quando camminando verso il campo abbiamo oltrepassato la strada ferrata di Reggio, il mio entusiasmo si era sospeso nella mia tipica paresi ebete del sorriso del bambino davanti alla giostra.
Le gambe avrebbero voluto correre lungo la discesa che portava all’entrata a rischio di franare sui passi incerti di uno sguardo sull’orizzonte a est.
La compagnia meco mi ha impedito di essere del tutto me stesso, ma pazienza, ci ho provato lo stesso. Dunque ho fatto da apripista e mi sono messo all’alfa della nostra piccola compagnia pellegrina verso il campo volo. L’enorme tornello di rete all’apparenza da gabbia ha solo rimandato e allungato l’attesa per lo strappo del biglietto.
E via, finalmente dentro.
Quel posto, ormai, quella lingua di asfalto all’uso di pista, ormai, quella luce della sera, ormai, dallo scorso anno e da un mitico sabato di mezza estate sono miei, come sono di altre almeno centoquindicimila persone.
Abbondanti chiacchiere spensierate dopo l’ingresso nell’attesa di un altro piccolo branco, forse il più selvaggio, e molte colorite osservazioni nei riguardi di tante persone.
S’è ascoltato ogni tipo di dialetto, s’è osservato ogni tipo di età, ogni tipo di indumento.
S’è osservato gruppi di ragazzi spensierati a vivere quel concerto come fosse uno qualsiasi, almeno all’apparenza.
S’è visto persone di una certa età tenersi ancora per mano e guardare con occhi fiduciosi ai giorni che saranno.
S’è controllato che le persone minorenni, molto minorenni, fossero accuratamente accompagnate da persone adulte, almeno all’apparenza.
S’è visto intere famiglie accovacciate in splendidi picnic.
S’è appurata l’incredulità negli occhi di chi una roba del genere non se l’era mai immaginata nemmeno nei sogni. Eppure i sogni, ogni tanto quelli si avverano. Come i miracoli.
S’è fatta merenda, o cena, quando ormai l’imbrunire era tra noi e i mega schermi ma alla vista piccini piccini erano già molto accesi.
S’è cantato e ballato e commentato e sorriso e guardato e goduto e saltato e pensato e osservato e pianto e urlato e, proprio mentre quei tredici giganti esprimevano i loro versi e le loro poesie e le loro musiche, le loro opinioni e i loro volti e le loro voci.
Bella roba, davvero, quattro ore mica da ridere. Tutt’altro.
Alla fine anche il palo dell’illuminazione di sicurezza rimasto acceso tutto il tempo dritto in faccia ha avuto il suo perché, ed ha dato fastidio solo ai più pignoli.
Alla fine il fragore dell’evento si è spento nel buio della notte e nei passi infiniti di molteplici genti.
Attorno a me era un mare di silenzi e di riflessioni, almeno all’apparenza.
Attorno a me erano passi a perdita d’occhio dove non si capiva l’inizio e non si vedeva la fine.
Roba da esodo, moderno ovviamente.
Il giorno dopo era la vita a continuare il concerto appena terminato.
Il giorno dopo era la crepa invisibile a farsi sentire.
Il giorno dopo era la notte nella tua casa a farti dormire poco.
Il giorno dopo era ancora a osservare il soprammobile e il lampadario.
Il giorno dopo era ancora che non è passata.
Il giorno dopo era che non è bastato e forse non basterà mai, che qualcosa di così dentro fatica a venire fuori e uscire e scappare perché ormai sai che è lì, e.
Il giorno dopo era domani, esattamente un mese dopo.
Ci sono, ci siamo, e siamo tantissimi.
E sempre ci saremo, non all’apparenza ma senz'altro nella sostanza di questa terra martoriata ma mai vinta.
Teniamo botta. E rimaniamo in giro.


lunedì 1 ottobre 2012

La democrazia, che bella roba


Il mio voto vale quanto il tuo...
E’ questa la conclusione di una cordiale chiacchierata con un amico.
Quasi uno sproloquio da bar, ma senza il bancone del bar e con tante mani sulla testa, respiri profondi, e sguardi a vedere qualcosa di inesistente laggiù in fondo dove non esiste più nulla.
Purtroppo, il mio voto vale quanto il suo, e alla fine, proprio questo è la democrazia.
Quindi, alla fine, sempre, il voto che ha portato avanti una persona per bene pesa uguale al voto che ha portato avanti una persona per male.
Alla fine, è corretto così.
La democrazia è un sacco di robe, compresi dei pregi, qualcuno dice anche dei difetti, ma è questo, tutto, e forse è niente.
La verità, dicono, sta sempre nel mezzo.
La verità è che c’è un sacco di gente che ha pelo sullo stomaco, ha fegato, ha menefreghismo, ha ignobiltà, ha volgarità, ha faccia tosta, c’è gente che riesce a dormire la notte.
La verità è che c’è un sacco di gente per bene, che riflette, che domanda, che pensa al bene comune, che valuta non per se ma per tutti.
La verità è che basterebbe fare la cosa giusta. Come nei film.
E la speranza è che almeno ogni tanto si possa vivere della vita come nei film, ma è come sognare, forse, e al risveglio c’è la realtà da vivere.
Quindi, sono stanco di raccontare alle persone qual è il mio punto di vista.
Ma non smetterò di raccontarlo. Non smetterò di domandare. Non smetterò di attendere risposte.
Bene, vedremo, non a caso, e a riuscirci.