sabato 30 agosto 2014

Trentadue anni dopo

Tanto è passato dall’ultima volta.
E, quindi, tanto è cambiato.
Ma non lei.
Come allora ha le stesse modalità, gli stessi comportamenti di sempre.
E’ sempre lei.
D’altronde, chi nasce quadrato non può morire tondo.
E’ stata brava. Per certi versi molto brava.
Dopo trentadue anni la ‘Dele è tornata al Camping Cesenatico.
Per qualche giorno, che di più non si riusciva.
Credo che l’aria cambiata, lo iodio marino, il sole, la pioggia, la burrasca, la pipì, le persone, la bici, la caduta, lo smarrimento, le camminate, il minigolf, la piada buona, l’acqua della diga, le abbiano fatto bene.
O almeno lo spero.
Tra qualche ora, trentadue anni dopo, la riporterò a casa.
E sarà tutto come prima.
Quasi.

Spero sia stata bene.


Chiara e Jean Sebastien, le loro parole

Si sono incontrati per caso sotto due cedri credo secolari.
In realtà nei pressi di due cedri credo secolari perché è stato il tavolo picnic di legno pesante che li ha messi a conoscenza.
Entrambi per la prima volta su quel picnic. Entrambi ignari di quel cammino.
Le cortesie da prima buona educazione hanno fatto presto spazio a discorsi appena un poco più ampi.
Il loro inglese non di madrelingua era perfetto alle mie orecchie ignoranti.
Si sono incontrati sul Gennaro, che non è partenopeo come tanti potrebbero pensare di primo acchito, ma bolognese in quanto monte di un parco regionale emiliano. Monte nemmeno tanto alto, ma sempre di monte si tratta.
Sul Gennaro si sono incontrati un poco di Italia che non vuole l’Italia e un po’ di Lussemburgo che vuole l’Europa se non di più.
L’Italia che incontra il Lussemburgo sul Gennaro lungo la via per l’Africa non lontano dall’Abbazia e nemmeno troppo dalla cosiddetta civiltà. Dove l’Africa è una vecchia zona cortiliva dei colli bolognesi.

Hanno parlato tanto e bene. E si sono fatti capire tanto e bene.
Hanno considerato le principali informazioni personali per arrivare presto a parlare dei propri pensieri, desideri, mortificazioni, aspirazioni, ragionamenti, e poi di economia, vagamente di politica, di viaggi, di terre da vedere, di città da conoscere.
Lui che ha citato la Spagna il Portogallo la Francia la Germania e non mi ricordo quali altri, lei che ha citato la Nuova Zelanda Berlino New York e non mi ricordo cos’altro.

Avevano entrambi lo sguardo oltre.
Lo sguardo era ampio sul mondo e non limitato alle prime vie.
Lui che placidamente e apertamente porta la famiglia su un sentiero sconosciuto dei colli bolognesi, per altro per il secondo anno consecutivo, lei che è accompagnata da chi quel sentiero lo conosce a occhi chiusi.

Da subito, o almeno da poco dopo, si è sentita nell’aria quella sintonia che sa di buoni incontri.
Che magari non lo si dice ma sembra certo il contatto successivo, forse per una proposta, forse per un’esperienza, forse solo per dissertare di robe importanti come quel primo pomeriggio insieme.


Io, che ho assistito a tutto quell’incontro, sono rimasto affascinato dalla pronta loquacità inglese di Chiara e dalla disponibilità a braccia apertissime di Jean Sebastien.

E sono rimasto col mio sorriso ebete per tutto il tempo.


L’umanità sorprende sempre!


venerdì 29 agosto 2014

Go-kart biposto, i miracoli, un bambino

L’occasione fa l’uomo ladro. Dicono.
E allora la voglia di tornare in quel –odromo dopo tanti quasi più di vent’anni è davvero tanta.
E lo propongo.
E ci si va. Si prova. Si gira. E sento che mi piace proprio, che l’adrenalina sale alle stelle, che comunque anche se solo dieci minuti ho sudato come un pazzo, che vorrei rifarlo subito, che come allora comincio a parlare a raffica e ho l’energia delle batterie cariche ai massimi, che dormire è l’ultimo pensiero che passa per la testa e che girerei tutta sera a ricordare robe o a scoprirne di nuove.
E ringrazio infinitamente Chiara che mi ci ha portato, anche se guidavo io, e che mi ha sopportato oltre che supportato, che ha girato il mio stesso giro anche se vivendo esperienza e sensazioni ben diverse, che ha accettato questa roba con me anche se poi non ci è stata proprio bene.

