venerdì 29 novembre 2013

Il Mondo è accartocciato

Il primo che avevo visto era stato un mucchietto di sale, limpido e all’apparenza puro, sopra un’oscurità lucida e attraente.
Subito ho avuto la certezza di trovarmi davanti a qualcosa di buono, non di bello, ma di buono e affascinante.
Il primo ascolto è stato nella penombra di un pomeriggio uggioso e pieno di pensieri, con le idee confuse, con dei nodi vicino alla fine del pettine, e certi ideali accartocciati assieme al criceto mai fermo.
Poi è stato tutto un continuo ricevere robe addosso, che spesso entravano dentro, sottopelle, e sotto sotto sempre più dentro fino ad arrivare là dove nemmeno tu sai ci sia qualcosa.

E’ un nastro che porta musica parole ritmi e battiti, un nastro che non ho ancora interrotto.
E’ come sapevo già senza nemmeno sapere come fosse..
E’ pieno di messaggi, ha il suo perché, ha i suoi significati, sembra un bilancio, nonostante tutto da vedere dal lato buono.
Tre giorni pieni di continue altalenanti sensazioni, con alti e bassi e andate e ritorni violenti, picchi e valli e sorrisi e smorfie rugose, e pensieri e idee e ragionamenti e crucci e rimorsi e rancori e, non che i pensieri siano passati, l’ascolto è intenso e posso affermare che merita di certo almeno un concerto, a riuscirci…

Il secondo che avevo visto era un Mondo accartocciato, e mi ci sono trovato subito dentro.
Come volevasi dimostrare.

E ora via, sulle strade, per andare ovunque, e volendo tornare, giusto per vivere ancora un po’ al ritmo buono, cercando di non morire più, che siamo chi siamo, e non ci si può fare nulla, e i sogni fanno la realtà che si vive.


giovedì 21 novembre 2013

Un quadro, il pittore, l’inverno dietro l’angolo

Sono belle parole di un buongiorno a metà settimana, gettate lì in tahoma dieci punti, quasi…

Questa mattina un Pittore si è svegliato presto e aveva voglia di far bene.
Quindi, quando il mondo si è affacciato per svolgere le proprie faccende quotidiane, ognuno per la propria strada, si è trovato davanti a tutto ciò.
In un cielo azzurro terso da perdersi e non ritrovarsi più, spennellate di grigio e di blu scuro scendevano, dall'alto verso basso inclinate come non mai, al modo di lampi e saette di un tipico temporale estivo.

Là, dove Lei si preparava per il suo tramonto, radi batuffoli bianchi le correvano incontro allegri, nascondendola e facendola apparire all'improvviso ai viandanti come sorprese del cilindro di un bravo mago.
Là, dove Lui aveva già creato la sua alba, la nebbia colorata di rosa arancio e lilla lo velava rendendolo misterioso, innocuo e ammirabile, e non imponente e minaccioso come nel pieno del clima estivo mentre la fa da padrone indomabile.

Le colline colorate dai loro campi incolti riempivano l'orizzonte come profili di donne stanche adagiate sui loro arrotondati fianchi.
Nuvole nere di storni volavano alla rinfusa cambiando direzione spesso e rapidamente, cercando di raccogliere tutto quello che stava attorno a loro.

Tutto aveva un senso di dolce risveglio, la natura si stava stiracchiando, pronta a vivere una nuova giornata.

Dietro non so cosa fosse, c’era da guardare avanti e basta, che girato l’angolo poi si troverà l’inverno.


BUONGIORNO!

mercoledì 20 novembre 2013

Il cassetto (o la scatola che fa uguale)

Ci sono certi telefilm che mi piacciono davvero tanto.
L’altra sera, smanioso di vedere la puntata settimanale, ero concentrato bene a raccogliere tutto il possibile.
Però, si sa, spesso le robe che girano attorno possono spingere e tirare, e possono distrarre e non fare cogliere le brame.
Dunque sono arrivato strano ad assistere al finale.
Ma che finale.
Si parlava di san valentino, degli innamorati, del calore tra le persone, dei regali in certe ricorrenze. E di certe voglie di regalare qualcosa di meglio di di più rispetto al partner o all’amico o. Tutte competizioni che non condivido, ovviamente. Si badi bene, a me non sono mai piaciuti i regali per forza, i regali e le feste troppo comandate, troppo comandate da usanze dettate non da ispirazioni personali ma da abitudini della massa.
Ecco allora, alla conclusione erano presenti i regali, ed io a partecipare ascoltando il possibile.

