martedì 9 dicembre 2014

Tiziano scrive d’amore, in modo semplice

In prima pagina chi mi ha regalato questo libro (cavolo che bella parola libro, con una b sola…) ha scritto che il titolo la dice lunga e si domanda se ci si potesse trovare qualche nuovo suggerimento in mezzo a queste pagine.
Ma soprattutto ha scritto duemiladocici…
Se ne deduce che è stata lunga due anni l’attesa non so proprio perché per questa lettura.
Avvenuta quasi d’un fiato, giacché in effetti il titolo la dice lunga, ma soprattutto il diario, perché di questo si tratta, di Tiziano è leggibilissimo. Al suo interno si trova un mondo di riflessioni, di pro e contro, di alti e di bassi, e di come dice uno bravo un bel po’ di andate e ritorni violenti.
Si legge bene, vivendo quasi in prima persona l’anno solare raccontato in questi appunti quasi giornalieri. E visto il “vero” mestiere di Tiziano, si capisce, o almeno si intuisce, quanto sia complessa la produzione che gli compete.
Le idee le appunta sul quaderno, al volo, su bigliettini, e sente l’urgenza di lavorarci su, di sviluppare e sviscerare. E un po’ mi sono rivisto.
Soprattutto questo diario porta in evidenza l’apertura delle braccia di Tiziano, che si mostra per quello che è con sempre meno filtri o pregiudizi o archetipi che lui stesso di mette addosso, e con quelle braccia stringe e stringe a se tutti gli amici.
Eccoli. Gli amici!
E’ quanto io ho scritto in prima pagina, dopo qualche “mese” di racconto.
Perché è quello che ho sentito.
Perché credo che in questo periodo non sia un caso.

A pagina 96 sottolineo bene Perché anche la cicatrice più vistosa sarà sempre meno brutta di una possibilità mancata, che è legato a qualche riga precedente dove scrive Qualcosa a cui abbandonarsi almeno per un po’ nell’illusione del “per sempre”. Mentre a pagina 99 E’ come se ultimamente mi affannassi a preservare l’equilibrio delle cose, perché mi piace la mia vita e vorrei fotografarla per vederla rimanere sempre così. Poi a pagina 103 scrive di me con …disintossicarmi delle ultime remore da pigro e che deve rimettersi in marcia.

L’amore è una cosa semplice, Tiziano Ferro, ed. Kowalski



Poi, in effetti, la dedica Tiziano in terza pagina è del tutto eloquente:
“Dedicato a chi ha il coraggio di cambiare vita
e a chi ha la forza di non cambiarla”


Ineccepibile.

I Pinguini fanno squadra, e la fanno bene

Ero certo che sarei andato a stare bene, e non è affatto servito il suo loro invito.
Ero IO che volevo andare. E sono andato. Ma non da solo.
Le risate le ho cominciate al solo pensiero, mentre cominciava l’intro della Dreamworks, dove sono apparsi loro quattro nella loro sagoma riconoscibilissima.
E non mi sono affatto trattenuto. Come sempre.
Già all’inizio, però, il mio riso si è condito di riflessioni, a volte amare.
E subito ho inteso che il film, trattante le avventure avventurose e improbabili di Pinguini tipici del Madagascar (?!!??!!... eh?, intesi??, Madaga-che??... Madagascar!!!), non era solo una mescolanza organizzata di battute e significative strategie tipiche dei vecchi Professional.
Bensì tra i dialoghi, cioè tra le righe se ci si immaginasse un libro, erano celati significati più profondi, molto, che mossi dall’adrenalina del sorriso arrivano dritti dove devono arrivare.
E fanno centro!
L’amicizia, tanto rara quanto il suo valore.
L’accettazione dell’essere particolare, non diverso in quanto ognuno è fatto a modo proprio.
Tra loro, sempre i Pinguini, c’è il coordinatore (o capo), che è quello che prende sempre l’iniziativa, c’è il casinista, che è sempre pronto col suo disordine a trovarti la soluzione più strana ma sempre efficace, c’è il sapientone, che sa sempre tutto e sempre ti risponde in modo preciso e tempestivo, e poi c’è il coccoloso, appunto, pieno di bontà sempre pronto per una buona parola un po’ troppo credulone e sensibile a puntino.
Tutto il film, tra i sorrisi sguaiati degli spettatori, e i colpi di scena, con le imprese dei nostri, è servito per dirci e ricordarci che l’amicizia non ha eguali e va coltivata e mantenuta sempre, che è delicata e fragile per quanto incrollabile e forte, che non si deve dimenticare mai una buona parola foss’anche solo un ciao come stai.
E che in fondo chi si sente escluso dal gruppo potrebbe non esserlo per davvero, potrebbe semplicemente avere il suo ruolo lì, in quel posto in quel momento.
Oppure avere scelto di starne fuori.

Giacché a tutto c’è un perché.

Anche aver assistito a questo film in questi giorni ha il suo.
E non è un caso.

Mi è piaciuto.

