mercoledì 23 ottobre 2013

Circa cinque anni fa

Probabilmente questo è un momento durante il quale certe parole e certe musiche vanno a toccare alcuni tasti e vanno ad aprire dei cassetti.
Sono lì, i tasti e i cassetti, e non sempre li nascondo e li tengo solo per me.
Oggi, proprio qualche minuto fa, ne è passata una che circa cinque anni fa fece breccia in un punto non identificato.
Punto che scoprii solo poi essere molto ampio, e ancora più in avanti un poco crepato.
Tant’è.
Come sempre, come disse Bruno amico di Ivan, delle vostre canzoni vi potete fidare.

Eccola allora Me la caverò, allora girava Tuttomax, ed io avevo raccolto qua e là ricordi e sensazioni nel mio personalissimo Pezzaliperme – estateduemilaotto:


Occhi che mi guardano, dallo specchio osservano, occhi a volte un po’ troppo severi scrutano
Per capire quanto c'è di diverso, come se dalla faccia e dai capelli fosse semplice intuire se quello riflesso sono ancora io, se ogni piccolo dettaglio su quel volto è proprio mio, se ce la farò ogni giorno ad affrontare tutto quello che verrà, tutto quello che verrà
Me la caverò, proprio come ho sempre fatto, con le gambe ammortizzando il botto
Poi mi rialzerò ammaccato non distrutto, basterà una settimana a letto
Poi verrà da se, ci sarà anche qualche sera in cui usciranno lacrime, ci sarà anche qualche sera in cui starò per cedere, ma poi piano piano tutto passerà, senza accorgermene tutto passerà
Il silenzio a volte è peggio del rumore che perlomeno copre il brulicare delle idee che di notte vengono che di notte affollano col loro brusio il cervello e lo martellano
E fanno sembrar difficile anche ciò che non lo è, e fanno sembrare enormi anche le cose minime
Così guardo te che dormi accanto e penso che miracolo, vedi a volte accadono
Me la caverò, proprio come ho sempre fatto, con le gambe ammortizzando il botto
Poi mi rialzerò ammaccato non distrutto, basterà una settimana a letto
Poi verrà da se, ci sarà anche qualche sera in cui usciranno lacrime, ci sarà anche qualche sera in cui starò per cedere, ma poi col tuo aiuto tutto passerà, senza accorgermene tutto passerà
Me la caverò, proprio come ho sempre fatto
Poi verrà da se, ci sarà anche qualche sera in cui usciranno lacrime, ci sarà anche qualche sera in cui starò per cedere, ma poi col tuo aiuto tutto passerà, senza accorgermene tutto passerà


Allora come oggi all’apparenza porta malinconia.
In realtà porta voglia di vedere cosa c’è oltre, un po’ più in là, aprendo le braccia certo che in giro c’è ancora qualcosa di buono.

E si deve credere ai miracoli, perché sono veri, molto.


lunedì 21 ottobre 2013

Fabrizio raccontava il Domani

Da qualche anno a questa parte ho un’idea del domani piuttosto diversa da quella che avevo anni addietro, giacché il futuro si accorcia, e le boe si susseguono, per fortuna.

Domani ha preso un significato diverso da quando a seguito del tremore che ha sconvolto la regina dei cieli e dei suoi futuro qualcuno ha pensato bene di cantarne la speranza, o qualcosa del genere.
Domani ha un altro significato da quando un miracolo espose serenamente vedendolo come già oggi, sostenendo che oggi è già domani ne evidenziò una grande verità.
Domani è un tempo che non è tangibile, se non sui calendari.

Domani, in tempi non sospetti, fu raccontato anche da Fabrizio Moro nell’album omonimo. Ne raccolsi la musica e le parole in un momento di forti riflessioni, con dei miracoli che erano ben tangibili, e certe idee che andavano mutando col tempo che non smette mai di andare e di portarti oltre, sempre più in là.
Eccola:

Domani arriverà fra un po' ma tu sei sveglia già
Avrai bisogno di qualcosa da dire, avrai bisogno di qualcosa da fare
Ma sarà solo un altro giorno, un nuovo giorno per ricominciare
Domani proverai a dimenticarti tutto
Domani metterai un vestito e un po' di trucco per sentirti diversa, perché diversa è la tua vita
Diresti che è un po' più in salita ma ce l'hai fatta già altre volte
Che ti ripeti che sei forte, che dopo tutto in fondo anche questa passerà (passerà)
Domani, domani, domani, domani, dài che domani uscirà il sole anche se dentro piove
E poi c'è la psicologia che da equilibrio ad ogni tua idea
E ti ripeti che sei forte che dopo tutto in fondo un altro amore arriverà (arriverà)
Domani, domani, domani, domani, dài che domani uscirà il sole anche se dentro piove
Domani, domani, domani, domani, dài che domani uscirà il sole anche se dentro piove
Dài che domani uscirà il sole
Dài che domani uscirà il sole
Dài che domani uscirà il sole