Poi, alla fine, con tutta quella pelle d’oca, comincio i miei soliti ragionamenti del dopo, anche molto dopo, che io certe robe poi le capisco sempre molto tardi rispetto la media.
Le mie sinapsi volteggiano e gorgogliano e il loro turbinio porta a una sola conclusione: c’erano, noleggiabili come gli altri, anche dei go-kart biposto.
E allora il mio pensiero è andato direttamente ai miracoli che so subito per certo che apprezzerebbero un giro per uno con me. E allora ci ragiono su dei giorni, ma velocemente che i miei giri in riviera con loro non sono mica lontani. E allora ne parlo e decido che se i nostri sentieri un pomeriggio o che ne so potrebbero passare da quel –odromo perché non andarci per davvero.
Oppure si potrebbe fare volutamente senza aspettare il caso che poi caso non è mai.

E vengono i miei giorni a Cesenatico, e ci ho scritto pure uno Stato in merito, e racconti la tua idea a chi di dovere che raccoglie subito con l’entusiasmo che vuole quell’età, che vorrebbe farlo subito che andrebbe già mentre ti risponde.
Chiedi almeno di portare pazienza perché la distanza non è esigua e il tempo di attesa nel trasferimento potrebbe essere annoiante. Tant’è. Si riesce a ingannare il tempo solo con milioni di barzellette e indovinelli quasi tutti inventati su due piedi e quindi di una qualità pessima degna del libro meno letto della storia.

Quando si arriva nel luogo del misfatto la pista è liberissima.
E’ già ora di cena in molte case del circondario ma la nostra fame, la loro noiosissima fame per penuria di merenda, passa in un attimo.
La voglia si concreta nella possibilità di girare, la prima volta, i primi giri in questo traffico, praticamente da soli.
E allora via, a pagare due pass ingresso, casco in testa e minime istruzioni del meccanico.
Che mi dice la prossima volta potreste invertirvi di posto, il pedale del freno è più ampio apposta…
Ma io osservo e basta, annuisco, e passo oltre…

E cominciano i giri. E che giri. E ancora giri. E sgommate. E accelerazioni. E divertimento. E saluti. E velocità. E curve in pieno. E staccate all’ultimo o quasi. E chiacchiere e grida. E velocità. E ancora. E ancora. Fino alla fine.
E i giri, poi, ricominciano subito. Ma non siamo più soli. Ci sono altri in giro. Ma noi non ci badiamo troppo, due curve per capirci, e sorpassiamo bene e andiamo oltre. E di nuovo giri. E ancora giri. E sgommate. E accelerazioni. E divertimento. E velocità. E saluti. E curve in pieno. E staccate all’ultimo o quasi. E velocità. E chiacchiere e grida. E sorpassi. E ancora sorpassi. E tentativi di arrivare al sorpasso. E velocità. E poi ancora. E ancora.


Entusiarmo alle stelle...


Velocità... Velocità...



I giri di questo giro, con quel bambino a fare da guida, sono stati davvero entusiasmanti.