Da rivedere, ovviamente.

martedì 14 ottobre 2014

Porno e Romantica si può fare

I tempi scorrono lontani, quasi lontanissimi.
Non ricordo nemmeno dove si siano posizionati esattamente.
Tant’è che ho avuto proprio voglia di regalare in giro e non per caso un libro ascoltato per caso alla radio, credo.
E’ e lo sento, lo sentivo, talmente particolare anche se mai letto che mi ci metto d’impegno per introdurre la lettura con una sorta di dedica iniziale, come fosse un invito, a leggere, e a non allarmarsi, non preoccuparsi.
Una di queste era, ed è, per sdrammatizzare qualcosa di importante che alleggerito grave più non è, inconsuete parole…, e credo rispecchino abbastanza quanto meno il mio punto di vista.
Con tutta la timidezza che occorre, e che ho nonostante si dica in giro a volte il contrario, credo che il sesso, l’amore, il porno, i pensieri ad essi legati, le emozioni suscitate, non siano altro che una parte della nostra personalità, del nostro modo di vivere, di percepire la vita, il susseguirsi dei momenti, e delle stagioni, come si osserva il respiro, e come si raccoglie uno sguardo.
Ora, successivamente, dopo la lettura, finalmente, non posso che confermare la mia idea, arricchita dalle nozioni sapientemente descritte da Carolina.
La immagino mentre fa le prove, mentre verifica su se stessa l’esperienza.
E credo abbia fatto centro.
Abbia ben bene colpito il bersaglio. Che è mobile, che nessuno è uguale a un altro, che ogni persona le vive da sé e per sé le cose dell’amore.
Come sempre ho letto con la matita in mano. Non essendo mio ma solo in prestito ho evitato di lasciare le mie impronte in quelle righe, e mi sono solo permesso, col permesso appunto, di orecchiare gli angoli delle pagine che colpivano ben il centro.
Sono troppe.
Non ci salterei fuori per bene.
Devo limitarmi.
La prima mi era arrivata addosso che ho dovuto sospendere e cercare di capirci qualcosa, è a pag. 46, ed avevo sviluppato questo. In effetti, cito: Il cinico autentico è il più genuino dei romantici, perché la soglia oltre la quale qualcosa è romantico per un cinico è solo molto più alta e difficile da oltrepassare che per chiunque altro. Ecco. Ma continua …in amore siamo tutti un po’ stupidi, nel senso che siamo sopraffatti dallo stupore continuo per una magia che non sappiamo spiegare né capire, ma che indiscutibilmente ci scuote anima e corpo, quando viene spiegato che stupore e stupido hanno la stessa radice etimologica.
E allora capisci bene che quello che stai leggendo non è una gretta trasposizione del volgare porno ma una più sofisticata esposizione del romantico porno.
Capisci presto che fare bene l’amore, o all’amore, o scopare, o trombare, o come uno vuole chiamare quello che è, non è roba da poco e che, soprattutto, nessuno ti vieta di farlo, nessuno può vietarti di godere dell’amore, tuo e di chi è con te.
O qualcosa del genere.
Tanto che è a pag. 49 che …fatto sta che una bella pomiciata fine a sé stessa è una delle cose più incantevoli che possano accadere tra due persone, perché senza che l’animale dentro di noi si scateni si possono gustare le sottili vibrazioni del contatto minimo, della carezza sulla bocca, del respiro, delle labbra e soprattutto della lingua, …, si sofferma, permettendo un sussurro senza parole che non ha eguali. Ecco.
Non è solo attaccarsi come sanguisughe o bottoni o cerotti o tetris, ce ben altro in giro.
Non tarda a venire un’altra grande verità, negata dai più, forse timidi, forse inetti, forse non lo so e chissenefrega peggio per loro, è a pag. 63 dove …praticare sesso orale non è un atto di sottomissione, il riceverlo semmai è una dolce resa, perché l’unico modo di godere il sesso orale con qualcuno è capitolare di fronte al desiderio totale di perdersi in presenza della lucidità dell’altro. Mica pugnette, appunto, e questa è solo una battuta. In quella verità c’è molto di quanto a sentire in giro manca in molte case, in molti letti, in molte auto e in molti non lo so.
Uno, altro, una, altra, trattasi sempre di reciprocità. Di fiducia. Di abbandono.
Trattando di esseri umani, quindi di gente che se la racconta per bene, neanche ci fosse sempre lo specchio, viene obbligato il discorso sulla infedeltà, o tradimento che sia. Riporto volentieri le cinque regole che vengono enunciate, che nella loro semplicità dicono molto e tutto: 1) non è ammessa premeditazione; 2) non scaricare tutto sulle spalle dell’altro; 3) omertà; 4) negare fino alla morte; 5) mezza verità. Ora, a leggerle così appaiono fin troppo semplicistiche come accennato, tant’è che in effetti a rifletterci bene, ognuno con la propria esperienza potrebbe vederci delle piccole verità o dei piccoli spiragli, dipende dal punto di vista. Tanto che in conclusione Devo ricordarmi di prevenire che accada, e l’unico modo è non aver paura di accorgermi che una storia, per quanto meravigliosa sia stata, è ormai finita, e avere il coraggio di chiuderla con rispetto per me stessa e per l’altro. Ecco. Un altro grande insegnamento, a pag. 84, non negare la verità, o quanto meno non mentirsi nemmeno allo specchio, che altrimenti si fa casino e si fanno danni, a noi stessi e agli altri, a quelli che vogliamo bene e a quelli che vogliamo male.
