Correva,
anzi scorreva, e molto velocemente, lo scorso dicembre.
Da
un’amicizia mi era arrivata la segnalazione di una roba della serie perché non
provarci non c’è nulla da perdere. E poi prima o poi si dovrà pure cominciare.
Quindi,
allo scadere, quasi come Cesarini, mi sono ben deciso a mettere nero su bianco
l’idea che mi era nata alla lettura del tema. Leggendo Una mano tira l’altra mi era proprio giunta in mente la foto di uno
scoglio, del vento, delle luci della notte, del freddo e delle dita di lei
intrecciate alle dita di lui. O qualcosa del genere.
Ammetto
che arrivando a scrivere con un attimo di ansia, lavorativa o dalle feste già
cominciate non so, mi sono dedicato con poca abnegazione, o passione, alla
stesura delle parole a corollario della foto.
Non
ho riletto bene, non ho riletto coi miei tempi, non ho dedicato a me stesso il
tempo che mi dovevo.
Non
mi sono aperto per bene. Sono rimasto troppo in me, da me.
Ed
il risultato, in effetti, si è visto.
Come
un bel cinque senza attenuanti col tema libero. Non ha scusanti.
Eccole
allora. La foto, o una serie di, e le didascalie, o parole scritte senza
umiltà, come dice Elisa.
(Solo
qualche a capo in più)
Fa
freddo. Fa un sacco freddo. Sia dentro che fuori.
Qui
sulla spiaggia in questa sera di fine novembre l’autunno è arrivato ormai
prepotente, le ultime giornate di sole sorridente ormai un ricordo.
E’
umido. C’è vento. Le spalle sono strette in un abbraccio difficile da reggere.
La
luna è un disco bianco all’orizzonte e il suo riflesso rimbalza sul mare
increspato e la coglie in pieno volto.
E’
sola. Sola come non mai. Ed è dispiaciuta.
E’
triste in una solitudine fredda al sapor di malanno. Come quei malesseri che
nessun dottore riesce a capire cos’è, che nessuna medicina riesce mai a curare,
che c’è solo l’animo e nient’altro.
La
brezza marina ghiaccia la pelle delle guance rimaste in balia degli schiaffi di
questo momento inquieto.
Lacrime
scendono dagli occhi e le rigano il viso, non si conosce se per il freddo di
fuori o e se per quello da dentro.
Alice
guarda le onde del mare infrangersi sugli scogli che non sono mai stati così
vicini.
Alice
ama questo posto, questo angolo di mondo lontano dal mondo, questo angolo del
mare che da sempre vive quando vuole tenersi un attimo per sé.
Alice
è solita recarsi al mare anche fuori stagione, come stasera, quando tutti gli
schiamazzi estivi di ferie da branco sono ben lontani, quando sono poche le
persone a calpestare la sabbia della battigia.
Alice
è solita prendersi questi momenti per salutare il mare a modo suo.
Quest’anno
Alice non sta bene come altre volte negli anni passati.
Quest’anno
Alice vuole salutare il mare da vicino, da molto vicino. Le sono accadute robe
che sente pesanti.
Quest’anno
Alice vorrebbe salire fin sugli scogli per salutare il mare, quegli scogli che
ora sono a pochi passi. Sente robe sulle spalle che le affliggono i pensieri.
Gli
anni scorsi partiva sorridente da quella bassa che vive i suoi giorni, prendeva
il suo libro, il suo quaderno, la sua musica. L’auto accesa diventava la sua
stanza, e come sola nella stanza se ne andava verso il mare lungo l’autostrada
o per le vie più basse più antiche, fuori e dentro gli autogrill, fuori e
dentro i borghi.
Gli
anni scorsi comunicava con gioia il suo saluto al mare alle amiche e agli
amici, intendendo loro come possibili compagni di viaggio, non avrebbero
disturbato, tutt’altro, avrebbero arricchito l’esperienza con le loro parole e
con loro se stessi. Mai nessuno aveva però accompagnato questo suo giretto al
mare. Non se ne è mai curata tanto della loro apparente indifferenza, ha sempre
lasciato libera scelta ad ognuno di loro, non ha mai voluto costringere
nessuno.
Normalmente
affrontava il viaggio in orari un po’ strani, spesso di sera anche se non ha
disdegnato occasionali albe in spiaggia, raccogliendo le prime luci del sole,
raccogliendo i primi rumori del mondo.