C’è una margherita che sboccerà ancora, ne sono certo.


venerdì 18 ottobre 2013

Cicli e giri e corsi

Si gira, e via, una nuova avventura, c’è una pagina nuova da scrivere e da colorare, c’è chi lo racconta ma è fuori come un balcone tanta è l’adrenalina, confonde i mesi lontani dei semestri, ma è giustificato che ha pochi giorni. Ma è pur sempre solo la sua droga personale naturale, e anche il mondo che è cambiato, che c’è gente che non è più la stessa, e vivere le robe così nuove non ha parole, che c’è da fare i bravi, sempre e per sempre, che certe robe sono per sempre, e il tempo non le smette ma le cambia e basta, che è tutta una continua evoluzione, che il delirio comincia dal primo attimo e termina anche oltre l’ultimo.

C’è chi pensa robe folli e pensa di smettere di pensare e di farle, quelle robe folli, senza nemmeno avvertire.
C’è chi s’incazza e crede che abbia deciso io per tutti e invece volevo solo lasciare la libertà di scelta, che ora è tardi, che ho fatto mistero, che c’è stronzaggine, che si pensa a qualcosa di grave e c’è roba che si tira, e tutto era per me, e c’è chi crede di non centrarci nulla.
C’è chi vorrebbe vivere bene una buona serata in un locale mai visto mai sentito, che si vive una volta sola, e quindi, alla fine, c’è da vivermi.
C’è chi si diverte davanti a un concerto in tv con le braccia alzate a rendere l’atmosfera come pochi giorni prima, quando tutto era dal vivo.
C’è chi si deve addormentare perché c’ha gli occhi che bruciano, ma non è il vento che s’infila e nemmeno il sale del mare che s’insinua e nemmeno la cipolla che sfrigola.
C’è che si legge Ho solo vent’anni dottore, e a me viene il magone.
C’è la grancassa del batterista, con una farfalla, sembra il due-mila-tredici come un nuovo solstizio, anno con dei voli, alti e bassi, da volare fino in fondo.
C’è l’odore, c’è il profumo, c’è che non se ne va, che è questione da mettersi lì a sognare ancora un po’.
C’è che è molto bello, a volte si piange, altre volte si sospira, a volte si mandano giù bocconi amari.
C’è che ci sono notti dove si sogna l’impossibile, che è meglio smettere che altrimenti diventa una faticata.
C’è che ci sono momenti che portano i grilli a riprendere a cantare.
C’è chi andrebbe anche da solo visto il comportamento di altri, ma c’è anche chi preferirebbe il non da solo che poi si rischia di annoiarsi e perché altrimenti si penserebbe troppo e quindi preferirebbe una compagnia, quasi qualsiasi.
C’è chi è emozionatissimo da una roba nuova sparsa in giro per il mondo. E chiede aiuto.
C’è chi si dà una mossa, che la vita non è in rima, e si fa suo un libro che sa essere importante per quello che troverà, e allora perché aspettare?
C’è chi sente il mare dentro una conchiglia e ricorda che forse si sta perdendo robe in giro, attorno a se, e dispiace, che lo stare male fa perdere colpi, anche i più semplici, anche se a volte è solo l’effetto del vento nelle curve della vita. E ad ascoltare bene, a volte si sentono altre robe, inimmaginabili.
C’è che non c’è nulla per forza o per pietà, che quando arrivano parole vanno lasciate andare dove devono andare, come ieri e come domani. E come sempre si vedono gli occhi, anche se cedono si vedono lo stesso, come sempre.
C’è chi crede sia strano come una stanza e la routine perdano il loro significato a seguito di un banale evento, dove non arriva la ragione l’anima sta in ansia.
C’è chi vede il sole ma con aria fresca e probabilmente si ammala.
C’è che è un onore e si cercherà di non scordarlo mai.
C’è chi gira in solitudine a catturare scatti di questo pazzo mondo.