Come i cinici di sopra, la verità.
Cito, pag. 110, mi piace sentire che l’altro non deve dimostrarmi niente, questo in merito alle prestazioni, alle dimensioni, la il ragionamento e questo mi piace si possono estendere ovunque, in ogni campo, in ogni pensiero, in ogni emozione: non è lui o lei, o quello che ha lui o quello che ha lei, o quello che non hanno, o quello che sanno fare, o quello che ignorano, è solo quello che c’è tra i due, o tre, o, che conta, la sintonia, il viversi, non l’esserci e basta.
A pag. 113 scrive di sé e della sua famiglia, quasi, e non è un caso che oggi io scriva e senta questo visto che anche la mia la sto vivendo e vedendo sotto altri aspetti sconosciuti, Se esiste qualcuno che per voi è un mito, per il quale la stima sconfina pericolosamente nell’ideale, basta metterlo di fronte ai suoi parenti più stretti per osservarne l’irrimediabile umanità.
Colpiscono pericolosamente e mito e ideale, giacché per me il mito e l’idea che questo crea sono molto molto molto molto molto pericolosi.
Se cadono si rompono in mille pezzi e non si riaggiusta più nulla.
Leggendo della masturbazione raccolgo quanto già avevo da me, non è peccato, ci si conosce, e nulla è squallido se fatto nei modi e tempi opportuni. Nemmeno eventuali aiuti, per lei o per lui non importa, non sono da ritenersi offensivi o sporchi o. Dipende tutto da noi, i tempi, i luoghi, i modi. Condivido che cercarsi in un momento poco propizio, tipo con troppi pensieri o pensando al partner che non c’è o chissà quali diavolerie la mente produce, potrebbe rivoltarsi contro, che l’energia apparentemente positiva di un successo potrebbe girarsi e andarsene con quei pensieri pesanti e lasciarti lì solo infreddolito e per nulla appagato.
Di lì a poco, pag. 150, si leggono parole in merito all’educazione che lo Stato dovrebbe infondere, che se neanche i nostri genitori hanno saputo insegnarci che quando si ama qualcuno si desidera che sia felice di per sé e si desidera esserlo a nostra volta per conto nostro, così da avere qualcosa di bello da scambiarci… mi sembra una affermazione che va al di là di tanti muri, di tante ipocrisie, che dovrebbe essere letta e ascoltata da tanti, ma tanti tanti.
Mentre mi accorgo che il segna libro è ancora dentro e non in prima pagina ma in fondo quando ne mancano ancora una manciata alla fine mi sorge il sospetto di non averlo poi finito del tutto questo libro.
Che forse non lo voglio finire. Chissà.
L’ultima orecchia è di pag. 163 e mi piace riportarla pari pari, così come la si legge, a conclusione del più ampio discorso che è riassunto nel titolo: Insomma gente, ad aspettare che le cose accadano da sole ci si ritrova a prenderla nel culo (e chiaramente senza desiderarlo) pure da se stessi. La Porno Rivoluzione è invece un’importante occasione per liberare una volta per tutte la sessualità dalla nicchia dell’inconfessabile, perché in questo nostro mondo parlare di pornografia, di fellatio o di orgasmo simultaneo equivalga a discutere della ricetta del tiramisù… Un sistema molto comune per imparare a rendere la cosa il più squisita possibile.
Una chicca.
Beh in effetti avevo mancato il test finale… ops…
E che test!! Ora che l’ho fatto, ora che l’ho compiuto, ora che l’ho letto.
E’ incasinato e pieno di sfaccettature come il sesso, l’amore, il romantico, il porno, come si può leggere in queste pagine.
Ma sincerità per sincerità non mi nascondo in questo groviglio e mi espongo aprendo una buona finestra sulla piazza, per chi riesce a vedere dentro: se ho fatto bene i conti, e di errori nelle somme li avevo compiuti, il mio numero finale è 563. Se ne deduce, a pag. 176, che so che il romanticismo è al principio del liberalismo, strutturato come il corpo maschile, tendente a stringere il corpo femminile in un abbraccio tra corpi perdutamente elettorali (da Mill), e che so che non si può parlare di quello che è impossibile ripetere… Lamenti, cantilene e poesie sì, non più quel corpo a corpo (da Sexton); e qui, a questa conclusione chi ci capisce è bravo davvero. Io nel mio piccolo, nella mia ancora ampia ignoranza, posso pensare a me, ascoltarmi, sentirmi, e affermare che romanticismo e liberalismo mi piace vederli vicini, che stringere il corpo femminile in un abbraccio è qualcosa di grandioso, che non capisco cosa centri elettorali al che mi domando cosa voglia dire esattamente la parola elettorale (e indagherò nel vocabolario), che non ho la minima idea che non si possa parlare dell’irripetibile ma anche che il vero è il contrario se penso a tutte le sensazioni che provo durante ogni attimo che respiro, e che non capisco quel corpo a corpo ma se immagino due corpi nell’atto dell’amore o del sesso o come uno lo vuole chiamare il vero è il contrario perché almeno dentro, nei tuoi ricordi, ti ricordi tutto, e ogni nuova volta si rinnova quel ricordo.

