venerdì 3 maggio 2013

…che freddo che fa!


Correva, anzi scorreva, e molto velocemente, lo scorso dicembre.
Da un’amicizia mi era arrivata la segnalazione di una roba della serie perché non provarci non c’è nulla da perdere. E poi prima o poi si dovrà pure cominciare.
Quindi, allo scadere, quasi come Cesarini, mi sono ben deciso a mettere nero su bianco l’idea che mi era nata alla lettura del tema. Leggendo Una mano tira l’altra mi era proprio giunta in mente la foto di uno scoglio, del vento, delle luci della notte, del freddo e delle dita di lei intrecciate alle dita di lui. O qualcosa del genere.
Ammetto che arrivando a scrivere con un attimo di ansia, lavorativa o dalle feste già cominciate non so, mi sono dedicato con poca abnegazione, o passione, alla stesura delle parole a corollario della foto.
Non ho riletto bene, non ho riletto coi miei tempi, non ho dedicato a me stesso il tempo che mi dovevo.
Non mi sono aperto per bene. Sono rimasto troppo in me, da me.
Ed il risultato, in effetti, si è visto.
Come un bel cinque senza attenuanti col tema libero. Non ha scusanti.

Eccole allora. La foto, o una serie di, e le didascalie, o parole scritte senza umiltà, come dice Elisa.
(Solo qualche a capo in più)