C’è chi si sente col culo sulla sedia, e non sa se è un bene o un male, e che sente la mont blanc con cui far fuori, e non sa se è un bene o un male, ma ha tutto in tiro.
C’è che non c’è il tempo di calmarsi e non se ne ha voglia.
C’è che a volte c’è il clima adatto per sdraiarsi a godere dell’aria che rizza i peli e le sensazioni e porta le lenzuola sulle gambe e sulla schiena e lascia liberi i sorrisi e si sogni nel sonno.
C’è che prima di un giro in bici in compagnia è meglio un tocco di buon lambro, giusto per il coraggio, che dopo ci sono la pizza e la partita.
C’è chi ha un poco di carlite e ci sorride in compagnia.
C’è chi ha scoperto che deve fare più chiarezza, esponendosi di più, mostrando meglio la persona.
C’è che sui muri a volte sono scritte buone verità: Bisogna osare e lottare tutt’oggi per la speranza e il sogno di domani. E sarebbe bello fossero lette dal futuro.
C’è che sempre e mai hanno la coda lunga, forse è meglio forse il più possibile, a volte, a volte servono convinzioni.
C’è chi si confonde, che metà bottiglia non è un po’, che è seduto sulla sedia e teme di cadere dal divano.
C’è chi cerca contatti e manda in giro robe di snoopy che raccontano: “ti amo”, “come sai che è amore?”, “perché quando penso a te mi manca il respiro”, “quello è asma”, “Allora ti asmo”. E non ci sono parole.
C’è che c’è da respirare e ricordarsi che là fuori che gente pronta a volerti bene.
C’è chi ti sa trasmettere le sue emozioni dentro i libri da leggere senza prendere fiato: era stupefacente vederle imparare ogni giorno a fare cose nuove.. Ognuna aveva gusti diversi e un carattere ben distinto.. che emozioni..
C’è che a volte serve un attimo ci calma, di quella che si cerca sempre e che serve, si prende un bel respiro, ci si guarda allo specchio, si riflette, e poi via…
C’è che si legge Le ossa già bussano alla pelle, ed io ho la pelle d’oca, e sospiro, per mia fortuna.
C’è che si legge, sempre lì: Ed è il mio germoglio di primavera siberiana, verde, bianco e azzurro, al di là della finestra… un magnifico assurdo.
C’è il tentativo di entrare chiedendo a persone lontane anche se vicine, all’aperto anche se dentro.
C’è chi pensa che sia un biglietto per le stelle quello lì davanti a te e cambierai la pelle ma non ti buttare via.
C’è che il pillolone ha la sua potenza, e quando serve c’è e si sente.
C’è che quando sei dentro tutto diventa diverso, te diventi te stesso per davvero, e tutto attorno prende un senso. Un casino!
C’è chi crede di essere dentro molto di più, e forse è così.
C’è chi è contento per te e conferma che s’è fatto bene.
C’è da chiedersi se questa sia felicità.
C’è chi crede che tu sia uno stronzo, molto.
C’è che ci avevo già pensato a una chiamata nel caso di un pezzo in particolare.
C’è chi è contento per te e crede che sia davvero felicità.
C’è il tuo odore, cercherò di continuare bene un sogno.
C’è un giro in bici di altri tempi.
C’è che la radio va e ci si rigira tra le lenzuola alla ricerca dell’ultimo attimo di sonno o di continuare un sogno bello.
C’è che certe robe per essere belle vanno usate, tipo i jeans e i loro strappi, ce ne sono alcuni che senza non avrebbero significato, e sarebbero inutili come una bibita sgasata.
C’è da lasciare elaborare, da raccogliere, copiare e incollare, sviluppare, e certe robe arriveranno dove serve.
C’è che certi pianti sono robe personali, e vanno appresi solo da quelli che ci sono attorno.
C’è che ogni tanto non si è certi che sia il merlot finito, bene, o che sia il down addosso, o la stanchezza, o che siano certe idee in testa che lì rimangono, ma c’è la sensazione che sia meglio la branda, con una buona serata a tutti e tutto.