Il
viaggio serale era solitamente accompagnato da piada da birra media da caffè e
da pajana, e da birra in bottiglia da portare in riva al mare.
Arrivava
poi alla pineta che ben conosce, affrontava il vialetto buio rischiarato dalle
palle arancioni di calde illuminazioni, calpestava vogliosa la sabbia e gli
aghi di pino, e sbucava così sul retro dei bagni serrati per stagione di
chiusura. Percorreva il passaggio pedonale che li collega uno a uno fino ad
arrivare all’ultimo in fondo vicino al canale dalla parte sud di quella parte
di paese.
Da
quel punto poteva vedere bene da dove veniva e il dove voleva andare, ma non
aveva mai attraversato quel ponticello in legno che porta di là, dove si
trovano gli scogli nei pressi del porto, dove dal porto partivano barche dove
lei si immaginava salita. Si arrampicava lemme sui cumuli di sabbia atti al
riparo delle strutture dei bar, e si girava su sé stessa.
Guardava
avanti verso il mare e girava lo sguardo di qua e di là, verso la pineta di
dietro e verso il mare davanti. Scrutava le luci delle barche verso la linea
dell’orizzonte laggiù in mezzo al mare, e osservava i lumi delle barche ancora
vicine dentro al porto. Fiutava l’aria salmastra piena di tutto ciò che porta
il mare, le era sembrato spesso di intuire nell’aria le cozze o le vongole, o
gli scampi e i granchi, o i pesci d’altura o quelli piccolini del bagnasciuga.
Presa
posizione in un punto mai uguale al precedente apriva la birra a strappo e
sorseggiava il biondo elisir, piccoli sorsi pieni di ricordi. Ricordava gli
amici e ogni assaggio era una dedica a loro, un brindisi alla salute e
all’amicizia.
Ogni
sorsata era un ricordo degli avvenimenti dei mesi precedenti.
Ricordava
quella volta alla festa di compleanno quel ragazzo come si parlava bene
insieme.
Ricordava
quella volta al lavoro come si era trovata bene con quei colleghi.
Ricordava
quella volta che al campo si era sentita come un’eroina da imitare.
Ricordava
quella volta che beveva caffè al bar in compagnia di amici.
Ricordava
come era stato bello ed entusiasmante conosce quel ragazzo così simile a lei,
simile ma diverso, simile da intendersi, simile ma suo come lei sua, simile che
non è mai un caso.
Sorrideva,
cavolo se sorrideva, sola con la brezza sorrideva a una vita che vedeva girare
tra alti e bassi ma con tante robe da affrontare al meglio.
Sorrideva
di una carica che sentiva dentro.
Sorrideva
di una forza inaspettata che capiva e conosceva solo lei.
Stasera
Alice si sente diversa. Non è sulla duna davanti al bar della spiaggia. E’
sugli scogli nei pressi del porto.
Stasera
Alice si sente strana. Non ha voluto mangiare la piada del suo piadinaro.
Stasera
Alice beve una birra scadente in lattina da fare male alla pancia.
Stasera
Alice si sente stringere lo stomaco da una roba che non vuole andare giù.
Alice
stringe forte i pugni nelle tasche della giacca scossa dal vento sempre più
forte. Si sente scuotere dentro e fuori.
Barcolla
con le spinte che vengono da fuori e non sente la forza dentro.
Alice
stasera sta male.
Alice
è da sola.
Sola
con sé. E non c’è nessuno in giro a quest’ora tarda.
Cammina
presso gli scogli pensando che sia davvero un attimo muove un passo da quella
parte.
E’
un attimo. E’ sempre questione di un momento.
Momento
che ti cambia quello dopo.
Era
stato un attimo cogliere il sorriso di certi colleghi e il lavoro in
quell’ufficio le era sembrato molto più leggero ed affrontabile.
Era
stato un attimo sentirsi a suo agio in quel bar che raramente frequenta ma quel
caffè in quel modo con quelle persone cavolo se era stato buono.
Era
stato un attimo correre più veloce del vento, sentire i muscoli delle gambe
fremere di forza, sentire il respiro affannato e appagato dal risultato,
sentire il risultato dalla voce dell’allenatore.
Era
stato un attimo conoscere profondamente quel ragazzo così spiritoso così poco
pieno di sé da lasciare spazio anche a lei.
Era
stato un attimo sentirsi bene in compagnia di quella persona che le aveva preso
metà cuore dicendole che se ne avrebbe preso cura da allora e per sempre.
