domenica 4 novembre 2012

Prime foto del mostro


Ho cercato di affrontarlo appena ne ho avuta la possibilità, proprio come ho imparato due anni fa ascoltando bene certe canzoni di un certo Lui.
In realtà ho approfittato di un giro fuori dalle solite tracce e mi sono preso una buona mezz’ora abbondante solo per me, troppo poco per realizzare tutto quello nella mente.
E troppo poche queste righe per esprimere quello che mi gira qui dentro, ed anche un po’ fuori.
Dunque mi sono incamminato sulla mia strada, per alcune che conosco e per altre che mai avevo percorso. Fotocamera alla mano, ho cercato di bloccare in un clic una sensazione, lieve ma pesante, di quanto andavo incontro, sempre con tanto rispetto, e in rigoroso silenzio.
Appena raggiunto il lungo viale della stazione ferroviaria mi sono sentito inseguito, non so da chi o da cosa, ma non mi sono sentito esattamente solo. Sì certo, a quell’ora del mezzo pomeriggio c’era gente in giro, ma non erano quelle poche persone a inseguirmi.
Ho visto come un luogo di fonte di energia e chiasso e giochi e sorrisi e prime esperienze possa essere male percepito quando avvolto e ricoperto da tutte quelle foglie che l’autunno ha voluto donargli.


Ho osservato come la porta che da sempre mi ha dato il benvenuto sia diversa da quella che sbadatamente osservavo in passato, e purtroppo l’ho notata storta, in bilico, non in bolla. E si sa bene che se uno non è in bolla è meglio che lo si lasci stare...



Ho scrutato le strade che nel poco tempo a disposizione ho potuto percorrere, piccoli angoli di vita che si riprende.



Ferite ancora aperte ancora troppo grandi, forse.
Nel mezzo delle strette vie ho ascoltato molto volentieri i rumori di piccoli lavori in corso, mazzuole battute su scalpelli a togliere le ferite e certi dolori.


Sotto portici limitati ho felicemente rivisto botteghe, anche se ancora vuote ma pronte a riprendersi.



Ho camminato quasi sulla piazza, limitato solo dalle transenne.
E mi sentivo ancora inseguito.
Peccato non poter assaporare ancora una volta il caffè al bar del teatro.







Sono passato dalla parte di là, dove andavo sempre poco, a parte rare occasioni recenti.
E di là mi si è fermato il cuore, almeno per un po’.


Poi rientro veloce, sempre con lo sguardo all’insù, sempre a osservare ogni ombra, ogni angolo davanti a me.


Ho letto una scritta rossoblù in uno striscione che sembra da ultrà, e credo e spero nel senso non violento del termine (il quale, in effetti, violento non è, sono le persone che ne danno eventualmente vita ad esserlo), e molto volentieri la riporto, ed è tutta roba loro: “Orgogliosi delle nostre tradizioni, fieri della nostra storia, per amore della nostra terra!!! Forza Emilia!!!”.
Forse esposto a Bologna in giugno o a Reggio Emilia in settembre.
Mi guardo un po’ attorno, sento passi dietro di me, ma i carabinieri sono fermi nella loro posizione, ci sono alcune auto che girano lente sulle vie più lontane verso il supermercato, ma quelle non muovono passi.
Non sono solo qui su queste vie in questi miei passi, non sono solo e lo so bene, sono alcuni mesi che lo so.
Alla fine, torno da dove sono venuto, verso la meta reale di questo pomeriggio uggioso anche se stranamente assolato.
Alla fine torno allo stadio dove i miracoli si avverano, spensierati e ignari di tutto quello attorno.


Alla fine, dall’alto della tribuna ho visto quei passi di pochi momenti prima, fermi immobili nei fantasmi delle tende che fino a pochi mesi fa facevano da casa.


E lui, il mostro, muovere passi spero lontano.
Ciao Creva, come ti chiamo da qua, torna te stessa come sei sempre stata.

Io, il lampadario, e quel soprammobile, li osservo ancora spesso.

2 commenti:

  1. Non pensavo che le stesse immagini che ho anch'io in tante carpette nel PC potessero farmi piangere...le parole che accompagnano queste sono troppo intensamente descrittive di quel mostro che ci sta alle spalle, e non sappiamo se ci aggredirà ancora!

    Grazie!!!

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  2. Sono contento quando le mie parole stimolano l’emozione.
    Poi, in realtà, mi dispiace che portino a un pianto.
    Anche se, a dire il vero, ho l’illusione che questo pianto sia un minimo liberatorio, e se non fosse esattamente liberatorio, spero almeno sia stato utile per guardarlo, quel mostro.
    Dal momento che forse non se ne andrà mai via del tutto, se non fuori chissà dentro, almeno s’è cominciato a guardarlo in faccia, s’inizia sempre da lì, a guardare le cose per come sono, s’è cominciato ad affrontarlo, iniziando ad elaborare un dolore che è presente, anche se forse non lo si ammette del tutto.
    La speranza, un giorno, è di riuscire a dire arrivederci, e passare oltre e continuare a camminare come si vuole.

    Grazie a te per leggere giustamente quello che provo a esprimere.
    Le sento come belle soddisfazioni.

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