C’è che avevi appena deciso di limitare al massimo le spese, eppure è bastato sentirne l’odore nella via che sei andato per una pizza d’asporto…
C’è che per fortuna c’è il collo, che altrimenti chi potrà mai trovarla la testa, anche se quelli così detti con la testa sulle spalle, questi fenomeni, mica vengono chiamati con la testa sul collo, quindi preferisco di gran lunga la mia, così com’è, che ogni tanto la uso per dare dei colpi, appunto, che ogni tanto la perdo e ogni tanto la ritrovo.
C’è che c’è da innamorarsi dei sogni che nessuno li porta via.
C’è chi li vuole chiamare per dir loro quanto gli vuole bene.
C’è che lo sanno bene, se a volte se lo dimenticano è solo perché sono presi dal gioco o dalla loro mente leggera com’è giusto che sia.
C’è che quando c’è il sole si deve guardarlo e sorridere, che non si sa mai che il giorno dopo sia offuscato da chissà che.
C’è da guardarci bene, controllare oltre, e si vedrà il sole, anche se pare un tramonto, e controllando l’ora capire che non è mai un caso.
C’è chi si commuove forte per un finale mozzafiato, Che c’è?, Niente. Non si può parlare e piangere insieme. E si ringrazia per quell’emozione.
C’è che sembra un sole di primavera, e invece no.
C’è chi si chiede quanto si deve preoccupare ancora, visto che le ultime notizie davano malanni seri.
C’è chi legge di un attacco di panico in una seconda notte e crede che sia niente male, anche se, in effetti, più che panico era un incubo, ma è giusto che ognuno ne tragga la propria idea.
C’è che il tramonto spesso è da urlo.
C’è chi segue dei consigli e si mette a cambiare l’armadio, anche se sembra assurdo ma almeno non trema più.
C’è chi rimane perplesso davanti all’ennesima spallata, che a dirla tutta a volte sembra di sentire robe tipo fiducia, ma c’è la preoccupazione del fatto che ora come ora è meglio fare una passeggiata, guardare un bel film, o cose simili, piuttosto che altro… non si riesce a lasciare andare i pensieri… non si sente la giusta libertà… e c’è certezza che sia così anche per altri, forse per ragioni diverse, ma non c’è più l’allegria e le iniziative dei primi tempi… purtroppo sembra che le persone siano diverse, molto, da quelle che apparivano all’inizio, forse più libere da dipendenze sono rese più prive di forze proprie, per avere una qualità di vita che abbia senso… insomma… ci sarebbe voglia di gridare al mondo tutto l’amore che c’è ma non si sa se è ancora davvero così… solo che la vita è una… e non si vuole buttar via anni vissuti male… non si vuole morire con rimpianti, si vuole vivere bene!, ma come si fa?, a volte si mescola nella mente anche il dolore che si porta ancora nel cuore per non essere capace… ci sono esempi come dei padri e delle madri che uniti come sono affrontano il cammino duro verso la fine di uno dei due… insieme tenendosi per mano… da una vita insieme, tra difficoltà e problemi, ma anche col sorriso… la spensieratezza di esserci… e con un sacco di bene…
C’è che a volte ci si appoggia come solito, si ringrazia per la pazienza e si augura un grande abbraccio!
C’è che il bene si fa ma non si dice, spiegava Ginettaccio al figlio… non si devono raccontare le proprie azioni benevole, saranno le azioni stesse a raccontare di sé.
C’è che come spesso le robe della vita vanno affrontate, dalle più piccole alle più grandi, almeno all’apparenza, è pur sempre vita da vivere, e saprai solo dopo la loro dimensione reale.
C’è che c’è stata la prima volta del dito senza cerotto.
C’è che la radio non smette mai di sorprendere e di tenerti lì ad ascoltare, tanto che fai come con lo sguardo curioso dei bovini che davanti a qualcuno che passa alzano la testa e osservano bene.