Carolina Cutolo, Pornoromantica, Fazi Editore



Mi è piaciuto, e per quanto ne so lo leggerò ancora, e lo distribuirò ancora, o quanto meno lo consiglierò.
Giusto per leggere un punto di visto differente dal solito, una roba fuori dal gruppo, tipo una mosca candida che vola serena in mezzo al nero della massa.


Per concludere riporto anche la conclusione ultima che fa riflettere, fino in fondo, fino all’ultimo attimo:
(Questo test è un racconto, ma vale anche il contrario, come per molti racconti)
Eh beh allora ditelo…

Soddisfatto.
Non credevo che ne avrei scritto in questo modo.
Mi piace.


Bene. Si gira pagina. Ancora. E si va oltre. Arricchito.





Costellazioni, la famiglia, gli appunti

Ne sono rimasto colpito. Positivamente. O quanto meno non negativamente.
Poi va beh, il mio eterno ripensare mi fa riflettere sempre molto anche quando non sembra, anche quando ormai i tempi sembrerebbero superati, io mi metto lì, che ne so sotto la doccia, o mentre cucino qualcosa, quando vivo un momento intenso, e via le immagini i ricordi le sensazioni e tutto quello che gira intorno mi appaiono chiari in mente, canticchio una canzone che mi porta da una parte, vedo un raggio di sole che mi sposta da un’altra, ammiro la voce alla radio che racconta robe buone, vedo persone sconosciute raccontare di me e di chi mi è accanto.
Allora, vorrei spiegare, ma anche no, che alle prime descrizioni rimanevo un po’ così, sul chi va là, pur cercando di immaginarmi il raccontato.
Poi, viste le mie necessità, e comunque quella fiducia riposta, mi sono avvicinato da solo. Ho raccontato di me, mi è stato spiegato quello che avrei potuto vedere osservare vivere, come si incastrano le coscienze delle persone e come la tua famiglia, che tu voglia o no, ha a che fare con te.
E alla fine ho visto me che nonostante il mio poco equilibrio alla ricerca di quell’ordine di cui anelo la presenza, punto lo sguardo dove lo sguardo lo punta il babbo, e non va bene, giacchè ognuno ha la propria strada e le proprie spalle sulle quali appoggiare tutto.
Mi è piaciuto; o quanto meno non mi è non piaciuto.
E’ una roba nuova. Mi muovo ancora in punta di piedi. Titubo, ma nemmeno troppo. I miei dubbi, cagati come sempre a modo mio, sono sempre lì ben presenti.
Non sapevo se ne sarei stato pronto. Ma l’ho fatto. Ci sono andato. Mi sono messo a disposizione.
E ho visto coi miei occhi.
E ho sentito con me addosso.
E ho emozionato quello che mio non è.
E ho raccolto da ogni angolo. Da ogni persona.
Le rappresentazioni sono da vivere, quanto meno osservare, cosicché tu lo voglia o no, avrai assistito a qualcosa che nemmeno immaginavi.
Avevo proprio voglia di vedere da che parte puntava, e forse perché, quel miracolo così particolare.
E l’ho chiesto, quando ho sentito che davvero era il mio turno.
E l’ho ottenuto.
E ho visto la mia famiglia.
E ho visto gli intrecci che ci portiamo addosso.
Io, in disparte sul circolo, serenamente ho assistito alla rappresentazione della mia famiglia, con tutto quello che è stato. E che sarà.
E’ stato come una recita senza copione, senza che gli attori fossero attori ma solamente il ricettore di quello che serviva, e così si sono comportati, e ho raccolto i perché di robe vissute e che sto vivendo.
Almeno credo.
E’ stato come assistere alla recita più vera che c’è.

E mi è piaciuto; o quanto meno non mi è non piaciuto.
E ho preso appunti. Prima e dopo.
Col mio blocco a raccogliere le prime parole che arrivavano alla mente, che si sa che poi si perdono e come i sogni poi si scordano.
Alla fine è stato che mi sono appuntato felicità, entusiasmo, rinvigorimento.
Non so perché, ma in quel momento erano quelle parole che sentivo addosso.
E io quando sento una roba addosso non posso ignorarla, la devo prendere e capire cos’è.
La felicità credo per quello che è stata tutta la giornata, con quello che ho visto, quello a cui ho assistito, quello che ho sentito, quello che ho rappresentato. Tutte emozioni positive, anche se in giro c’erano dolore, rabbia, ansie, decisioni, dubbi, malumori, traumi, e.
L’entusiasmo credo per come l’ho vissuta, coi miei tempi, coi miei coinvolgimenti, con i sorrisi, e le smorfie, e le parole, e.
Il rinvigorimento per come ho vissuto in prima persona quello che è stato rappresentato nella mia famiglia, con quegli episodi che io credo di avere inteso e interpretato correttamente, con quegli sguardi che sembravano veri, che poi è scesa una lacrima, che poi sono stati più sorrisi, che poi è stato l’abbraccio a braccia aperte, quello a raccogliere tutto quello che c’è.

E le parole del bigliettino finale dicevano:
Il profumo precede il gusto.
Viaggio difficoltoso.
Sincroniche casualità.
Difficile muoversi, viaggiare.
Salute debole.

E non è un caso...


Poi, ora, dopo pochi giorni, ci penso, qualcosa mi è rimasto, mi rigira e pian piano salterà fuori.
Che sono fatto così.
Che sono io e non un altro.
Che sono chi sono.
Da scoprire sempre più.




(ma quanto mi piace pigiare questi tasti???)
(ah, per certi versi… sto tornando!!!)


venerdì 5 settembre 2014

Storia di Pi da vivere in pieno

Quando uscì ero stato affascinato dagli spot trailer che passarono per la tv.
Così, su due piedi, senza nemmeno ascoltare bene di che si trattasse, ricordo di avere pensato che era proprio da andare a vedere.
Poi, come si dice a volte, il tempo passa e l’occasione pure, col risultato che non se n’è fatto nulla, ed è passato, qui, per me, inosservato.
La tigre, il mare, il ragazzo, e l’esotico che traspariva erano così attraenti ma non ero riuscito a vedere alcun che.
Poi il caso che non esiste me l’ha portato sotto casa, cioè dietro casa, e allora ho provato a fare girare le cose perché riuscissi quanto meno a provare ad assistere alla proiezione.