Era un cassetto, vuoto, nella casa di lei, per lui.
Era un cassetto, vuoto, a disposizione di lui.
Era un cassetto, vuoto, pronto a riempirsi di robe di lui, di loro, di lei.
Era un cassetto vuoto, ma palpabilmente già pieno di tanto.
Era un cassetto, vuoto, aperto.

Il mio regalo solitamente nasce da un’intuizione del momento, o da una lunga riflessione sul da farsi.
Invidio l’idea di un regalo così.


giovedì 14 novembre 2013

La tua canzone

Bruno dice: …se volete sapere la mia, delle canzoni, delle vostre canzoni, vi potete fidare.
E io, ovviamente, sono ben d’accordo, tanto che fin dal primo ascolto della riflessione, che poi in realtà era sentito, le emozioni in testa e altrove erano state veramente tante, e le conclusioni lì da scrivere…
Quindi, si sa bene, ognuno ha la propria canzone.
Ognuno ha una o più canzoni da mettere in tasta per portarle con se.
Ognuna buona per un’occasione diversa, ognuna col suo perché, molto personale tanto da che non serve spiegare, ognuna buona per quell’idea, o quell’emozione, o quel momento, forsanche silenzioso.

Ecco allora che sento suoni che caricano, e corrono, sembrano di chitarra, ma c’è anche altro, e poi dicono che è un secolo che piove in questo buco di città gonfia di rimpianti e di arroganza stupida, e come dargli torto?, siamo pieni di persone ignare che si ignorano e che non riescono a fare quello che sentono e che poi si lamentano del brodo grasso o dei propri errori eppure continuano a farli e imperterriti rimangono su ritmi che non riescono a sostenere solo perché è così che fa la massa che fanno quelli all’apparenza bravi e maturi e vincenti. Infatti si ribadisce che anche tu in ostaggio di una lunga redenzione e si aprirebbe un discorso lungo e contorto che però è semplice nella sua semplicità, appunto, visto che siamo stati cresciuti con dei credo che non avevano motivi e che oggi vogliamo crescere il nostro domani con altri punti di vista che non siano chiusi da paraocchi e dogmi e pregiudizi. Al che è ben giusto che si dica che ti offro il mio coraggio ma questo viaggio tocca a te, perché io posso spronarti e spiegarti e spingerti e tirarti verso quello che credo sia meglio per te, ma tutto dalla giusta distanza, tutto dal mio punto di vista e niente di più. Poi dopo sei te che devi camminare, con le tue gambe, con i tuoi piedi, hai da muovere i passi che credi tu più opportuni, sei te che devi fare delle tue idee e dei tuoi sogni la tua vita, cercando di farla migliore possibile, cercando di fare sempre bene, o il meglio, cercando di meritartela. Certo che è un biglietto per le stelle quello lì davanti a te, cambierai la pelle ma resta speciale non ti buttare via, giusto per ribadire che ognuno di noi ha biglietti validi e vidimati per dei treni che a volte passano e a volte no, e che è certo che quello che ti capiterebbe o capiterà su quel treno poi ti cambia, perché non sarai mai più lo stesso, che ogni esperienza bella brutta grande o piccola che sia ti porterà ad esser diverso, ma non del tutto, che il tuo nocciolo dentro rimane sempre quello perché te sei quello lì, esattamente quello lì, e dentro non cambierai mai. Si racconta che in questo inferno di ombre piatte, in questo vecchio luna park, resta ribelle non ti buttare via, e ti viene consigliato di prendere una chitarra e qualche dose di follia, come una mitraglia sputa fuoco e poesia, proprio come una gioia e una rivoluzione possono fare tanto, anche se c’è da stare sempre molto attenti perché l'arma è a doppio taglio: ti potrai ferire un po', non avrai un appiglio ma stai sveglio tocca a te. Ci saranno momenti infiniti e attimi che non finiranno, sembrerà che il tempo non passa mentre invece non si ferma proprio mai e allora ti toccherà darti da fare per bene, per come sai, per come puoi. In fondo in fondo si sa che avrai clessidre senza sabbia e reti per le acrobazie, per andare dove vuoi, per andare lontano, perché lo sai volerai… lontano, lontano… e ti accorgi sulla tua stessa pelle, e dentro fin nelle ossa che tutto è in movimento tra pause e mutamento. Ci saranno forse delle crisi e rivoluzione, e sai di certo che tu solo tu ti troverai nelle robe che vivi e in quello che ti gira intorno, e sarà la tua canzone!
La tua canzone.

