domenica 21 ottobre 2012

Io c'ero, noi c'eravamo, ed eravamo tantissimi


Cavolo è già passato un mese, quasi.
Avevo passato tutta l’estate in attesa del suo momento che quasi non credo ancora sia capitato sul serio.
Avevo atteso quelle quattro ore nella speranza di fare qualcosa di buono, e di bene, per una terra che sembra davvero di tutti. Ora. Chissà domani.
Avevo quasi contato ogni giorno che mi separava dalla data di acquisto, immediata e senza troppi indugi, alla data dell’avvenimento.
C’ero, c’eravamo, tantissimi.
Più di centocinquantamila persone sono sei volte il mio borgo, e sono tre volte la grassa e la dotta.
Sono una marea di volti unici, visi sorridenti e inquieti, mani e braccia al cielo, circondanti sconoscenti, occhi emozionati sinceri, battute a sdrammatizzare, sono corpi e anime a coprire un campo a perdita d’occhio.
Mentre il sole tramontava sopra i tetti e le ombre si allungavano nella direzione giusta, quando camminando verso il campo abbiamo oltrepassato la strada ferrata di Reggio, il mio entusiasmo si era sospeso nella mia tipica paresi ebete del sorriso del bambino davanti alla giostra.
Le gambe avrebbero voluto correre lungo la discesa che portava all’entrata a rischio di franare sui passi incerti di uno sguardo sull’orizzonte a est.
La compagnia meco mi ha impedito di essere del tutto me stesso, ma pazienza, ci ho provato lo stesso. Dunque ho fatto da apripista e mi sono messo all’alfa della nostra piccola compagnia pellegrina verso il campo volo. L’enorme tornello di rete all’apparenza da gabbia ha solo rimandato e allungato l’attesa per lo strappo del biglietto.
E via, finalmente dentro.
Quel posto, ormai, quella lingua di asfalto all’uso di pista, ormai, quella luce della sera, ormai, dallo scorso anno e da un mitico sabato di mezza estate sono miei, come sono di altre almeno centoquindicimila persone.
Abbondanti chiacchiere spensierate dopo l’ingresso nell’attesa di un altro piccolo branco, forse il più selvaggio, e molte colorite osservazioni nei riguardi di tante persone.
S’è ascoltato ogni tipo di dialetto, s’è osservato ogni tipo di età, ogni tipo di indumento.
S’è osservato gruppi di ragazzi spensierati a vivere quel concerto come fosse uno qualsiasi, almeno all’apparenza.
S’è visto persone di una certa età tenersi ancora per mano e guardare con occhi fiduciosi ai giorni che saranno.
S’è controllato che le persone minorenni, molto minorenni, fossero accuratamente accompagnate da persone adulte, almeno all’apparenza.
S’è visto intere famiglie accovacciate in splendidi picnic.
S’è appurata l’incredulità negli occhi di chi una roba del genere non se l’era mai immaginata nemmeno nei sogni. Eppure i sogni, ogni tanto quelli si avverano. Come i miracoli.
S’è fatta merenda, o cena, quando ormai l’imbrunire era tra noi e i mega schermi ma alla vista piccini piccini erano già molto accesi.
S’è cantato e ballato e commentato e sorriso e guardato e goduto e saltato e pensato e osservato e pianto e urlato e, proprio mentre quei tredici giganti esprimevano i loro versi e le loro poesie e le loro musiche, le loro opinioni e i loro volti e le loro voci.
Bella roba, davvero, quattro ore mica da ridere. Tutt’altro.
Alla fine anche il palo dell’illuminazione di sicurezza rimasto acceso tutto il tempo dritto in faccia ha avuto il suo perché, ed ha dato fastidio solo ai più pignoli.
Alla fine il fragore dell’evento si è spento nel buio della notte e nei passi infiniti di molteplici genti.
Attorno a me era un mare di silenzi e di riflessioni, almeno all’apparenza.
Attorno a me erano passi a perdita d’occhio dove non si capiva l’inizio e non si vedeva la fine.
Roba da esodo, moderno ovviamente.
Il giorno dopo era la vita a continuare il concerto appena terminato.
Il giorno dopo era la crepa invisibile a farsi sentire.
Il giorno dopo era la notte nella tua casa a farti dormire poco.
Il giorno dopo era ancora a osservare il soprammobile e il lampadario.
Il giorno dopo era ancora che non è passata.
Il giorno dopo era che non è bastato e forse non basterà mai, che qualcosa di così dentro fatica a venire fuori e uscire e scappare perché ormai sai che è lì, e.
Il giorno dopo era domani, esattamente un mese dopo.
Ci sono, ci siamo, e siamo tantissimi.
E sempre ci saremo, non all’apparenza ma senz'altro nella sostanza di questa terra martoriata ma mai vinta.
Teniamo botta. E rimaniamo in giro.


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