lunedì 25 agosto 2014

Quando Gennaro è come in Lussemburgo

Sempre per i tuoi sentieri!
Come ti piacciono i tuoi sentieri…
Allora si decide che a Ferragosto, quando molti solitamente si spiaggiano sotto i gavettoni, voi ve ne andate a camminare per quei sentieri così vicini e familiari.
Anche perché per dirla tutta, o scriverla, hai appena scoperto un tratto che mai avresti immaginato così avvolgente.
V’incamminate che è tarda mattinata proprio per sfruttare l’ora del pranzo per quel picnic che si usa per la festa. Quindi, in mezzo a mille chiacchiere e mai in silenzio, salite la stretta via asfaltata che al caldo e al sole vi porta quasi in sommità. In realtà il sole di questo agosto non scalda come una volta, come si dice in questo autunno fuori stagione, e quando giungete in fondo, cioè in cima, il monte Gennaro non vi scopre pieni di sudore come siete capaci di fare.
Tutt’altro, sono voci confuse, spesso di bimbo, o bimbi, che il vento e le chiome vicine fanno arrivare alle vostre orecchie, che destano le vostre curiosità, e così su due piedi, accendono il vostro dispiacere di non trovarvi soli in quell’ultimo tratto di salita.
Poi gli ultimi gradini di terra, rattoppati malamente con dei legni ormai logori.
Poi lo spiazzo piccolo altipiano dei due cedri di Gennaro vi si apre davanti.
Poi la vista dei vostri occhi si allarga sul grande tavolo da picnic.
Poi le vostre orecchie ascoltano “goodmornig you are welcome”.
Poi tu credi di svenire, e non sai se sei più contento o dispiaciuto, vaghi tra la disperazione e l’esaltazione. Ma capisci presto che sarà una giornata diversa.
Capisci che da quel momento tutto può essere. E sarà.
Capisci che i tuoi piani di passeggiata puoi metterli in tasca e non guardarli più fino a sera.
Capisci che è proprio un bel ferragosto. E non potrà essere diversamente.
Dopo i primi convenevoli, e le tue vostre spiegazioni, vi sedete con loro che dal Lussemburgo sono passati a camminare su Gennaro. Si chiedono alcune informazioni, e capite che potreste camminare insieme per un po’ di tratto. Sono padre e madre e tre figli, forse, che magari quello più grande è solo affidato. O che ne sapete voi, nessuno mai parla o parlerà di padre madre e figli, o sì?, boh, non te lo ricordi forse perché non è certo quello l’importante.
Si mangia si beve si parla inglese e tu tanto pigro e timido e impreparato ascolti e capisci quasi tutto.
Sono proprio begli attimi. Da ricordare nel tempo. Tante foto le metti lì in quel tratto di grotta che tieni in fondo.
Ormai è pomeriggio, e si deve camminare ancora, almeno per un po’. Avete pure la preoccupazione che possano più o meno perdersi, loro così lontani da casa e sprovvisti di mappa.
Li lasciate avviarsi per la discesa che molto a gesti hai avete spiegato. Ma presto, in seguito alla vostra ripartenza, siete lì con loro a camminare in mezzo alle sorgenti del rio Ramato, in mezzo ai canneti, ai calanchi, e alla vegetazione tipica di una valle cieca.
E vi salutate, e i sorrisi si sprecano.
E scattate loro foto di tutto questo. E loro a voi.
E si sente e lo sentite quel sentire strano ma tangibile.
E camminate insieme, come i camminatori sanno fare, se non addirittura i pellegrini fanno da sempre, qualunque sia l’origine degli elementi dell’allegra compagnia.
E ci sono i due monelli, uno più dell’altro, che svegliano le tue preoccupazioni.
Putto boccoli biondi si mette pure a correre, e tu dietro a tenergli bada. E suo padre che ti ringrazia voltandosi dall’altra parte.
Sono abituati così, tutt’altre preoccupazioni rispetto a noi, altre mentalità, altra cultura.
Si arriva in fondo assieme, al nostro arrivo, dopo che hanno scelto di cambiare programmi in quanto le stanchezze dei cinque sono troppe, che non si aspettavano mica tanta fatica sulle colline bolognesi.
E noi, che i programmi ormai li avevamo bruciati a pranzo sul tavolo picnic, ci offriamo per risolvere in breve, ed evitando ulteriori sforzi, il loro rientro all’agriturismo.
E qui c’è l’apoteosi.
Tu che parli, anche se male, in inglese e ti fai capire, credi, e bene. Ed è davvero un ferragosto diverso dal solito.
Voi che vi sedete al tavolo caffè merenda the gelato con una famiglia lussemburghese in quel del parco cittadino di Monteveglio.
E chi l’avrebbe mai detto?
E parlate (parlano). E vi ascoltate (ascolti).
E vi capite, tutti. Che a volte basta davvero poco per capirsi.
E sorridete, tutti. E siete contenti e felici.
Gli argomenti che passano tra voi sono dei più vari, ma è il lavoro che la fa da padrone.

Alla fine, quando anche un bell’acquazzone estivo (autunnale??) vi sorprende ma non vi scalfisce, siete quasi dispiaciuti di dover salutare con Bye Bye quella famiglia tanto lontana quanto quel giorno vicina.


Belle cose davvero.

Da tenere lì, per sempre.


giovedì 21 agosto 2014

Corri Lorenzo, corri…

Come mi piace chiamarlo Lorenzo anziché Jovanotti o Jova.
Anzi, a dire il vero, mi piace chiamarlo Lore’, come veniva scandito un vhs di quasi vent’anni fa, dove si potevano ascoltare le prime riflessioni di un giovane pronto a raccontare robe. A quell’epoca stavo svoltando nell’età adulta, forse, o matura, a-riforse.
Tant’è ricordo come fosse oggi quel sospiro di ragazzo sempre giovane che ansimando si sente incitare Corri Lore’ corri… e io a inseguire con lo sguardo perso su una strada sua e non mia.
Quindi si potrebbe affermare che il titolo che introduce questa serie di commenti sia errato.
E invece no. Non essendo quello l’argomento non è sbagliato chiamarlo Lorenzo, ragazzo d’un pezzo maturo al punto giusto pronto a nuove esperienze con le braccia aperte a raccogliere quello che c’è.