In rete, lo ammetto, ho trovato questo: è di tutti, appare proprio come una canzone popolare, sembra abbia un connotato universale. Sembra dedicata a tutti quelli che hanno un progetto importante davanti e a tutti quelli che hanno bisogno di fiducia e di coraggio, in tempi in cui il coraggio e la fiducia in se stessi sono spesso sacrificati ad un quotidiano fatto di rinunce, rabbia e delusioni.

E allora è anche per me. Sembra fatta apposta per me.

La tua canzone, niente di più.


Grazie a Pau e compagni.

lunedì 11 novembre 2013

Bad

Direttamente da The Unforgettable Fire (1984), U2 una decina di anni fa mi arrivò improvvisa una melodia galoppante, anche se non troppo.
Le parole scandite per bene tanto che anche il mio piccolo riuscì quasi nell’immediato a capirne i giusti profili.
Poi i primi tentativi di traduzione, giusto perché mi piace interessarmi delle robe che mi interessano… ecco appunto.
Quindi, niente di che, solo per riportarne il testo, che proprio ieri, guarda caso, è tornato all’interno del circolo vizioso del mio criceto.
Ok, a questo punto si rasenta il delirio, e che sia…

If you twist and turn away, if you tear yourself in two again
If I could, yes I would, If I could, I would
Let it go, surrender... dislocate...
If I could throw this lifeless lifeline to the wind
Leave this heart of clay, see you walk, walk away
Into the night and through the rain
Into the half-light and through the flame
If I could through myself set your spirit free
I'd lead your heart away, see you break, break away
Into the light... and to the day
To let it go! And so to fade away
To let it go! And so fade away
I'm wide awake! I'm wide awake!
Wide awake! I'm not sleeping…
If you should ask then maybe they'd Tell you what I would say
True colors fly in blue and black bruised silken sky and burning flag
Colors crash, collide in blood shot eyes
If I could, you know I would
If I could, I would, Let it go...
This desperation... dislocation... separation... condemnation... revelation... in temptation... isolation... desolation... let it go!
And so fade away to let it go!
And so fade away to let it go!
And so to fade away
I'm wide awake! I'm wide awake!
Wide awake! I'm not sleeping,
Oh no...

Se ti girassi e andassi via e ti lacerassi ancora e di nuovo, se io potessi lo farei, lo farei davvero, la lascerei andare arrendendomi e scomparendo, se potessi gettare al vento questa vita tramortita, lascerei questo cuore come una pietra, vedendoti camminare, andando via nella notte sotto la pioggia o nella penombra in mezzo alle fiamme, se potessi regalare libertà al tuo spirito libero avrei condotto il tuo cuore lontano da me, e ti avrei visto scappare via in piena luce e verso il giorno buono, lo avrei lasciato andare via e svanire lontano, ora sono quasi sveglio e non sto più dormendo, se tu avessi da chiedere forse dopo ti direbbero lo stesso che vorrei dire io: i colori veri che volano nel blu e nel nero del cielo allettante e ferito come un drappo in fiamme crollano e contrastano in occhi iniettati di sangue, se potessi sai che lo farei, se potessi lascerei andare tutto, in questa disperazione, e spostamento, e separazione, pena, e scoperta, in tentazione, e solitudine e desolamento, lascerei andare via che svanisse lontano, ora sono quasi del tutto sveglio, non sto dormendo. No.


Beh, più o meno.

Il Buongiorno dell’undici

Stamattina è arrivato il Buongiorno come in altre occasioni.
C’erano delle belle parole, che vorrei commentare da qui, da me.

Una delle cose più importanti che possiamo darci l'un l'altro è la nostra attenzione.
Un silenzio amorevole guarisce e conforta molto di più che tante parole dette con le migliori intenzioni.

Vero.
Ma certi silenzi sono come stiletti in profondità, feriscono e corrodono molto più che tante parole offensive e pesanti.