In fondo siamo pur sempre quelli che hanno voglia e tempo di ascoltare e di ballare.

I nuovi giri di chiave. 
Così il mondo rimane fuori, e qui non ci sono discussioni.

martedì 15 ottobre 2013

XX ha avuto una folgorazione

Lo ammetto, la cosa un po’ mi ha sorpreso, ma mi ha reso pure felice.
Ho ricevuto un avviso, un annuncio, e sembrava avesse il sorriso in volto.
Evviva l’ho trovata!
E ora è come un diario, un quaderno, come se fosse la stessa persona, perché l’emozione quando è partecipata unisce, anche se ci sono le distanze di mezzo.
E’ stata una folgorazione.
E’ arrivata così, improvvisamente. Però è arrivata.
Ho trovato il motivo che mi ha fatto tornare la voglia di ascoltare qualche nota. Volevo manifestare questa novità, poiché c’era del malumore in giro.
Non c’è motivo di attendere per spiegare, che so io?, dovrei raccontare del cantante?, non ho remore, il punto non è quello.
E’ la molla che è scattata che conta.
Prima non c’era niente che catturasse l’attenzione. Sembrava tutto uguale piatto e monotono, poi improvvisamente ho sentito queste note per radio, che hanno risvegliato il radar e poi ho prestato attenzione al ritornello. E’ un po’ triste, ma pazienza è l’emozione che trasmette che è importante.
Esatto. E’ l’emozione che conta.
Quando senti robe dentro, lo si può chiamare radar che si risveglia, quando allunghi le orecchie per ascoltare e sentire meglio le parole, o i battiti e il ritmo, o semplicemente un fruscio di sottofondo, è quel momento che conta.
E’ la molla che scatta, e non la fermi, ed è bello lasciarsi andare a queste robe…
Sono i Placebo con Too many friends.
Mi ha attratto il timbro di voce del cantante. L’avevo già sentita, ma l’ho ascoltata meglio solo dopo qualche giorno. Ero in auto sotto la pioggia.
Poi ieri l’hanno trasmessa di nuovo di prima mattina e lì ho avuto la folgorazione definitiva che ha scaturito la curiosità di andare a leggere anche il testo completo e riascoltarla e riascoltarla e riascoltarla.
Lo so bene che non è un caso! Lo so bene.
Il suono del piano che scorre così è di quelli che piacciono tanto, la cadenza della ripetizione del titolo fa pensare a un testo intenso.
Non è mai un caso.
Nella vita non accade mai nulla per caso, è solo il verso in cui prendere le cose che accadono che non esiste e non è definito a priori, devi arrivare a capirlo tu e solo tu.
Capita che a volte non riesci a spiegarti il perché di certi avvenimenti, così li attribuisci al caso o alla sfortuna o fortuna o ciò che vuoi. Non è nulla di tutto ciò, ma solo che non sei ancora pronto a capire appieno il significato di ciò che è accaduto, perché la vita non è una cosa matematica in cui tutto avviene con il giusto ordine e in logica sequenza.
A volte l’ordine e il senso si mescolano, per svariate ragioni. Tocca a te trovare il verso giusto in cui guardarla e poter mettere le cose nel senso che per te ha una logica.
…più o meno
Ora, senza montarsi la testa, credo sia un buon ragionamento, quindi è meglio condividerlo.
Anche se è un’emozione tutta personale.
Ora sarebbe meglio lasciare uno spiraglio aperto, non richiudere nulla, fare passare altra roba, al massimo quello che entra e non piace e passa e si scorderà, altrimenti saranno nuove e differenti sensazioni, e saranno appaganti, e smuoveranno qualcosa dentro e non rimarrai lo stesso che eri prima.
L’ho ascoltata, meglio, con la meraviglia di altri. Il ritmo è gradevole, il timbro di voce del cantante è accattivante; il ritornello che cita troppi amici - perché? - e troppa gente e la frase di apertura inconsueta – il mio computer pensa che io sia gay, come può?, hanno attratto la mia attenzione
Ho letto l’inglese, facendo un po’ di fatica, che sono pure pigro… Poi ho letto la traduzione, un po’ letterale, ma con l’originale al fianco. A grandi linee l’argomento, e l’opinione dell’argomento, è condiviso.
Se non ho capito male, è “contro” un certo sistema dei tempi moderni, la troppa elettronica, i troppi social network che impediscono il contatto umano vero, le troppe scorciatoie per aver di più senza ottenere nulla di concreto.
Ecco perché si chiede come fa un pc a capire certe robe.
Ecco che si lamenta di avere troppi amici, immagino in rete, e si lamenta di non avere il tempo di incontrare le persone in carne e ossa.
Ecco che nota come tutti o troppi utilizzano troppo il telefono, dove troppo alla fine stroppia.
Ecco perché butta il pc via dalla strada.
Ecco perché quella strada gli serve per rimanere in movimento.
Questo vien di getto, e ascoltando male una volta sola, e leggendo peggio nemmeno una volta.
La condivisione è gratificante. Pensare alle altre persone riempie.
Anche se non sembra, ci penso, in tante situazioni, molto più di quel che riesco a esternare.

Grazie XX, alla prossima, ben volentieri.



sabato 12 ottobre 2013

Dendermonde e il rock

Dendermonde è una cittadina del Belgio nella provincia fiamminga delle Fiandre Orientali.
Per il resto non so nulla, se non quello che mostra maps:


E altro, ma è un altro discorso.
Questo.

C’è un asilo.
C’è un bambino che come me ha acidità di stomaco, in modo particolare col latte.
C’è un bambino che come me cerca le scuse per non andare a scuola.
C’è una mamma che come me cerca di fare il suo dovere, senz’altro ingoiando i pianti e i lamenti.

Luciano qualche anno fa ce l’ha mandata senza avvertimento, dentro la scatola dove salutava i suoi mostri, che lo aiutava a spingerli un po’ più in là.
In quel periodo vivevo un momento particolare, duro e fragile, aperto e contorto, da prendere con le molle e da prendere tutto in una volta.

Da subito l'ho sentita forte, dentro, sotto pelle, tra lo stomaco e la gola, annodata ai sentimenti, alle emozioni, a quelle sensazioni irripetibili, pesante e avvolgente, che non ti lascia stare.
Non c’è volta quando l’ascolto che non ci siano gli occhi gonfi a fissare un punto inconsapevole, e la salivazione accresciuta che impedisce il mio canto.
Allora meglio respirare profondamente, e riprovare un’altra volta.

11. Quando mi vieni a prendere? (Dendermonde, 23/01/09), Arrivederci, Mostro!, 2010, Ligabue

Finché avranno ancora legami e radici,
finché non voleranno da soli del loro volo libero,
io non potrò non sentirla così.
I nodi ci sono, i magoni vengono su, gli occhi si gonfiano, e si vede tutto quello che sono.