Qualche settima fa, finalmente, ho terminato la lettura di Gratitude, libro aperto scritto da Jovanotti, dove la fascetta di copertina che tanto non mi piace nei libri cita “Lorenzo Cherubini racconta Jovanotti”.
E visto che in questi mesi o ultimi anni mi sono un poco rifolgorato di lui, perché non leggere robe di suo pugno? E poi, la mia curiosità nel conoscere come sia riuscito a scrivere di sé in prima persona dove la vogliamo mettere?
Allora, mesi addietro l’ho portato a casa e posto sulla colonna di libri da leggere, quelli che stanno lì vicino al letto, quella colonna che ormai non ce ne stanno più, quei libri che anziché diminuire aumentano sempre, e non riuscirò mai a leggerli tutti prima che la colonna cada sulle mie stanchezze.

Comunque, posto al suo posto, quasi, si è visto scavalcare più e più volte.
Ma luglio ha avuto i suoi alti e i suoi bassi, soprattutto, e ha portato la mano a raccogliere la gratitudine di Lorenzo.
MI E’ PIACIUTO DA MORIRE!!!
Fin dalle prime pagine ci sono pagine da ricordare e frasi da sottolineare.
Fin da subito ho capito che lo rileggerò presto (così da lasciare immutata ancora una volta quella colonna).
E’ pieno di vita. Racconta bene. Racconta forte. E a volte sembra davvero di essere di corsa assieme a Lore’.
Vorrei solo citare una parte, che non è nemmeno sua, cioè è una citazione che lui riporta, l’unica pagina con l’orecchia, verso la fine, quasi, e me la sono sentita addosso:


Il viaggio non finisce mai. […]
Bisogna vedere quel che non si è visto,
vedere di nuovo quel che si è già visto,
vedere in primavera quel che si è visto in estate,
vedere di giorno quel che si è visto di notte,
con il sole dove la prima volta pioveva,
vedere le messi verdi, il frutto maturo,
la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era.
Bisogna tornare sui passi già dati,
per ripeterli, e tracciarvi a fianco nuovi cammini.

Jose Saramago, Viaggio in Portogallo



Jovanotti, Gratitude, Einaudi



Credo che non passerà molto tempo per la rilettura, con matita a corredo.
Credo che nel caso lo consiglierò, come ho già fatto, anche se il destinatario fosse di tutt’altro avviso.

Credo che il mio Lore’, che mia piace chiamare Lorenzo, abbia buone robe da raccontare, in qualsiasi modo.
E mi piacerebbe correre un poco con lui. E a modo mio l'ho faccio già.



Presto i libri non saranno più lì vicino a dirmi che ci sono, saranno un po’ più in là, dove almeno all’apparenza sembreranno più leggeri.

I tuoi sentieri e i miracoli

Poi ti capita di proporre loro qualche passo per sentiero, nel bosco, lungo il torrente, salendo e scendendo.
Poi ti capita di partire un po’ dopo il previsto e nel viaggio che vi porta ai tuoi sentieri capisci e scegli di cambiare qualche tratto.
Poi ti capita che quando loro hanno il loro bastone, e tu il tuo, e metti lo zaino sulle spalle, con anche la padellina contro i morsi dei serpenti, senti addosso tutta la tua voglia di portarli sui tuoi sentieri.
Poi ti capita di raccontare loro tutto quello che ti viene in mente, tutto quello che sai, tutte le raccomandazioni, e le indicazioni, e i consigli.
Poi ti capita di lasciarli camminare con te. E tu stai camminando con loro. Lungo i sentieri. Quei sentieri.
Poi ti capita che il fresco lo sentiate addosso e per terra la rugiada bagna le scarpe e pensi che a loro servirebbero delle altre scarpe se sopportano questo modo di camminare.
Poi ti capita di spiegare il toponimo indicando bene la direzione e l’origine di quel colore così rossastro da ricordare il rame.
Poi ti capita di fare la pausa al capanno, davanti al macero che macero non è. E c’è la merenda del mattino. E c’è il riposo delle gambe. E della mente. E c’è da misurare la profondità, col bastone. E c’è da ripartire.
Poi ti capita di scegliere un sentiero mai percorso perché quello previsto è interrotto da annosi lavori in corso.
Poi ti capita che quel sentiero che fa parte di quei sentieri tu lo cammini per la prima volta con loro e non è proprio un caso, che il caso non esiste mai.
Poi ti capita di mostrare la valle cieca, le sorgenti nascoste dall’erba alta e dai canneti, i calanchi e la loro pericolosità, il monte che sa di partenopeo, i sentieri calpestati all’orizzonte, e l’obiettivo.
Poi ti capita di provare a fare roba vietata in loro presenza spiegandone il motivo e ti senti in difetto perché sai bene che non va bene e che dovresti fare diversamente e che non stai dando il buon esempio.
Poi ti capita di spiegare dei motivi, e indietreggi e torni sui tuoi passi, sui vostri passi, e racconti che non è la fine quello che conta ma come ci si arriva, che la meta rimane lì anche per un’altra volta.
Poi ti capita di tornare indietro, rivedere le stesse piante, lo stesso sentiero, gli stessi sassi caduti un po’ rossastri, le stesse cacche viola e o con i semi, la stessa discesa.
Poi ti capita di incrociare viandanti come voi, e per fortuna così insegnate loro che i sentieri posso essere ostruiti quindi conviene tornare indietro.
Poi ti capita di seguire le indicazioni di un miracolo che vi portano quasi all’obiettivo, e senti che c’è contentezza, e soddisfazione.
Poi ti capita di camminare in mezzo al borgo che è quasi mezzogiorno e il sole è altissimo.
Poi ti capita di insegnare come camminare in discesa, che anche se tutti i santi aiutano non è per niente facile, e la stanchezza accumulata non aiuta di certo, e si deve prestare attenzione a ogni sassolino sotto la scarpa.
Poi ti capita di sollevare chi fa fatica, e gli stai vicino, come sai fare tu.
Poi ti capita di chiudere quasi tre ore di cammino con loro. E sono le prime. E sei appagato. E senti loro soddisfatti dei piedi stressati dal sudore e dal cammino.