Incantato.
Niente di più.

Storia di Pi mi ha preso dentro, fino in fondo, sotto quella buccia che non mi dispiace mica.

E’ certamente uno di quei film da mettere in filmoteca casalinga.
L’atmosfera indiana è stata ammaliante.
Il protagonista narrante con quella calma invidiabile si fa ascoltare bene, il ritmo delle sue parole sono massaggi alla mente che analizza.
La storia è avvincente, la fotografia azzeccata e mai fuori luogo. Gli effetti speciali davvero speciali, da rimanere allibiti e basiti in più di una sequenza.
Sono rimasto incollato allo schermo tutto il tempo senza mai temere di annoiarmi.
Sul finale, quando si conclude la storia “vera”, si capisce come la spiegazione spieghi l’inspiegabile.
Si comprende come una storia ben raccontata non ti permetta di ragionare bene, come in realtà l’uomo abbia la sua parte animale ben presente che esce nel suo fulgore, benché animalesco, quando l’occasione si fa necessaria
Si intende come riflettendo bene le persone si possono identificare con gli animali, o più semplicemente con le proprie esperienze, qualsiasi esse siano.


Il finale è una sorpresa che ridesta alla realtà, che fa ricordare che è questione di un attimo, e dopo quell’attimo è tutta un’altra cosa… che dopo non sarai mai più lo stesso, anche se per un lasso di tempo ben definito.


Il finale ti fa comprendere che una persona non finisce mai di conoscersi, che sono le esperienze che vive che la fanno diventare quella che è, che sono le reazioni alle emozioni a fare quello che è.



Non è proprio un caso che abbia vinto degli oscar…


sabato 30 agosto 2014

Trentadue anni dopo

Tanto è passato dall’ultima volta.
E, quindi, tanto è cambiato.
Ma non lei.
Come allora ha le stesse modalità, gli stessi comportamenti di sempre.
E’ sempre lei.
D’altronde, chi nasce quadrato non può morire tondo.
E’ stata brava. Per certi versi molto brava.
Dopo trentadue anni la ‘Dele è tornata al Camping Cesenatico.
Per qualche giorno, che di più non si riusciva.
Credo che l’aria cambiata, lo iodio marino, il sole, la pioggia, la burrasca, la pipì, le persone, la bici, la caduta, lo smarrimento, le camminate, il minigolf, la piada buona, l’acqua della diga, le abbiano fatto bene.
O almeno lo spero.
Tra qualche ora, trentadue anni dopo, la riporterò a casa.
E sarà tutto come prima.
Quasi.

Spero sia stata bene.


Chiara e Jean Sebastien, le loro parole

Si sono incontrati per caso sotto due cedri credo secolari.
In realtà nei pressi di due cedri credo secolari perché è stato il tavolo picnic di legno pesante che li ha messi a conoscenza.
Entrambi per la prima volta su quel picnic. Entrambi ignari di quel cammino.
Le cortesie da prima buona educazione hanno fatto presto spazio a discorsi appena un poco più ampi.
Il loro inglese non di madrelingua era perfetto alle mie orecchie ignoranti.
Si sono incontrati sul Gennaro, che non è partenopeo come tanti potrebbero pensare di primo acchito, ma bolognese in quanto monte di un parco regionale emiliano. Monte nemmeno tanto alto, ma sempre di monte si tratta.
Sul Gennaro si sono incontrati un poco di Italia che non vuole l’Italia e un po’ di Lussemburgo che vuole l’Europa se non di più.
L’Italia che incontra il Lussemburgo sul Gennaro lungo la via per l’Africa non lontano dall’Abbazia e nemmeno troppo dalla cosiddetta civiltà. Dove l’Africa è una vecchia zona cortiliva dei colli bolognesi.

Hanno parlato tanto e bene. E si sono fatti capire tanto e bene.
Hanno considerato le principali informazioni personali per arrivare presto a parlare dei propri pensieri, desideri, mortificazioni, aspirazioni, ragionamenti, e poi di economia, vagamente di politica, di viaggi, di terre da vedere, di città da conoscere.
Lui che ha citato la Spagna il Portogallo la Francia la Germania e non mi ricordo quali altri, lei che ha citato la Nuova Zelanda Berlino New York e non mi ricordo cos’altro.

Avevano entrambi lo sguardo oltre.
Lo sguardo era ampio sul mondo e non limitato alle prime vie.
Lui che placidamente e apertamente porta la famiglia su un sentiero sconosciuto dei colli bolognesi, per altro per il secondo anno consecutivo, lei che è accompagnata da chi quel sentiero lo conosce a occhi chiusi.

Da subito, o almeno da poco dopo, si è sentita nell’aria quella sintonia che sa di buoni incontri.
Che magari non lo si dice ma sembra certo il contatto successivo, forse per una proposta, forse per un’esperienza, forse solo per dissertare di robe importanti come quel primo pomeriggio insieme.


Io, che ho assistito a tutto quell’incontro, sono rimasto affascinato dalla pronta loquacità inglese di Chiara e dalla disponibilità a braccia apertissime di Jean Sebastien.

E sono rimasto col mio sorriso ebete per tutto il tempo.