Bisogna stare attenti alle parole. Anche a quelle non dette.

La comunicazione non è solo sonora, ci si deve sempre ricordare anche il peso dell’espressione, dello sguardo, del momento, dell’attimo che fugge, del tono e del modo.

Attenzione, quella sì, e comunicazione, sempre.
Non ci si dovrebbe mai scordare di comunicare, fosse anche un ciao a gesti durante una corsa nel parco, o nell’attraversamento di un semaforo, o davanti alla foto sul marmo, o davanti alla tazzina del caffè fumante.
O appena il giorno ti fa aprire gli occhi baciando lieve chi in compagnia.


Parlare. Sempre.

domenica 10 novembre 2013

I megascreen hanno salvato lo spettacolo

E’ noto ormai, ai più, che a me piace la musica.
Più o meno tutta la musica, anche se ammetto senza troppi ripensamenti che certi tipi di musica non li capisco proprio, ed io pongo questi tipi alle estremità opposte della forbice musicale che ho in testa.
Cavolo se è complicato!
Comunque, nonostante questa mia innata avversione per certe melodie, dove, in effetti, spesso ci sono troppe robe che io sintetizzo in rumori, ammetto che alle estremità già citate ci sono dei brani che in effetti sono proprio belli.
Metti per esempio alcune robe dei Rondò, o alcuni pezzi di Frankie. Certo il tutto è dato dalla mia ignoranza, sono certo mi avvicinassi con passi decisi e seguiti riuscirei a raccoglierne le essenze migliori.
Ma la musica non è solo suono.
Per me è anche canzone.
E per me, quindi, sono anche le parole.
Dunque, in effetti, sono le canzoni.
E quindi, per me… citando… non solamente per le canzoni, per le parole o la musica.
Eccola, allora, la condizione migliore per una canzone: quella dal vivo.
La musica dal vivo, suonata lì davanti a te.
Le parole dal vivo, dette urlate sussurrate lì davanti a te.
Eccola, la condizione ottimale.
La mia prima esperienza a dimensione di stadio fu per caso, molto per caso. Già in quell’occasione riconobbi che esistevano due condizioni ideali.
L’altezza c’era senz’altro grazie alla natura generosa.
Il megascreen c’era grazie alle intuizioni di geni.

Sì, perché, ne sono convinto, le manifestazioni da vivo, certi concerti, senza i megascreen, magari diffusi in ampia un’area, non avrebbero senso di esistere. Ne sono certo.

Io non ascolterei mai una persona senza vederla.
Quindi avrei difficoltà ad assistere a un concerto dove non riesco a vedere i musicisti e il cantante.
Le robe dal vivo vanno vissute con tutti i sensi, e anche di più.


A parte la radio, che stimola l’immaginazione. Ed è un’altra storia.

Alla prossima…

venerdì 8 novembre 2013

Tu, il fuoco e Chimena

Qualche giorno fa mi stavo chiedendo cosa si combinava, è un modo di dire, nelle Marche, mi chiedevo se ci fossero state delle novità e se fossero scritte in rete.
Rete che da me è ancora tanto lontana, anche se a volte, come ora, mi trovo proprio dentro, ma dentro dentro, e sempre dalla mia parte.
Lascio aperta la porta e le finestre, in attesa che qualcuno saluti o entri e o dica qualcosa, che passi a lasci il segno o che passi e raccolga qualcosa.
Comunque, il mio dito indice destro aveva cominciato presto a pigiare il clic del mouse un po’ qui e un po’ lì, quasi in apparente disordine, quasi senza senso, ma gli occhi ingordi e avidi cercavano di raccogliere tutto il possibile con quelle immagini e soprattutto con quelle parole.
Le parole, cavolo, come le aveva sapute usare bene in quel libro che, diciamoci la verità, l’argomento è condiviso e amato, ma era stato altro a folgorare quella parte di me.
Erano i modi e certe parole, certi modi di usare le parole, e la punteggiatura da togliere il fiato, e l’ironia, e le immagini e le situazioni descritte, era senz’altro lo stile, uno stile unico e personale che invidio, dalla giusta distanza.
Poi, d’improvviso, quasi, mah, forse, chissà, comunque, alla fine sono morto lì, in un punto preciso.
Cioè la ricerca si è fermata lì.