Tatami e lumi

Ecco che lui, così piccolo ma così grande, col suo carattere forte e fragile, che è ancora da capire e orientare bene, sta perlustrando il grande tatami blu delle arti marziali della caduta, non è ancora vestito di bianco kimono ma sembra interessato come non altre volte.
Curioso, questa sera sono presente, anche se ora siamo separati dalla porta di ingresso, oltre la quale l’ipotetico maestro impartisce le mosse o lezioni o discipline.
Non ho mai capito perché qui siano chiamati maestri e non allenatori, e perché di conseguenza o inversamente a scuola siano chiamati maestri e non allenatori. Rimane qualcosa di dubbioso e nebuloso nei miei pensieri che per certi versi sono stropicciati per bene.

Ora, qui nell’angusta anticamera, leggo sul muro, in un quadro scritto a mano:

In questa notte scura, qualcuno di noi, nel suo piccolo, è come quei “LAMPADIERI” che, camminando innanzi, tengono la pertica rivolta all’indietro, appoggiata sulla spalla – con il lume in cima. Così, il “lampadiere” vede poco davanti a sé – ma consente ai viaggiatori di camminare più sicuri. Qualcuno ci prova. Non per eroismo o narcisismo, ma per sentirsi dalla parte buona della vita. Per quello che si è. Credi.

Allora, c’è la luce, c’è l’offerta più o meno inconsapevole di luce, c’è il mostrare la propria strada al prossimo, anche se il prossimo potrebbe non esserci, c’è il viaggiatore che segue un esempio, una luce, il viaggiatore che cammina, un camminatore, c’è il tentativo di stare dalla parte corretta del fiume, c’è, anche se piccolo, il proprio io, c’è l’incoscienza, forse, di essere se stessi.

Ecco, allora, a me piace camminare, non importa se davanti a far sentiero o dietro a seguire chi ne sa.
A me piace camminare.

martedì 8 ottobre 2013

Carlo viene dalla Siberia

La pubblicazione è del 1979 l’odore della carta ne è la prova più concreta ai miei sensi.
La sfoglio come carte da gioco per odorarne l’interno, come piace a me con i fogli dei libri, e mi arrivano moltitudini di emozioni che mi lasciano prima perplesso, poi affascinato, poi basito, poi felice, poi oltremodo emozionato.
La storia che leggo un poco me l’aspetto, ma mica tanto.
Ignoro come tanti quello che è stata la Siberia degli anni quaranta.
Fredda inospitale dura, eppure umana disponibile liberatoria.
Sono contento che qualcuno abbia trovato la forza, o l’urgenza, o la necessità, di raccontare la propria esperienza e i propri ricordi.
La narrazione sempre equilibrata è ricca di spunti, di andate e ritorni, di alti e bassi, di vitalità e di serietà, vita vera e materiale, umori umani di ogni genere, un punto di vista vario e non solo personale.
Si narrano i fatti, i tempi e le stagioni che passano.
Le forti ed estreme sensazioni dell’inizio portano all’interessamento successivo, e non poteva andarmi diversamente; a un certo punto non potevo esimermi dallo scoprire nuove parole, non potevo non sfogliare la pagina successiva; che non sai mai cosa trovi dopo, ma a quel dopo ci vuoi andare.
Come ci sono riusciti gli eroi, perché tali sono e non dobbiamo scordarlo mai, di andare oltre, di riuscire a tornare, a venire dalla Siberia.

Carlo Silva, Vengo dalla Siberia - diario di prigionia, Ed. Emme-i




Grazie Carlo, davvero, ritengo questo libro molto prezioso.

Sarà mia cura cercarne una copia, giacché quanto nelle mie mani sfortunatamente è solo prestato da chi si è fatto rapire il cuore dal racconto…

Questo libro, ne sono certo, andrebbe letto nelle scuole.

E non solo.

domenica 6 ottobre 2013

Ho conosciuto Enrico

E ne sono felice, contento, con l’espressione ebete di chi non crede agli occhi, che non crede a quello che sta vivendo, l’espressione del tonto che non comprende bene il mondo che gli gira intorno.
La mano stretta ben due volte, e i sorrisi che non si sono sprecati.
La scusa è stata, giovedì scorso, la Festa del Racconto, dalle parti della bassa modenese, più o meno.
Il cinema teatro, visto che fuori l’autunno spinge per davvero, si riempie per bene, e meno male. Però che peccato, la piazza sarebbe stata veramente una bella cornice.
Enrico sale sul palco e ci saluta e nel farlo ci avverte che lo spettacolo, se così vogliamo chiamarlo, non verterà sulla sua ultima pubblicazione, già nel mio zaino, bensì sarà il racconto di sportivi, compreso lui, scopriremo, italiani e non, in particolare eroi del pedale, inteso come biciclette e ciclisti.
Ora, la mia paranoia è nota e latente, credo, forse, ma tanto mi sono rivisto.
Il suo modo di fare, le mani quasi dentro le tasche, l’incedere la camminata, il guardare un po’ qui un po’ lì in alto a cercare chissà chi o chissà cosa, le pose di attesa, i movimenti a seguire la musica, mi ricordano veramente tanto un caro amico, inaspettato amico, e i sorrisi si sprecano, i miei sorrisi che non sono solo così.