Poi c’è il pranzo, e torni alla realtà come troppo spesso.

A volte capita.
Capita davvero.


Si deve rinnovare i puntali!

giovedì 7 agosto 2014

Chiara scrive lettere a certi compagni...

Circa sei mesi fa la raccolta di queste epistole era già bella che terminata.
Era già pure impaginata. Era correlata da disegni appunti idee qua e là.
Era pronta con le sue sfumature di font di dimensione, e perché no d’importanza e di emozioni.

Già le emozioni, sfido chiunque maschietto a non sentirsi preso in considerazione almeno in una riga, o in una parola.

Certo la speranza, visti i contenuti di certe missive, è che siano proprio pochi gli uomini, compagni?, che possono rivedersi come protagonisti di queste.

Chiara ha raccolto qua e là l’impressione delle donne, delle amiche, delle appena conoscenti, o anche solo della cliente del negozio sotto casa, e le ha riportate in questo libretto sotto forma di lettere a compagni assenti, proprio perché sotto forma di messaggio a quegli uomini che per una ragione o un’altra si sono fatti di nebbia, non hanno raccolto il raccoglibile, non si sono interessati, hanno esagerato in certi termini, non hanno avuto rispetto.
Qui dentro c’è di tutto, ma, badate bene, non c’è tutto, giacché certe sfumature l’uomo, inteso come essere umano, le ha davvero infinite.
Qualcuno ha chiesto come mai, o avrebbe voluto chiederlo nelle tappe di Modena e Formigine e Correggio, proprio agli uomini e non alle donne, e la risposta è nelle lettere stesse, ed è nella stessa autrice, carica di buoni propositi ad aiutar quelle signore che più o meno si sentono protagoniste e autrici esse stesse delle lettere.
Già perché se il maschio lettore si potrebbe sentire preso in causa con queste, come dire, accuse, anche se accuse a guardarci bene non ce ne sono, sono più che altro scoperchiamenti di verità, sono altresì le femmine lettrici a sentirsi come con la penna in mano a scrivere questa o quella lettera, per questa o quella motivazione.

Ogni lettera è per un uomo diverso da una donna diversa, ecco che ogni lettera è a sé stante, col proprio carattere (font) e dimensione, con i propri addobbi (disegnetti), e col proprio umore, tanto che l’ipotetica signora del compagno assente potrebbe staccare il brano imbustarlo e inviarlo senza sbagliare il colpo.

Eccolo, il colpo, Chiara ha chiaro (??) come spararlo, e l’ha fatto per bene.
Come nel suo piccolo.

Lettere a compagni assenti, di Chiara Rustichelli, edizioni autoprodotte



Si legge bene.
Si legge in breve.
Si legge da riflettere.
Si legge da tenere lì per essere riletto.

Da consigliare.