E
così gli attimi si susseguono, e non si fermano, e non sono mai uguali a se
stessi.
Come
le onde sugli scogli si infrangono sempre e sempre lo faranno, e mai schizzano
acqua in modo uguale, e non smetteranno mai. Anche con la bassa marea, quando
tutto sembra fermo e inutile, sotto nel profondo tra le crepe delle rocce c’è
acqua che muove vita.
Così
gli attimi di ora provengono da prima e vanno verso il dopo.
Alice
sente il suo attimo fermarsi, bloccarsi.
Alice
sente arrestare tutto dentro sé, e fuori è un vortice di attimi che ormai non
la scalfiscono più.
Ormai
non riflette più. Ormai non pensa più. Non ha più tempo. Non ha più attimi per
farlo.
Alice
sta male ed ha provato a dirlo in giro.
Forse
troppo sottovoce.
Forse
troppo fuori tempo.
Forse
alle persone che ora crede sbagliate.
Forse
non ha voluto insistere troppo, come suo solito.
Forse,
non ci credeva nemmeno lei, figuriamoci le altre persone.
Ormai
è fatta. E’ qua davanti al mare a salutarlo come ogni anno, a modo suo. La
mente è inebriata dai pensieri accartocciati e stretti da zavorre che le sue
spalle non sopportano più.
Ora
parla, parla a sé e al mondo che non la sta a sentire: beh, che dire, sono qui,
ho freddo, ho lacrime che son ghiacciate e mi rigano la faccia che è da schifo,
avessi uno specchio mi vedrei ebete e scura di me, vedrei gli occhi infossati
dalle occhiaie della paura, vedrei i miei pensieri e le mie idee balzane, beh
ora che fai?, dubiti come solito?, non hai tempo di aspettare e di riflettere,
ora balzo su quello scoglio lì, poi quell’altro, e dopo ancora, e me ne vado
all’ombra delle onde, e chissà se mi troveranno più, e se non scivolo?, o se
scivolo e sbatto qui?, dài che non mi voglio far vedere da nessuno, che forse
nessuno mi merita, cavolo non saprò fare nemmeno questo?!, dài che me lo merito
proprio!
“Quindi?
Non avrai portato solo una birra con te?”
Alice
si blocca, non capisce, non intende.
“Dài!
Pensi che sia venuto fino qui per tenere la gola all’asciutto?”
Alice
non si gira, ascolta e non vuole capire.
“Pensi
di girarti per lo meno e di guardarmi in faccia?”
Alice
è tutto un pezzo. Non ci crede.
Alice
sente prendersi la mano.
Alice
sente prendersi per i fianchi.
Alice
piange, e l’emozione le butta fuori tutto.
Alice
singhiozza della sua inquietudine.
Alice
si fa trasportare dalle sensazioni e dal vento che ora la porta verso riva,
lontana dagli scogli.
Alice
guarda a terra i suoi passi incerti e vede le proprie lacrime crollare sulla
banchina.
Alice
tentenna il passo ma lo muove, ci prova, lo vuole suo, ora più che mai.
Alice
osserva le luci delle barche che rientrano, vede i volti stanchi e sereni dei
marinai.
Alice
non è più lei.
Alice
è stretta in un abbraccio che non è più solo il suo.
Alice
stringe i pugni sulle spalle ancore di salvezza.
Alice
stringe forte le braccia ai fianchi che ora la sorreggono.
Alice
suda dentro la giacca, si emoziona.
Alice
ha trovato un appiglio dove appoggiare i propri pensieri.
Ora
sta raccontando davvero quello che sente, e le sue spalle si alleggeriscono
sempre più, giacché ora condivide quello che sente e una volta raccontato
raccoglie quello che resta.
Un
pensiero è come un regalo, una volta raccontato non ha più padrone, è donato a
chi ha ascoltato, è raccontato a quelle mani che l’hanno raccolto.
Alice
ora non è sola. Il vento si calma un po’ e le strappa un sorriso, lieve.
Gli
occhi si stringono nella spensieratezza del momento.
La
luna è alta ed illumina come fosse un sole.
E’
stato un attimo. E lei lo ha colto. E ne è contenta per davvero, ora.
...che
freddo che fa! Fa un sacco freddo. Ma solo fuori.
E’
solo la sensazione che dà la brezza autunnale di una sera al mare.
Domani
ci sarà il sole, e in qualche modo ci si scalderà ancora insieme.
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