Enrico racconta il suo racconto, e vorrei essere io.
Si comincia da Gimondi, con Merckx il cannibale, si arriva a Moser lo sceriffo, e i duelli con vari ciclisti, come Saronni e il francese Bernard-Inò, per concludere col Record dell’Ora con un tegame in testa.
Nel mentre c’è una bici con le rotelle ereditata, un giardino piccolo ma eterno, una Mirella che è da femmina ma che non ha rivali con le ruote di quel raggio, le prime volate sui pedali, e l’uscita dal giardino per cominciare a entrare nel mondo dei grandi.
E tutto è capitato per davvero, anche da me, pare esattamente così.

Non capisco se legge o se ricorda a memoria tutte le esatte parole.
Ma chissenefrega.
Però se mi piace. Cavolo se mi piace.
Uno dei miei sogni è mettermi lì a leggere la mia roba.
E lui lo sta facendo, ed io sono qui ad ascoltarlo.
E mi emoziono, cazzo se mi emoziono.
E lo sento che cambia la voce in base a quale sia il personaggio più o meno importante che ora sta raccontando la sua parte.
E capisco che c’è un perché anche a questo.
Lo vedo bene lì sul palco e mi sembra di conoscerlo da sempre.
Lo vedo bene e il mio sguardo gli arriva pieno e passa oltre e a quello che non conosco.
Lo vedo, lo sento, lo ascolto.
Pone un autografo che proprio non mi aspetto.
E scrive, a modo suo, quello che volevo scrivesse sul mio Jack.
(credo di avere capito cosa porta qualcuno a uscire dal gruppo, credo)

Dopo è solo il freddo che passa dopo una vigna e dopo l’aria scaldata dal motore.
Tutto è stato condito da qualcosa e qualcuno che non ha spiegazioni, che mi voglio tenere per me.

Enrico, Brizzi, da Bologna, quasi coetaneo. A presto, spero.

E un biglietto è andato.




giovedì 3 ottobre 2013

Lampedusa è in Europa

Eppure, a guardarla nella mappa dell’atlante, sembra più africana.
MA CHISSENEFREGA!!!
Sto cenando, bene, risotto zucchine e cotto, fagioli e bocconcini di pollo, vino frizzante secco.
Sto guardando il telegiornale.
E vedo un mare che accompagna la morte.
E vedo la morte camminare sulla spiaggia e sul pontile.
E vedo lacrime e braccia conserte.
E vedo visi tirati dalla vita.
E vedo persone che sembrano oggetti buttati lì.
E vedo uomini e donne con i cuori enormi.
E vedo giacche, e vedo cravatte, e non ci credo, non ci credo più.
E vedo giornalisti senza parole.
E vedo l’anziano italiano pieno di sdegno.
E vedo il padre vaticano urlare una vergogna.
E vedo bambini tra le onde.
E vedo la morte ignorata.

Eppure, ora, sto sgombrando la tovaglia.

Ho voglia di andare sulla spiaggia a guardare il mare.
Ho voglia di un mondo diverso, che abbia un titolo più vero.


Rimango ottimista. Spero.

martedì 1 ottobre 2013

Lunedì da leoni… all’Arena

Tutto era cominciato così:


Tutto era continuato così:


Tutto si è concluso così:


Ecco che allora non sai proprio mai cosa c’è dietro a un angolo girato di corsa o dopo una scelta quasi improvvisa.
Il giorno dopo la disavventura del venerdì all’esterno dell’Arena racconto le mie impressioni a chi di musica se ne intende, cercando di spiegare le buone emozioni che comunque una serata a Verona avevano portato, certo non proprio come la si voleva vivere ma pur sempre presenti nel tentativo di riuscirci, e brontolando assieme della pochezza di quelli che se ne approfittano di chi vorrebbe solo assistere allo spettacolo ma che poi non ha mica tanti mezzi a disposizione.
Anzi, a pensarci bene, i tentativi erano stati fatti già dall’inizio, in entrambe le occasioni, cercando risorse in amicizie sempre care e disponibili a dare vita all’anelito.
Ecco che questi, più serio che mai, dice poche semplici parole “Per me la serata migliore per provarci sarà lunedì, che è l’ultima…”, e i miei occhi si illuminano di nuova speranza e sorridono a una smania ancora da assopire.
Inoltre ho ricevuto notizie da fonte attendibile che “basta” essere presenti all’apertura e cercare di essere fortunati.