L’umanità sorprende sempre!


venerdì 29 agosto 2014

Go-kart biposto, i miracoli, un bambino

L’occasione fa l’uomo ladro. Dicono.
E allora la voglia di tornare in quel –odromo dopo tanti quasi più di vent’anni è davvero tanta.
E lo propongo.
E ci si va. Si prova. Si gira. E sento che mi piace proprio, che l’adrenalina sale alle stelle, che comunque anche se solo dieci minuti ho sudato come un pazzo, che vorrei rifarlo subito, che come allora comincio a parlare a raffica e ho l’energia delle batterie cariche ai massimi, che dormire è l’ultimo pensiero che passa per la testa e che girerei tutta sera a ricordare robe o a scoprirne di nuove.
E ringrazio infinitamente Chiara che mi ci ha portato, anche se guidavo io, e che mi ha sopportato oltre che supportato, che ha girato il mio stesso giro anche se vivendo esperienza e sensazioni ben diverse, che ha accettato questa roba con me anche se poi non ci è stata proprio bene.

Poi, alla fine, con tutta quella pelle d’oca, comincio i miei soliti ragionamenti del dopo, anche molto dopo, che io certe robe poi le capisco sempre molto tardi rispetto la media.
Le mie sinapsi volteggiano e gorgogliano e il loro turbinio porta a una sola conclusione: c’erano, noleggiabili come gli altri, anche dei go-kart biposto.
E allora il mio pensiero è andato direttamente ai miracoli che so subito per certo che apprezzerebbero un giro per uno con me. E allora ci ragiono su dei giorni, ma velocemente che i miei giri in riviera con loro non sono mica lontani. E allora ne parlo e decido che se i nostri sentieri un pomeriggio o che ne so potrebbero passare da quel –odromo perché non andarci per davvero.
Oppure si potrebbe fare volutamente senza aspettare il caso che poi caso non è mai.

E vengono i miei giorni a Cesenatico, e ci ho scritto pure uno Stato in merito, e racconti la tua idea a chi di dovere che raccoglie subito con l’entusiasmo che vuole quell’età, che vorrebbe farlo subito che andrebbe già mentre ti risponde.
Chiedi almeno di portare pazienza perché la distanza non è esigua e il tempo di attesa nel trasferimento potrebbe essere annoiante. Tant’è. Si riesce a ingannare il tempo solo con milioni di barzellette e indovinelli quasi tutti inventati su due piedi e quindi di una qualità pessima degna del libro meno letto della storia.

Quando si arriva nel luogo del misfatto la pista è liberissima.
E’ già ora di cena in molte case del circondario ma la nostra fame, la loro noiosissima fame per penuria di merenda, passa in un attimo.
La voglia si concreta nella possibilità di girare, la prima volta, i primi giri in questo traffico, praticamente da soli.
E allora via, a pagare due pass ingresso, casco in testa e minime istruzioni del meccanico.
Che mi dice la prossima volta potreste invertirvi di posto, il pedale del freno è più ampio apposta…
Ma io osservo e basta, annuisco, e passo oltre…

E cominciano i giri. E che giri. E ancora giri. E sgommate. E accelerazioni. E divertimento. E saluti. E velocità. E curve in pieno. E staccate all’ultimo o quasi. E chiacchiere e grida. E velocità. E ancora. E ancora. Fino alla fine.
E i giri, poi, ricominciano subito. Ma non siamo più soli. Ci sono altri in giro. Ma noi non ci badiamo troppo, due curve per capirci, e sorpassiamo bene e andiamo oltre. E di nuovo giri. E ancora giri. E sgommate. E accelerazioni. E divertimento. E velocità. E saluti. E curve in pieno. E staccate all’ultimo o quasi. E velocità. E chiacchiere e grida. E sorpassi. E ancora sorpassi. E tentativi di arrivare al sorpasso. E velocità. E poi ancora. E ancora.


Entusiarmo alle stelle...


Velocità... Velocità...



I giri di questo giro, con quel bambino a fare da guida, sono stati davvero entusiasmanti.


