Stavo
entrando nel mondo dei grandi.
Era lì
a un passo ed io piano piano cercavo di muovere i miei primi passi incerti e
zoppicanti.
All’improvviso,
nel bel mezzo di un’estate incandescente, arrivò correndo e saltando e
sbavando, era Cif, il bracco tedesco più forte mai visto sulla faccia della
terra.
Roba
che da lì a qualche anno aveva vinto pure dei premi in esposizione, ed era pure
ricercato per la fecondazione, ma lui non aveva mai avuto tempo per certe robe,
ha sempre preferito la selvaggina.
E se
non era il cacciatore a sparare bene, lui sgridava e pensava da sé al bottino.
Non è
stato da solo l’episodio del rientro dalla perlustrazione con tra i denti il
fagiano ancora scalpitante.
E non
si è mai scordato di sgridare con la sua testata alla gamba quando chi lo
accompagnava sbagliava un colpo sicuro, come a dire io che faccio il lavoro sporco, voglio pure divertirmi, vedi di non
mancare più il bersaglio che altrimenti mi devo arrangiare da solo come spesso.
Cif è
un mito. Era perché gli anni sono passati e la malattia se l’è portato via
ancora in forma.
E’ perché
il mio ricordo si ferma all’immagine dei suoi muscoli delle zampe posteriori, al
suo sguardo da marpione, alla sua corsa ciondolante e potente, alla sua preda tra le grinfie.
L’altra
sera stavo attraversando il Boschetto.
Un
bracco tedesco con collare giallo e campanella stava attraversando la mia via.
Era visibilmente
frastornato e confuso come a non sapere dove andare.
Mi sono
fermato, ho accostato, ed ho impedito che la sua fine fosse vicina sotto le
ruote involontarie dei passanti.
L’ho
preso con me con i miei passi, nei pressi della Bottega.
Pochi minuti
dopo, anche dopo una mia notevole ansia che mi faceva dubitare sul da farsi, è
comparso il cacciatore padrone del bracco.
Mi ha
ringraziato, io gli ho spiegato l’accaduto, e mi ha ringraziato di nuovo.
Sono stato
contento di avere perso non avere perso del buon tempo per accudire qualche
minuto un bracco tedesco sperso per la via.
Ci ho
rivisto Cif, quasi.
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