Ebete, in apnea, col sangue che girava forte, con i pensieri accartocciati, con le parole che mi domandavano un sacco di robe. E le risposte che stentavano ad arrivare.

Ma tu ce lo hai mai avuto il fuoco, dentro?
Conosci quella smania che non ti fa dormire, che graffia lo stomaco, i sogni, la pelle?
Hai mai guardato qualcuno e sentito quel dolore, quel piacere, quella fame che ti mangia il cuore e l’anima?
Hai mai tenuto tra le braccia tutta la tua vita pensando fosse tua e per sempre?
L’hai mai persa giusto un attimo dopo, inesorabilmente?
Hai mai provato la sensazione di capire almeno per un solo attimo esattamente il disegno che il destino ha riservato per te?
Hai mai visto almeno una volta la tua bellezza negli occhi di chi ti guarda?
Hai mai avuto anche se solo una volta nella vita la sensazione di tenerla in pugno, la tua vita?
C’eri, la volta in cui in mano ce l’aveva qualcun altro?
C’eri, la volta in cui hai pianto rabbia e urlato contro ogni divinità mai immaginata?
Ci sono state quelle notti là, quelle in cui tu fai uscire la parte peggiore di te, quella che non conosce nessun altro oltre te, nemmeno tua madre che t’ha messo al mondo?
Hai mai spalancato gli occhi di fronte al mare, al piacere, a lei o a lui?
Ti sei mai messo a letto la sera senza sonno, e guardando il soffitto hai visto passare tutti i giorni e le notti della tua vita una dopo l’altra? Hai mai pregato che ti lasciassero dormire, una volta almeno, non pensare, una volta, almeno, una volta?
Hai mai camminato lungo le strade deserte della tua città nei giorni in cui non c’era nessun altro oltre te per cercarlo, cercarti, senza trovarti mai?
Lo sai, cosa significa camminare e respirare e vivere un giorno dopo l’altro portandosi appresso questa fame, questo volersi e volere sapendo di non poter avere?
Lo sai cosa significa desiderare e volere e spendere tutte le tue energie per un sogno una vita e non riuscirci, non riuscirci mai?
Hai mai provato la sensazione che dà indietro il mondo quando tu spalanchi le tue braccia e il mondo ti passa davanti senza guardarti nemmeno?
Non so quanti sì e quanti no tu abbia detto.
Io ho un sì come risposta ad ogni domanda.
Questa sono io, io sono questa qui, quella che guardi credendo di vedere, che ti fai un’idea senza nemmeno pensare.
Quando anche tu avrai un sì come unica risposta, allora ok, allora parla pure con me.

            da “Sette notti con Liga” Chimena Palmieri, 8 ottobre 2013 alle ore 7,54

Io non lo so se ho tutti sì, quindi non so se posso parlare con lei.
Io non lo so se ci sono dei no, che non ne sono mica certo.
Io non lo so se certe risposte possono essere solo sì o no.
Io non lo so, ma ci provo.
E allora sono qui, anche solo per salutarla.
E per scrivere che il fuoco c’è stato, che la smania c’è stata e ci sarà, che qualcuno c’è stato, che la mia vita è stata tra le mani e la voglio lasciare andare e non è sola, che quella sensazione mi fa venire i brividi ed è sempre presente, che quella bellezza che dicono mia io proprio non la capisco, che quel pugno che ti stringe la vita mi sa che l’ho già visto, che c’ero eccome ed entrambe le volte, che c’ero con tutte quelle urla, che quelle notti ci sono state e forse ci saranno, che gli occhi devono rimanere aperti davanti a certe robe, che ci sono stato a letto implorando il mio spazio e il mio tempo, che ho camminato e camminerò, che credo di conoscere certi significati, che credo che so cosa voglia dire sognare, che certe sensazioni credo di averle provate.

Quindi, ora, non ho che da salutare.

Ciao Chimena, sono contento di quel po’ che ho.