lunedì 25 agosto 2014

Quando Gennaro è come in Lussemburgo

Sempre per i tuoi sentieri!
Come ti piacciono i tuoi sentieri…
Allora si decide che a Ferragosto, quando molti solitamente si spiaggiano sotto i gavettoni, voi ve ne andate a camminare per quei sentieri così vicini e familiari.
Anche perché per dirla tutta, o scriverla, hai appena scoperto un tratto che mai avresti immaginato così avvolgente.
V’incamminate che è tarda mattinata proprio per sfruttare l’ora del pranzo per quel picnic che si usa per la festa. Quindi, in mezzo a mille chiacchiere e mai in silenzio, salite la stretta via asfaltata che al caldo e al sole vi porta quasi in sommità. In realtà il sole di questo agosto non scalda come una volta, come si dice in questo autunno fuori stagione, e quando giungete in fondo, cioè in cima, il monte Gennaro non vi scopre pieni di sudore come siete capaci di fare.
Tutt’altro, sono voci confuse, spesso di bimbo, o bimbi, che il vento e le chiome vicine fanno arrivare alle vostre orecchie, che destano le vostre curiosità, e così su due piedi, accendono il vostro dispiacere di non trovarvi soli in quell’ultimo tratto di salita.
Poi gli ultimi gradini di terra, rattoppati malamente con dei legni ormai logori.
Poi lo spiazzo piccolo altipiano dei due cedri di Gennaro vi si apre davanti.
Poi la vista dei vostri occhi si allarga sul grande tavolo da picnic.
Poi le vostre orecchie ascoltano “goodmornig you are welcome”.
Poi tu credi di svenire, e non sai se sei più contento o dispiaciuto, vaghi tra la disperazione e l’esaltazione. Ma capisci presto che sarà una giornata diversa.
Capisci che da quel momento tutto può essere. E sarà.
Capisci che i tuoi piani di passeggiata puoi metterli in tasca e non guardarli più fino a sera.
Capisci che è proprio un bel ferragosto. E non potrà essere diversamente.
Dopo i primi convenevoli, e le tue vostre spiegazioni, vi sedete con loro che dal Lussemburgo sono passati a camminare su Gennaro. Si chiedono alcune informazioni, e capite che potreste camminare insieme per un po’ di tratto. Sono padre e madre e tre figli, forse, che magari quello più grande è solo affidato. O che ne sapete voi, nessuno mai parla o parlerà di padre madre e figli, o sì?, boh, non te lo ricordi forse perché non è certo quello l’importante.
Si mangia si beve si parla inglese e tu tanto pigro e timido e impreparato ascolti e capisci quasi tutto.
Sono proprio begli attimi. Da ricordare nel tempo. Tante foto le metti lì in quel tratto di grotta che tieni in fondo.
Ormai è pomeriggio, e si deve camminare ancora, almeno per un po’. Avete pure la preoccupazione che possano più o meno perdersi, loro così lontani da casa e sprovvisti di mappa.
Li lasciate avviarsi per la discesa che molto a gesti hai avete spiegato. Ma presto, in seguito alla vostra ripartenza, siete lì con loro a camminare in mezzo alle sorgenti del rio Ramato, in mezzo ai canneti, ai calanchi, e alla vegetazione tipica di una valle cieca.
E vi salutate, e i sorrisi si sprecano.
E scattate loro foto di tutto questo. E loro a voi.
E si sente e lo sentite quel sentire strano ma tangibile.
E camminate insieme, come i camminatori sanno fare, se non addirittura i pellegrini fanno da sempre, qualunque sia l’origine degli elementi dell’allegra compagnia.
E ci sono i due monelli, uno più dell’altro, che svegliano le tue preoccupazioni.
Putto boccoli biondi si mette pure a correre, e tu dietro a tenergli bada. E suo padre che ti ringrazia voltandosi dall’altra parte.
Sono abituati così, tutt’altre preoccupazioni rispetto a noi, altre mentalità, altra cultura.
Si arriva in fondo assieme, al nostro arrivo, dopo che hanno scelto di cambiare programmi in quanto le stanchezze dei cinque sono troppe, che non si aspettavano mica tanta fatica sulle colline bolognesi.
E noi, che i programmi ormai li avevamo bruciati a pranzo sul tavolo picnic, ci offriamo per risolvere in breve, ed evitando ulteriori sforzi, il loro rientro all’agriturismo.
E qui c’è l’apoteosi.
Tu che parli, anche se male, in inglese e ti fai capire, credi, e bene. Ed è davvero un ferragosto diverso dal solito.
Voi che vi sedete al tavolo caffè merenda the gelato con una famiglia lussemburghese in quel del parco cittadino di Monteveglio.
E chi l’avrebbe mai detto?
E parlate (parlano). E vi ascoltate (ascolti).
E vi capite, tutti. Che a volte basta davvero poco per capirsi.
E sorridete, tutti. E siete contenti e felici.
Gli argomenti che passano tra voi sono dei più vari, ma è il lavoro che la fa da padrone.

Alla fine, quando anche un bell’acquazzone estivo (autunnale??) vi sorprende ma non vi scalfisce, siete quasi dispiaciuti di dover salutare con Bye Bye quella famiglia tanto lontana quanto quel giorno vicina.


Belle cose davvero.

Da tenere lì, per sempre.


giovedì 21 agosto 2014

Corri Lorenzo, corri…

Come mi piace chiamarlo Lorenzo anziché Jovanotti o Jova.
Anzi, a dire il vero, mi piace chiamarlo Lore’, come veniva scandito un vhs di quasi vent’anni fa, dove si potevano ascoltare le prime riflessioni di un giovane pronto a raccontare robe. A quell’epoca stavo svoltando nell’età adulta, forse, o matura, a-riforse.
Tant’è ricordo come fosse oggi quel sospiro di ragazzo sempre giovane che ansimando si sente incitare Corri Lore’ corri… e io a inseguire con lo sguardo perso su una strada sua e non mia.
Quindi si potrebbe affermare che il titolo che introduce questa serie di commenti sia errato.
E invece no. Non essendo quello l’argomento non è sbagliato chiamarlo Lorenzo, ragazzo d’un pezzo maturo al punto giusto pronto a nuove esperienze con le braccia aperte a raccogliere quello che c’è.

Qualche settima fa, finalmente, ho terminato la lettura di Gratitude, libro aperto scritto da Jovanotti, dove la fascetta di copertina che tanto non mi piace nei libri cita “Lorenzo Cherubini racconta Jovanotti”.
E visto che in questi mesi o ultimi anni mi sono un poco rifolgorato di lui, perché non leggere robe di suo pugno? E poi, la mia curiosità nel conoscere come sia riuscito a scrivere di sé in prima persona dove la vogliamo mettere?
Allora, mesi addietro l’ho portato a casa e posto sulla colonna di libri da leggere, quelli che stanno lì vicino al letto, quella colonna che ormai non ce ne stanno più, quei libri che anziché diminuire aumentano sempre, e non riuscirò mai a leggerli tutti prima che la colonna cada sulle mie stanchezze.

