Ecco
che lui, così piccolo ma così grande, col suo carattere forte e fragile, che è
ancora da capire e orientare bene, sta perlustrando il grande tatami blu delle
arti marziali della caduta, non è ancora vestito di bianco kimono ma sembra
interessato come non altre volte.
Curioso,
questa sera sono presente, anche se ora siamo separati dalla porta di ingresso,
oltre la quale l’ipotetico maestro impartisce le mosse o lezioni o discipline.
Non ho
mai capito perché qui siano chiamati maestri e non allenatori, e perché di
conseguenza o inversamente a scuola siano chiamati maestri e non allenatori. Rimane
qualcosa di dubbioso e nebuloso nei miei pensieri che per certi versi sono stropicciati
per bene.
Ora,
qui nell’angusta anticamera, leggo sul muro, in un quadro scritto a mano:
In questa notte scura, qualcuno di noi, nel suo piccolo,
è come quei “LAMPADIERI” che, camminando innanzi, tengono la pertica rivolta
all’indietro, appoggiata sulla spalla – con il lume in cima. Così, il “lampadiere”
vede poco davanti a sé – ma consente ai viaggiatori di camminare più sicuri. Qualcuno
ci prova. Non per eroismo o narcisismo, ma per sentirsi dalla parte buona della
vita. Per quello che si è. Credi.
Allora,
c’è la luce, c’è l’offerta più o meno inconsapevole di luce, c’è il mostrare la
propria strada al prossimo, anche se il prossimo potrebbe non esserci, c’è il
viaggiatore che segue un esempio, una luce, il viaggiatore che cammina, un
camminatore, c’è il tentativo di stare dalla parte corretta del fiume, c’è,
anche se piccolo, il proprio io, c’è l’incoscienza, forse, di essere se stessi.
Ecco,
allora, a me piace camminare, non importa se davanti a far sentiero o dietro a seguire chi ne sa.
A me
piace camminare.
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