Montecchio, i Rio, e Chiara... roba da non crederci

Il bello della musica è che spesso te la ritrovi addosso quando meno te lo aspetti, o quando nemmeno la vorresti, come per esempio a cavallo di quella rotonda quella canzone passa per radio e te non vorresti nemmeno sentirla ma distrattamente alzi pure il volume.
Eccolo il volume, delle idee, delle bugie, del suono.
A volte, certe robe, basta dirle col volume giusto, che è il tono giusto, a volte basta non masticarle tanto per dire, ma esporle e metterle sul tavolo e vedere poi cosa capita dopo.
Allora, a volte, ti capita di esporre un’idea, così quasi per dire, ma la racconti per bene, che si capisca bene quello che dici e quello che intendi.
E da quel tavolo esce che dai ci si va andiamo a vedere cosa vuol dire…
Allora il primo venerdì di agosto, e pare davvero agosto e non novembre o dicembre, si va Montecchio Emilia presso la festa pd. Si fatica un poco a trovarla solo perché non si vogliono chiedere indicazioni alla gente del centro, che non si rimanga impotenti che non si sa mai, ma si immagina bene che sia nei pressi del centro sportivo, che si trova tutto spento. Solo la prontezza della vista e delle orecchie fa si che parcheggi proprio lì, fuori via un po’ fuori mano, e si seguino le persone che già camminano verso il nostro obiettivo.
L’area è ampia, ma scarna di chioschi espositivi; subito ci si imbatte nelle dimostrazioni un po’ particolari delle prove di motori, intesi come trattori agricoli di ogni genere e tipo e cilindrata e dimensione. E ci sono ricordi, e sorrisi.
Si cerca Arena Spettacoli vagando nelle poche stradine ghiaiate. Trovata, comprati i biglietti di ingresso, sottolineo COMPRATI, si sceglie di ingannare la mezz’ora di attesa con altri passi nel parco e per il caffè. Qui quel minimo di animo ambientalista ha il sopravvento: alla cassa, per soli due caffè, ci viene rilasciata una ricevuta di carta, solo la matrice ovviamente, delle impressionanti dimensioni di circa 8/10 cm per 20 cm, e allora scatta la battuta sarcastica abbattiamo pure un albero intero per denunziare due caffè. MAH!!! C’è anche da ammettere che poco prima eravamo stati distratti e o disturbati da una posa per foto di gruppo di Fabio and company su richiesta di alcune fan: chiedimi se me ne ero accorto se non dopo quando tutto è finito?? Già già già…
Quando siamo entrati in Arena è stata un’emozione. L’Arena in sé dava spettacolo, nonostante la sua età ed eventuale incuria era piuttosto accogliente, il mezzo arco di gradinate era a disposizione e sufficientemente libero dalle erbacce.
Ma soprattutto Chiara è entrata con le sue gambe in un’area concerto rock dal vivo, o qualcosa del genere.
Un poco circospetta ha portato pazienza con la mia curiosità, e il mio girovagare curioso di osservare tutto il possibile, scattando le mie solite foto mentali, cercando le motivazioni per tanti tavolini e sedie da giardino non trovandole. Poi s’è deciso per un posto defilato sui primi gradoni in alto, la vista era ottima e sicuramente lo sarebbe stato alche l’ascolto.
Il concerto è stato quello de i Rio, che seguo a modo mio da diversi anni.
E’ stato bello. Anche se non hanno suonato la mia canzone.
E’ stato carico. Anche se all’inizio c’è stato troppo poco ritmo.
E’ passato bene. Loro alla fine sono sempre loro, la loro musica onesta, le loro parole, quelle strofe che hanno il loro perché.
Certi pezzi ti rimangono dentro, altri li ascolterai ancora un po’ prima di intenderli per bene. Va sempre così. Anche con loro.
Come in Mediterraneo, dove dai che molliamo tutto e ce ne andiamo via dai che ci regaliamo questa (stupida) follia, su ogni strada lasceremo amore lungo la scia…
Siamo stati bene, pure in compagnia del coniglio detto biancoconiglio, almeno fino all’arrivo del maremmano chiaro detto cane da riporto o salvataggio…

E dire che le foto le scatto anche così:



Chiara a un concerto, con me, roba da non crederci.