Fa freddo. Fa un sacco freddo. Sia dentro che fuori.
Qui sulla spiaggia in questa sera di fine novembre l’autunno è arrivato ormai prepotente, le ultime giornate di sole sorridente ormai un ricordo.
E’ umido. C’è vento. Le spalle sono strette in un abbraccio difficile da reggere.
La luna è un disco bianco all’orizzonte e il suo riflesso rimbalza sul mare increspato e la coglie in pieno volto.
E’ sola. Sola come non mai. Ed è dispiaciuta.
E’ triste in una solitudine fredda al sapor di malanno. Come quei malesseri che nessun dottore riesce a capire cos’è, che nessuna medicina riesce mai a curare, che c’è solo l’animo e nient’altro.
La brezza marina ghiaccia la pelle delle guance rimaste in balia degli schiaffi di questo momento inquieto.
Lacrime scendono dagli occhi e le rigano il viso, non si conosce se per il freddo di fuori o e se per quello da dentro.
Alice guarda le onde del mare infrangersi sugli scogli che non sono mai stati così vicini.
Alice ama questo posto, questo angolo di mondo lontano dal mondo, questo angolo del mare che da sempre vive quando vuole tenersi un attimo per sé.
Alice è solita recarsi al mare anche fuori stagione, come stasera, quando tutti gli schiamazzi estivi di ferie da branco sono ben lontani, quando sono poche le persone a calpestare la sabbia della battigia.
Alice è solita prendersi questi momenti per salutare il mare a modo suo.
Quest’anno Alice non sta bene come altre volte negli anni passati.
Quest’anno Alice vuole salutare il mare da vicino, da molto vicino. Le sono accadute robe che sente pesanti.
Quest’anno Alice vorrebbe salire fin sugli scogli per salutare il mare, quegli scogli che ora sono a pochi passi. Sente robe sulle spalle che le affliggono i pensieri.
Gli anni scorsi partiva sorridente da quella bassa che vive i suoi giorni, prendeva il suo libro, il suo quaderno, la sua musica. L’auto accesa diventava la sua stanza, e come sola nella stanza se ne andava verso il mare lungo l’autostrada o per le vie più basse più antiche, fuori e dentro gli autogrill, fuori e dentro i borghi.
Gli anni scorsi comunicava con gioia il suo saluto al mare alle amiche e agli amici, intendendo loro come possibili compagni di viaggio, non avrebbero disturbato, tutt’altro, avrebbero arricchito l’esperienza con le loro parole e con loro se stessi. Mai nessuno aveva però accompagnato questo suo giretto al mare. Non se ne è mai curata tanto della loro apparente indifferenza, ha sempre lasciato libera scelta ad ognuno di loro, non ha mai voluto costringere nessuno.
Normalmente affrontava il viaggio in orari un po’ strani, spesso di sera anche se non ha disdegnato occasionali albe in spiaggia, raccogliendo le prime luci del sole, raccogliendo i primi rumori del mondo.
Il viaggio serale era solitamente accompagnato da piada da birra media da caffè e da pajana, e da birra in bottiglia da portare in riva al mare.
Arrivava poi alla pineta che ben conosce, affrontava il vialetto buio rischiarato dalle palle arancioni di calde illuminazioni, calpestava vogliosa la sabbia e gli aghi di pino, e sbucava così sul retro dei bagni serrati per stagione di chiusura. Percorreva il passaggio pedonale che li collega uno a uno fino ad arrivare all’ultimo in fondo vicino al canale dalla parte sud di quella parte di paese.
Da quel punto poteva vedere bene da dove veniva e il dove voleva andare, ma non aveva mai attraversato quel ponticello in legno che porta di là, dove si trovano gli scogli nei pressi del porto, dove dal porto partivano barche dove lei si immaginava salita. Si arrampicava lemme sui cumuli di sabbia atti al riparo delle strutture dei bar, e si girava su sé stessa.
Guardava avanti verso il mare e girava lo sguardo di qua e di là, verso la pineta di dietro e verso il mare davanti. Scrutava le luci delle barche verso la linea dell’orizzonte laggiù in mezzo al mare, e osservava i lumi delle barche ancora vicine dentro al porto. Fiutava l’aria salmastra piena di tutto ciò che porta il mare, le era sembrato spesso di intuire nell’aria le cozze o le vongole, o gli scampi e i granchi, o i pesci d’altura o quelli piccolini del bagnasciuga.
Presa posizione in un punto mai uguale al precedente apriva la birra a strappo e sorseggiava il biondo elisir, piccoli sorsi pieni di ricordi. Ricordava gli amici e ogni assaggio era una dedica a loro, un brindisi alla salute e all’amicizia.
Ogni sorsata era un ricordo degli avvenimenti dei mesi precedenti.
Ricordava quella volta alla festa di compleanno quel ragazzo come si parlava bene insieme.
Ricordava quella volta al lavoro come si era trovata bene con quei colleghi.
Ricordava quella volta che al campo si era sentita come un’eroina da imitare.
Ricordava quella volta che beveva caffè al bar in compagnia di amici.
Ricordava come era stato bello ed entusiasmante conosce quel ragazzo così simile a lei, simile ma diverso, simile da intendersi, simile ma suo come lei sua, simile che non è mai un caso.
Sorrideva, cavolo se sorrideva, sola con la brezza sorrideva a una vita che vedeva girare tra alti e bassi ma con tante robe da affrontare al meglio.
Sorrideva di una carica che sentiva dentro.
Sorrideva di una forza inaspettata che capiva e conosceva solo lei.
Stasera Alice si sente diversa. Non è sulla duna davanti al bar della spiaggia. E’ sugli scogli nei pressi del porto.
