domenica 6 ottobre 2013

Ho conosciuto Enrico

E ne sono felice, contento, con l’espressione ebete di chi non crede agli occhi, che non crede a quello che sta vivendo, l’espressione del tonto che non comprende bene il mondo che gli gira intorno.
La mano stretta ben due volte, e i sorrisi che non si sono sprecati.
La scusa è stata, giovedì scorso, la Festa del Racconto, dalle parti della bassa modenese, più o meno.
Il cinema teatro, visto che fuori l’autunno spinge per davvero, si riempie per bene, e meno male. Però che peccato, la piazza sarebbe stata veramente una bella cornice.
Enrico sale sul palco e ci saluta e nel farlo ci avverte che lo spettacolo, se così vogliamo chiamarlo, non verterà sulla sua ultima pubblicazione, già nel mio zaino, bensì sarà il racconto di sportivi, compreso lui, scopriremo, italiani e non, in particolare eroi del pedale, inteso come biciclette e ciclisti.
Ora, la mia paranoia è nota e latente, credo, forse, ma tanto mi sono rivisto.
Il suo modo di fare, le mani quasi dentro le tasche, l’incedere la camminata, il guardare un po’ qui un po’ lì in alto a cercare chissà chi o chissà cosa, le pose di attesa, i movimenti a seguire la musica, mi ricordano veramente tanto un caro amico, inaspettato amico, e i sorrisi si sprecano, i miei sorrisi che non sono solo così.

Enrico racconta il suo racconto, e vorrei essere io.
Si comincia da Gimondi, con Merckx il cannibale, si arriva a Moser lo sceriffo, e i duelli con vari ciclisti, come Saronni e il francese Bernard-Inò, per concludere col Record dell’Ora con un tegame in testa.
Nel mentre c’è una bici con le rotelle ereditata, un giardino piccolo ma eterno, una Mirella che è da femmina ma che non ha rivali con le ruote di quel raggio, le prime volate sui pedali, e l’uscita dal giardino per cominciare a entrare nel mondo dei grandi.
E tutto è capitato per davvero, anche da me, pare esattamente così.

Non capisco se legge o se ricorda a memoria tutte le esatte parole.
Ma chissenefrega.
Però se mi piace. Cavolo se mi piace.
Uno dei miei sogni è mettermi lì a leggere la mia roba.
E lui lo sta facendo, ed io sono qui ad ascoltarlo.
E mi emoziono, cazzo se mi emoziono.
E lo sento che cambia la voce in base a quale sia il personaggio più o meno importante che ora sta raccontando la sua parte.
E capisco che c’è un perché anche a questo.
Lo vedo bene lì sul palco e mi sembra di conoscerlo da sempre.
Lo vedo bene e il mio sguardo gli arriva pieno e passa oltre e a quello che non conosco.
Lo vedo, lo sento, lo ascolto.
Pone un autografo che proprio non mi aspetto.
E scrive, a modo suo, quello che volevo scrivesse sul mio Jack.
(credo di avere capito cosa porta qualcuno a uscire dal gruppo, credo)

Dopo è solo il freddo che passa dopo una vigna e dopo l’aria scaldata dal motore.
Tutto è stato condito da qualcosa e qualcuno che non ha spiegazioni, che mi voglio tenere per me.

Enrico, Brizzi, da Bologna, quasi coetaneo. A presto, spero.

E un biglietto è andato.




4 commenti:

  1. Anch'io! E non ci credo ancora!
    Enrico ha quegli occhi furbetti che te la sanno raccontare,
    nel suo sguardo puoi raccogliere la sua voglia di avventura migratoria,
    i suoi gesti e le sue movenze sono sempre pronte a catturare l'attenzione dello spettatore,
    le sue parole sono sempre piene di qualcosa che già ti appartiene da tempo ma che avevi semplicemente riposto nell'album ingiallito dei ricordi.
    Bravo Enrico e, come ho avuto modo di dirti a voce, continua a far sognare noi avidi lettori....
    Mi raccomando, conto sulla tua complicità.

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  2. Gli occhi furbetti!, sì, proprio quelli esprimono molto della persona.
    Le cose che ci appartengono sono sempre lì, e sentire che Enrico te le sa raccontare è una sensazione strana, quasi di condivisione.
    Ti fa sentire felice del tuo ricordo che non è solo il tuo, o qualcosa del genere.

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  3. Esatto, saperla raccontare è un dono che non appartiene a tutti.
    C'è chi ci prova ma non riesce, perchè perde le parole e vaga in giro con lo sguardo alla loro ricerca.
    Chi ne è capace quindi, deve farlo anche per gli altri, per quelli che lì si ritrovano e riescono così ad avere uno sguardo meno perso e un sorriso un pò più ebete.

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  4. Già. Chi sa fare robe è bene che le faccia.
    Lorenzo dice che è "La tua vera natura" e avverte che "la giustizia del mondo punisce chi ha le ali e non vola".
    E mi sa che il nostro, qui, conosciuto, stia volando bene.
    E noi a osservare, a volte lontani, a volte più vicini.

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