Alla prossima, volentieri.


domenica 3 novembre 2013

Ho rivisto Cif, quasi

Stavo entrando nel mondo dei grandi.
Era lì a un passo ed io piano piano cercavo di muovere i miei primi passi incerti e zoppicanti.
All’improvviso, nel bel mezzo di un’estate incandescente, arrivò correndo e saltando e sbavando, era Cif, il bracco tedesco più forte mai visto sulla faccia della terra.
Roba che da lì a qualche anno aveva vinto pure dei premi in esposizione, ed era pure ricercato per la fecondazione, ma lui non aveva mai avuto tempo per certe robe, ha sempre preferito la selvaggina.
E se non era il cacciatore a sparare bene, lui sgridava e pensava da sé al bottino.
Non è stato da solo l’episodio del rientro dalla perlustrazione con tra i denti il fagiano ancora scalpitante.
E non si è mai scordato di sgridare con la sua testata alla gamba quando chi lo accompagnava sbagliava un colpo sicuro, come a dire io che faccio il lavoro sporco, voglio pure divertirmi, vedi di non mancare più il bersaglio che altrimenti mi devo arrangiare da solo come spesso.
Cif è un mito. Era perché gli anni sono passati e la malattia se l’è portato via ancora in forma.
E’ perché il mio ricordo si ferma all’immagine dei suoi muscoli delle zampe posteriori, al suo sguardo da marpione, alla sua corsa ciondolante e potente, alla sua preda tra le grinfie.

L’altra sera stavo attraversando il Boschetto.
Un bracco tedesco con collare giallo e campanella stava attraversando la mia via.
Era visibilmente frastornato e confuso come a non sapere dove andare.
Mi sono fermato, ho accostato, ed ho impedito che la sua fine fosse vicina sotto le ruote involontarie dei passanti.
L’ho preso con me con i miei passi, nei pressi della Bottega.
Pochi minuti dopo, anche dopo una mia notevole ansia che mi faceva dubitare sul da farsi, è comparso il cacciatore padrone del bracco.
Mi ha ringraziato, io gli ho spiegato l’accaduto, e mi ha ringraziato di nuovo.

Sono stato contento di avere perso non avere perso del buon tempo per accudire qualche minuto un bracco tedesco sperso per la via.


Ci ho rivisto Cif, quasi.

venerdì 1 novembre 2013

Ho la memoria che ho

Qualche sera fa ero in giro a piedi per i viali del paese.
Le foglie abbondanti di quest’autunno indefinibile erano incollate dalla pioggia scesa nei giorni precedenti.
La temperatura dell’aria, nonostante l’ora serale, permetteva di non indossare alcun giubbotto.
Il cambio dell’ora legale solare costringeva il sole al sonno e la notte a presentarsi presto.
Avevo fretta, osservavo i miei passi e guardavo distratto chi incrociava la mia via mentre camminavo svelto per i miei pensieri e i miei conti.
Seduti al tavolino di un bar erano due ragazzi, poco più giovani di me, una lei e un lui. Lei non la conoscevo, direi proprio mai vista, lui lo conoscevo, certamente quel viso mi stava raccontando che ci avevo pure parlato in uno o più momenti del mio passato nemmeno troppo lontano.
Ma quale sarà stato mai il suo nome?
Ero certo fosse lui, incontrato per pochi mesi e a intervalli ripetuti, quindi magari male, ma ero certo fosse lui.
Mi capita spesso di vedere volti e sorrisi e sguardi che mi dicono qualcosa, che al minimo mi raccontino immediatamente una roba tipo guarda che ci siamo conosciuti e abbiamo parlato spesso insieme, si certo sono io quello che pensi che io sia, o qualcosa del genere.
Qualche sera fa ero in giro per i viali, scalciavo le foglie umide sull’asfalto a ogni movimento del mio passo, e un ragazzo seduto al tavolino di un bar aveva distratto l’attenzione dalla sua compagnia, dolce!, per sorridermi e dirmi qualcosa. Certamente per ripigliarmi dalla mia solita testa tra le nubi mi aveva detto uno svelto ciao non ci conosciamo più?, mentre io crollavo sulla terra certo di sapere chi fosse ma ignaro completamente del suo nome rispondevo col mio sorriso migliore, spero, certo mille anni fa in mezzo a un campo…, lasciando intendere che fosse una battuta e proseguendo la mia via sicuro che io, da sempre, ho la memoria che ho.

Mi dispiace incontrare persone e sapere di poterle salutare poiché un minimo di passato in comune esiste da qualche parte e non avere la certezza di poterle chiamare per nome o foss’anche per soprannome.
Mi dispiace, e un po’ mi sento in colpa.


Ma sono fatto così. E porto pazienza.