domenica 10 novembre 2013

I megascreen hanno salvato lo spettacolo

E’ noto ormai, ai più, che a me piace la musica.
Più o meno tutta la musica, anche se ammetto senza troppi ripensamenti che certi tipi di musica non li capisco proprio, ed io pongo questi tipi alle estremità opposte della forbice musicale che ho in testa.
Cavolo se è complicato!
Comunque, nonostante questa mia innata avversione per certe melodie, dove, in effetti, spesso ci sono troppe robe che io sintetizzo in rumori, ammetto che alle estremità già citate ci sono dei brani che in effetti sono proprio belli.
Metti per esempio alcune robe dei Rondò, o alcuni pezzi di Frankie. Certo il tutto è dato dalla mia ignoranza, sono certo mi avvicinassi con passi decisi e seguiti riuscirei a raccoglierne le essenze migliori.
Ma la musica non è solo suono.
Per me è anche canzone.
E per me, quindi, sono anche le parole.
Dunque, in effetti, sono le canzoni.
E quindi, per me… citando… non solamente per le canzoni, per le parole o la musica.
Eccola, allora, la condizione migliore per una canzone: quella dal vivo.
La musica dal vivo, suonata lì davanti a te.
Le parole dal vivo, dette urlate sussurrate lì davanti a te.
Eccola, la condizione ottimale.
La mia prima esperienza a dimensione di stadio fu per caso, molto per caso. Già in quell’occasione riconobbi che esistevano due condizioni ideali.
L’altezza c’era senz’altro grazie alla natura generosa.
Il megascreen c’era grazie alle intuizioni di geni.

Sì, perché, ne sono convinto, le manifestazioni da vivo, certi concerti, senza i megascreen, magari diffusi in ampia un’area, non avrebbero senso di esistere. Ne sono certo.

Io non ascolterei mai una persona senza vederla.
Quindi avrei difficoltà ad assistere a un concerto dove non riesco a vedere i musicisti e il cantante.
Le robe dal vivo vanno vissute con tutti i sensi, e anche di più.


A parte la radio, che stimola l’immaginazione. Ed è un’altra storia.

Alla prossima…

2 commenti:

  1. Ho imparato ad andar per concerti che non ero neanche un’età….Un animale da palco mi trascinò fin sulle transenne, che quasi lo potevo toccare. La natura con me non è stata così generosa quindi o davanti o non si vedeva nulla. Poi è arrivato Lui, mi ha portata in giro per piazze e feste di partito, come era di moda da queste parti. Di allora non ho ricordi di mega schermi (volgarmente detti), ma solo di saltelli a catturare il più possibile, spalle più fortunate di me pronte a raccogliermi e tante parole urlate insieme, proprio come si faceva ai finestrini delle auto aperti sul mondo ancora giovane.
    Poi ho dovuto sospendere per un lungo periodo certe robe, perché c’era da fare la brava. Al mio rientro su spalti e prati i mega schermi erano lì per fortuna. Non ero più una bestia da transenne guadagnate dopo corse senza fiato, quindi tra me e i miei idoli, che fortunatamente erano sempre quelli, avevo file e file di sagome imponenti accentuate dai loro mostri, che Bill e compagni chiamano smartphone, ad impedire ancor di più la visuale a chi già ne ha poca di suo.
    E c’erano anche e per fortuna in:

    … una notte come tutte le altre notti ..una notte con qualcosa di speciale
    Una musica mi chiama verso sé come acqua verso il mare
    Vedo un turbinio di gente colorata che si affolla intorno a un ritmo elementare
    Attraversano la terra desolata per raggiungere qualcosa di migliore
    Un po’ oltre le miserie dei potenti e le fredde verità della ragione
    Un po’ oltre le abitudini correnti e la solita battaglia di opinione

    a mostrarsi a 300.000 occhi uniti nella solidarietà per un popolo dal cuore crepato nel profondo.

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  2. Direi che hai fatto centro.
    La musica, le parole, i ritmi del cuore, dal vivo, dal vero.
    Giusto per provare a morire vivendo sempre e non solo per sentito dire, non per la fame che non hai.
    Più o meno è tutto qui.
    Grazie.

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