Alla prossima, chissà, quest’anno di nuovo a Chiavica…

mercoledì 6 agosto 2014

Il più è crederci, provarci, esserne convinti

Il grande parco dei divertimenti è nei pressi del mare, di quel mare che sento come il mio anche se vado e conosco poco.
E’ talmente tanto lontano che prima di partire, anche grazie a quelle modernità che fornisce la rete, puoi controllare dio meteo che intenzioni possa avere per quei luoghi, e per quelle ore che ti interessano.
E allora decidi che la sveglia alle sei del mattino per un’ora di viaggio non è troppo e anzi conviene, giacché le previsioni di meteo sono descritte e aggiornate poco prima.
E allora decidi che si possa andare anche se ci sono robe che direbbero l’opposto.
Fuori dalla tua finestra piove e tuona, ma non c’è vento.
Il panorama verso l’orizzonte varia dal grigio stanco al grigio scuro ho un sacco di acqua da fare cadere.
Mentre le previsioni di meteo dicono che là dove vuoi andare, in quel parco vicino al mare, il cielo sarà moderatamente coperto, con poche precipitazioni le prime ore del mattino, e che durante il giorno le stesse sono da non considerare.
E allora ti fidi, ci credi, e parti.
L’aria del mattino presto è fresca che obbliga la felpa per te e i miracoli e ti fa apparire quei primi minuti come la partenza per un viaggio epocale, per una di quelle gite da assaporare bene poiché cariche di stranezze di ogni genere.
Giungi alla prima tappa, solo mezz’ora dopo, che piove di rado ma pesantemente, il cielo è coperto di ogni sfumatura di grigio, le gocce sul parabrezza sono rumorose come schiaffi anche se rade.
E allora, visto che da qualche parte tra le pieghe del cielo si vede che “si sta aprendo”, parti per quel mare e quella destinazione.
Piove. Piove forte. Piove sempre più forte.
Ogni minuto che passa c’è sempre più acqua a cadere e per terra sull’asfalto dell’autostrada, tanto che viene sollevata a cascate delle auto e dai tir.
Sarà la pioggia a dirotto sarà il traffico, spesso la velocità si riduce molto fin troppo.
Sembra di non arrivare mai. E in effetti i tempi soliti di percorrenza di raddoppiano facilmente.
In giro c’è solo brutto bruttissimo tempo.
Ci si chiede spesso se continuare o meno, se andare davvero a quel parco, se davvero ne valesse la pena alzarsi tanto presto, se proseguire per quella strada.
Se provarci davvero.
E allora si prosegue per quella strada già conosciuta, per quell’uscita differenziata come nord, per quella superstrada verso la città del sommo. E per quel bar sulla via.
La pausa per la seconda colazione è quasi eroica, a sentire sulla pelle la temperatura (in piena estate) è rasente lo zero, la pioggia è battente da non lasciare respiro.
E ti domandi ancora cosa ci fai proprio quel giorno proprio in quel luogo. Solo per loro, che sono ancora miracoli.
Testardo e testone fai colazione. Ancora.
E trovi l’oggetto per un regalo che speri tanto strappi almeno un grande sorriso e un forte abbraccio.
Quindi si prosegue per l’ultimo svincolo, quello che dal retro porta all’ingresso lungo la via che diventa stretta.
All’ingresso si notano un sacco di auto entrare, anche se dentro nel parcheggio non ce ne sono mica molte nonostante l’orario di apertura sia ben trascorso.
Butti l’occhio e vedi gente alla cassa.
Butti l’occhio e vedi che quella pioggia di pochi minuti prima ormai sta smettendo.
Butti l’occhio e vedi che il cielo, o forse dio meteo, sta aprendo all’azzurro. Lassù in alto sono come mille fogli grigi che vengono spostati dal vento o da chissà che o chissà cosa e uno alla volta sfumano in blu celeste azzurro turchese.
Sta accadendo qualcosa di grandioso.
Il più è stato crederci e provarci.
Pochi minuti dopo il giallo e il caldo del sole fanno capolino sulla tua testa.
Ha dell’incredibile.
Il freddo pungente di nemmeno un’ora prima ha lasciato il posto al torrido, quasi, agosto rivierasco.

E allora capisci che hai fatto bene ad essere convinto che alzarsi presto per valutare il da farsi sia stato corretto, che scegliere di crederci e di fidarsi sia stato corretto, che provarci tanto al massimo si mangia una piada a si torna a casa sia stato corretto.
Ed essere convinti delle robe che si fanno sia solo corretto.

Dopo è solo il divertimento, anche bagnato, molto bagnato, a farla da padrone.
Dopo si accontentano i miracoli che crescono, e che fanno già robe con le loro autonomie. E ne sei contento.
Dopo è il tempo trascorso a camminare tra un gioco e l’altro, tra una giostra e l’altra, tra un richiamo e un’attesa, tra un’ordinazione automatica e la degustazione al sole dell’una, tra un binario singolo e uno doppio, ripetuto, che però crea scompiglio.
Dopo sono piccole patenti che tu, cagacazzo e un po’ furio, non avresti concesso.
Ecco appunto, ai tuoi tempi alla loro età c’erano giochi di automobili che puntavano allo scontro, oggi alla loro età ci sono giochi di automobili che puntano al rispetto delle regole alle precedenze ai semafori rossi. Come cambiano i tempi. Davvero.