Comunque, posto al suo posto, quasi, si è visto scavalcare più e più volte.
Ma luglio ha avuto i suoi alti e i suoi bassi, soprattutto, e ha portato la mano a raccogliere la gratitudine di Lorenzo.
MI E’ PIACIUTO DA MORIRE!!!
Fin dalle prime pagine ci sono pagine da ricordare e frasi da sottolineare.
Fin da subito ho capito che lo rileggerò presto (così da lasciare immutata ancora una volta quella colonna).
E’ pieno di vita. Racconta bene. Racconta forte. E a volte sembra davvero di essere di corsa assieme a Lore’.
Vorrei solo citare una parte, che non è nemmeno sua, cioè è una citazione che lui riporta, l’unica pagina con l’orecchia, verso la fine, quasi, e me la sono sentita addosso:


Il viaggio non finisce mai. […]
Bisogna vedere quel che non si è visto,
vedere di nuovo quel che si è già visto,
vedere in primavera quel che si è visto in estate,
vedere di giorno quel che si è visto di notte,
con il sole dove la prima volta pioveva,
vedere le messi verdi, il frutto maturo,
la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era.
Bisogna tornare sui passi già dati,
per ripeterli, e tracciarvi a fianco nuovi cammini.

Jose Saramago, Viaggio in Portogallo



Jovanotti, Gratitude, Einaudi



Credo che non passerà molto tempo per la rilettura, con matita a corredo.
Credo che nel caso lo consiglierò, come ho già fatto, anche se il destinatario fosse di tutt’altro avviso.

Credo che il mio Lore’, che mia piace chiamare Lorenzo, abbia buone robe da raccontare, in qualsiasi modo.
E mi piacerebbe correre un poco con lui. E a modo mio l'ho faccio già.



Presto i libri non saranno più lì vicino a dirmi che ci sono, saranno un po’ più in là, dove almeno all’apparenza sembreranno più leggeri.

I tuoi sentieri e i miracoli

Poi ti capita di proporre loro qualche passo per sentiero, nel bosco, lungo il torrente, salendo e scendendo.
Poi ti capita di partire un po’ dopo il previsto e nel viaggio che vi porta ai tuoi sentieri capisci e scegli di cambiare qualche tratto.
Poi ti capita che quando loro hanno il loro bastone, e tu il tuo, e metti lo zaino sulle spalle, con anche la padellina contro i morsi dei serpenti, senti addosso tutta la tua voglia di portarli sui tuoi sentieri.
Poi ti capita di raccontare loro tutto quello che ti viene in mente, tutto quello che sai, tutte le raccomandazioni, e le indicazioni, e i consigli.
Poi ti capita di lasciarli camminare con te. E tu stai camminando con loro. Lungo i sentieri. Quei sentieri.
Poi ti capita che il fresco lo sentiate addosso e per terra la rugiada bagna le scarpe e pensi che a loro servirebbero delle altre scarpe se sopportano questo modo di camminare.
Poi ti capita di spiegare il toponimo indicando bene la direzione e l’origine di quel colore così rossastro da ricordare il rame.
Poi ti capita di fare la pausa al capanno, davanti al macero che macero non è. E c’è la merenda del mattino. E c’è il riposo delle gambe. E della mente. E c’è da misurare la profondità, col bastone. E c’è da ripartire.
Poi ti capita di scegliere un sentiero mai percorso perché quello previsto è interrotto da annosi lavori in corso.
Poi ti capita che quel sentiero che fa parte di quei sentieri tu lo cammini per la prima volta con loro e non è proprio un caso, che il caso non esiste mai.
Poi ti capita di mostrare la valle cieca, le sorgenti nascoste dall’erba alta e dai canneti, i calanchi e la loro pericolosità, il monte che sa di partenopeo, i sentieri calpestati all’orizzonte, e l’obiettivo.
Poi ti capita di provare a fare roba vietata in loro presenza spiegandone il motivo e ti senti in difetto perché sai bene che non va bene e che dovresti fare diversamente e che non stai dando il buon esempio.
Poi ti capita di spiegare dei motivi, e indietreggi e torni sui tuoi passi, sui vostri passi, e racconti che non è la fine quello che conta ma come ci si arriva, che la meta rimane lì anche per un’altra volta.
Poi ti capita di tornare indietro, rivedere le stesse piante, lo stesso sentiero, gli stessi sassi caduti un po’ rossastri, le stesse cacche viola e o con i semi, la stessa discesa.
Poi ti capita di incrociare viandanti come voi, e per fortuna così insegnate loro che i sentieri posso essere ostruiti quindi conviene tornare indietro.
Poi ti capita di seguire le indicazioni di un miracolo che vi portano quasi all’obiettivo, e senti che c’è contentezza, e soddisfazione.
Poi ti capita di camminare in mezzo al borgo che è quasi mezzogiorno e il sole è altissimo.
Poi ti capita di insegnare come camminare in discesa, che anche se tutti i santi aiutano non è per niente facile, e la stanchezza accumulata non aiuta di certo, e si deve prestare attenzione a ogni sassolino sotto la scarpa.
Poi ti capita di sollevare chi fa fatica, e gli stai vicino, come sai fare tu.
Poi ti capita di chiudere quasi tre ore di cammino con loro. E sono le prime. E sei appagato. E senti loro soddisfatti dei piedi stressati dal sudore e dal cammino.

Poi c’è il pranzo, e torni alla realtà come troppo spesso.

A volte capita.
Capita davvero.


Si deve rinnovare i puntali!