Stasera Alice si sente strana. Non ha voluto mangiare la piada del suo piadinaro.
Stasera Alice beve una birra scadente in lattina da fare male alla pancia.
Stasera Alice si sente stringere lo stomaco da una roba che non vuole andare giù.
Alice stringe forte i pugni nelle tasche della giacca scossa dal vento sempre più forte. Si sente scuotere dentro e fuori.
Barcolla con le spinte che vengono da fuori e non sente la forza dentro.
Alice stasera sta male.
Alice è da sola.
Sola con sé. E non c’è nessuno in giro a quest’ora tarda.
Cammina presso gli scogli pensando che sia davvero un attimo muove un passo da quella parte.
E’ un attimo. E’ sempre questione di un momento.
Momento che ti cambia quello dopo.
Era stato un attimo cogliere il sorriso di certi colleghi e il lavoro in quell’ufficio le era sembrato molto più leggero ed affrontabile.
Era stato un attimo sentirsi a suo agio in quel bar che raramente frequenta ma quel caffè in quel modo con quelle persone cavolo se era stato buono.
Era stato un attimo correre più veloce del vento, sentire i muscoli delle gambe fremere di forza, sentire il respiro affannato e appagato dal risultato, sentire il risultato dalla voce dell’allenatore.
Era stato un attimo conoscere profondamente quel ragazzo così spiritoso così poco pieno di sé da lasciare spazio anche a lei.
Era stato un attimo sentirsi bene in compagnia di quella persona che le aveva preso metà cuore dicendole che se ne avrebbe preso cura da allora e per sempre.
E così gli attimi si susseguono, e non si fermano, e non sono mai uguali a se stessi.
Come le onde sugli scogli si infrangono sempre e sempre lo faranno, e mai schizzano acqua in modo uguale, e non smetteranno mai. Anche con la bassa marea, quando tutto sembra fermo e inutile, sotto nel profondo tra le crepe delle rocce c’è acqua che muove vita.
Così gli attimi di ora provengono da prima e vanno verso il dopo.
Alice sente il suo attimo fermarsi, bloccarsi.
Alice sente arrestare tutto dentro sé, e fuori è un vortice di attimi che ormai non la scalfiscono più.
Ormai non riflette più. Ormai non pensa più. Non ha più tempo. Non ha più attimi per farlo.
Alice sta male ed ha provato a dirlo in giro.
Forse troppo sottovoce.
Forse troppo fuori tempo.
Forse alle persone che ora crede sbagliate.
Forse non ha voluto insistere troppo, come suo solito.
Forse, non ci credeva nemmeno lei, figuriamoci le altre persone.
Ormai è fatta. E’ qua davanti al mare a salutarlo come ogni anno, a modo suo. La mente è inebriata dai pensieri accartocciati e stretti da zavorre che le sue spalle non sopportano più.
Ora parla, parla a sé e al mondo che non la sta a sentire: beh, che dire, sono qui, ho freddo, ho lacrime che son ghiacciate e mi rigano la faccia che è da schifo, avessi uno specchio mi vedrei ebete e scura di me, vedrei gli occhi infossati dalle occhiaie della paura, vedrei i miei pensieri e le mie idee balzane, beh ora che fai?, dubiti come solito?, non hai tempo di aspettare e di riflettere, ora balzo su quello scoglio lì, poi quell’altro, e dopo ancora, e me ne vado all’ombra delle onde, e chissà se mi troveranno più, e se non scivolo?, o se scivolo e sbatto qui?, dài che non mi voglio far vedere da nessuno, che forse nessuno mi merita, cavolo non saprò fare nemmeno questo?!, dài che me lo merito proprio!
“Quindi? Non avrai portato solo una birra con te?”
Alice si blocca, non capisce, non intende.
“Dài! Pensi che sia venuto fino qui per tenere la gola all’asciutto?”
Alice non si gira, ascolta e non vuole capire.
“Pensi di girarti per lo meno e di guardarmi in faccia?”
Alice è tutto un pezzo. Non ci crede.
Alice sente prendersi la mano.
Alice sente prendersi per i fianchi.
Alice piange, e l’emozione le butta fuori tutto.
Alice singhiozza della sua inquietudine.
Alice si fa trasportare dalle sensazioni e dal vento che ora la porta verso riva, lontana dagli scogli.
Alice guarda a terra i suoi passi incerti e vede le proprie lacrime crollare sulla banchina.
Alice tentenna il passo ma lo muove, ci prova, lo vuole suo, ora più che mai.
Alice osserva le luci delle barche che rientrano, vede i volti stanchi e sereni dei marinai.
Alice non è più lei.
Alice è stretta in un abbraccio che non è più solo il suo.
Alice stringe i pugni sulle spalle ancore di salvezza.
Alice stringe forte le braccia ai fianchi che ora la sorreggono.
Alice suda dentro la giacca, si emoziona.
Alice ha trovato un appiglio dove appoggiare i propri pensieri.
Ora sta raccontando davvero quello che sente, e le sue spalle si alleggeriscono sempre più, giacché ora condivide quello che sente e una volta raccontato raccoglie quello che resta.
Un pensiero è come un regalo, una volta raccontato non ha più padrone, è donato a chi ha ascoltato, è raccontato a quelle mani che l’hanno raccolto.
Alice ora non è sola. Il vento si calma un po’ e le strappa un sorriso, lieve.
Gli occhi si stringono nella spensieratezza del momento.
La luna è alta ed illumina come fosse un sole.
E’ stato un attimo. E lei lo ha colto. E ne è contenta per davvero, ora.
...che freddo che fa! Fa un sacco freddo. Ma solo fuori.
E’ solo la sensazione che dà la brezza autunnale di una sera al mare.
Domani ci sarà il sole, e in qualche modo ci si scalderà ancora insieme.


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