Tutto, o quasi, gira come le altre volte e gli altri giri al grande parco dei divertimenti.

In realtà quest’anno ha già qualcosa di palpabile che differenzia le cose, l’aria non è esattamente la stessa degli anni passati, e c’è chi prospetta un’ipotesi ben diversa per l’anni e gli anni futuri.
Vedremo.

Il ricordo più bello, al di là di quelle foto che tieni tutte per te come spesso, è inaspettato quanto incantevole:
mamma rondine che svolazza sul nido coi piccoli affamati sull’ingresso di un bagno pubblico;
roba da rimanere tutto il pomeriggio a osservare.

Alla fine è il mal di testa lavato dalla doccia del rientro.
E un’altra giornata è finita.

Loro contenti. Tu sorridente.


lunedì 4 agosto 2014

Un minuto, mio, dopo trentaquattro anni

Qualche giorno fa era sabato, proprio come trentaquattro anni fa.
Qualche giorno fa c’era da ricordare, in quel piazzale e per quelle strade, PER NON DIMENTICARE.
Qualche giorno fa correva, che mica si ferma mai, anzi scorreva, il due agosto duemilaquattordici.
Cavolo quanti numeri.
Vogliono dire un sacco di robe.
Non ne potremmo proprio fare mai a meno.
Nel piazzale antistante la stazione centrale di Bologna è stato ricordato l’attentato del 2 agosto, ricordando le vittime, ricordando quanto è stato fatto fino qui, ricordando quanto NON è stato fatto in trentaquattro anni.
I segreti, pare, sono stati desegretati, ma non si capisce, o almeno io non lo capisco, quanto tempo ci voglia per poter rendere davvero pubblici tutti quei documenti che tanto erano stati tenuti segreti.
E come gli scorsi anni ho sentito menzionare un sacco di nomi, in realtà cognomi, che hanno ognuno il proprio peso in questo o quel ragionamento o indagine, che hanno pare certamente conoscenze materiali in tutto quello accaduto, ma soprattutto ragionato, in quel caldo sabato di inizio agosto di trentaquattro anni fa, e negli anni a seguire innanzitutto per quei depistaggi ormai certi.
Ero nel mio solito angolo, in mezzo a tutte quelle persone, solo in mezzo a gente di ogni genere, chi in canottiera e infradito, chi in divisa e con tanto di guanti, chi elegante da festa, chi appena uscito dal lavoro operaio, chi in bermuda e scarpe ginniche, chi in gonna leggera e sandalo, chi spelacchiato in testa, chi con la zazzera, chi con la coda, chi con le trecce, io ero lì nel mio angolo e mi è balenata un’idea malsana, dal mio punto di vista…
Registrare un documento di quanto stava accadendo.
Allora, memore delle lacrime silenziose scese sulle guance le volte passate, ho creduto di fare cosa buona (e giusta?) registrando il sonoro del minuto di silenzio.
E’ strano il minuto di silenzio.
Teoricamente non si dovrebbe sentire nulla.
E invece si sente tutto.
Proprio quando tutto tace.
Quindi, alle 10.25, ho pigiato REC con quel tasto del mostro che da pochi mesi tengo in tasca e via… ad ascoltare quel silenzio.
Tre squilli di sirena della locomotiva a iniziare.
Uno squillo a terminare.
Nel mezzo un minuto di silenzio pieno di ogni roba possibile, compresi i pensieri, non solo miei.
Poi l’applauso che non voleva terminare mai…

Personalmente lo trovo interessante, quel minuto, pieno di emozioni, se non altro.

Poi sono stato, come sempre, in sala d’aspetto, quella della seconda classe, quella che sta sotto l’orologio fermo alle 10.25. Là ho letto l’elenco delle 85 vittime, e per ognuna di loro non ho tralasciato l’età.
Ecco altri numeri. Ecco la concretezza delle cose.

Poi via, a cercare sollievo tra i miracoli.

            Avrei voluto utilizzare in rete quella registrazione di quel minuto, ma il formato a mia disposizione non è utilizzabile né qui in blogger né là in f.b..
            Pazienza, io c’ho provato, e ancora ci proverò.
            E sono quasi certo che un giorno ci riuscirò.

Intanto, ogni tanto, lo ascolto.
E lo faccio ascoltare.

E ora silenzio.
Almeno per un minuto.