E’ pomeriggio di lunedì.
E’ deciso, si va, in due, che solo in due si riesce anche in questo giro, ma sappiamo bene che non arriveremo mai all’orario giusto dell’apertura, quindi conteremo come sempre in una botta di culo.
Dunque, partiamo col pensiero che forse sarà inutile come tre giorni prima, ma non ci fanno desistere nemmeno i rallentamenti a metà strada.
Quando finalmente si vede la città illuminata dalla prima sera ho un’intuizione che forse serve per davvero, forse no, e porto l’auto fin sotto l’Orologio mollando la compagnia alla “corsa” verso la biglietteria mentre torno sulle vie per cercare parcheggio.
Fortuna me lo trova subito, in piena Cittadella, e mentre metto il tagliando da pochi centesimi ricevo il saluto, sbagliato, di chi sta smettendo il lavoro al bar.
Sembra una serata positiva, il clima è buono, il cielo si sta stellando, e l’odore è carico di aromi buoni.
Bevo il caffè, ed espleto le esigenze fisiologiche.
Poi mi avvio verso la piazza e quello che sembra anche stasera qualcosa di incompiuto.
Arrivo bene ma non trovo. 
Ricevo richieste di acquisto alle quali rispondo solo Sto cercando una persona.
Poi vedo i biglietti in mano e l’emozione addosso.
Allora tutta la tranquillità che palesavo un attimo prima prende una forte spallata. 
Certo ci speravo ma forse non ci credevo davvero, soprattutto vista l’esperienza del venerdì.
E non è un caso che i vestiti del venerdì fossero ancora lì sulla sedia per poter essere pronti e in attesa di esser utilizzati per essere goduti al concerto, a raccogliere tutto quello che c'è.
In breve mi viene spiegato che sono da bagarino, purtroppo, infatti sono diversi, ma hanno gli stessi ingressi, e finché non si entra non saremo tranquilli. 
Mi viene spiegato che glielo ha detto in faccia che sono bastardi e il prezzo anche se per poco è sceso, e che non si fa così che si prendono in giro i fan e se ne approfittano della semplice voglia di assistere a uno spettacolo, ma anche che il tipo un minimo si difende dicendo di doverci pur guadagnare e che questi lui li ha comprati ieri, e dalle loro condizioni non stento a crederci.

Allora io, nel mio piccolo io, qui da me, mi domando, possibile che ieri il tipo losco abbia comprato dei biglietti per oggi?
Voglio dire, mi chiedo, c’è stato qualcuno, un semplice fan, o addirittura uno del Bar, che la domenica è stato al concerto ed aveva biglietti per il lunedì?
Voglio dire, perplimo, (?), perché se li aveva la domenica per il lunedì non li ha usati anche il lunedì?
Io magari potessi fare due serate in un tour.
Non è che PER CASO, comprando per se per la domenica, per lo spettacolo che ha visto, aveva comprato, sempre l’ipotetico fan o componente del Bar, anche dei biglietti in più per il lunedì ma senza la minima intenzione di assistere allo spettacolo del lunedì?
Con le conclusioni che già sappiamo.
Contorto lo so, ma quanto capitato in giugno non me lo toglie nessuno dalla testa.

La fila all’ingresso che mena alla piazza è pienissima, e non ho voglia di aspettare. Propongo ed ottengo di andare dalla parte opposta, dove i numeri degli ingressi sono alti, ovviamente passando dalla parte dei camerini. Lì vediamo Maio parlottare bene con un tizio, e chi è con me lo saluta gridando tanto che anche dentro l’Arena si sono zittiti tutti per un attimo. Lui, gentilissimo, saluta un gergo incomprensibile e lo sguardo visibilmente perplesso, ma ha salutato, non se ne è fregato, siamo contenti e sorridiamo.

Davanti all’ingresso vero e proprio, dove cominciano i gradoni alti uno stinco, il primo momento a trattenere il respiro.
Saranno davvero buoni i nostri biglietti? Così diversi così strani così quasi illegali…
Io provo per secondo, dopo che davanti a me si pretende con la voce tremante il biglietto strappato a dovere. Non sento il bip del lettore del codice a barre, ma la maschera mi dice Prego avanti e non me lo faccio ripetere.
Ora l’emozione è alta.
Siamo pur sempre all’Arena di Verona, è un luogo speciale, e tra poco più di mezz’ora si spegneranno le luci e Lui sarà ancora davanti a noi.
Per me non è la prima volta, ma ogni volta, si sa bene, non è mai come la volta prima, o come la successiva, ed è giusto così.
Salgo saliamo con la voglia palpabile di vedere, finalmente, dentro.
Ci si guarda intorno stupiti ma non troppo per la tanta gente presente.
Ci sono nodi che si trattengono ancora per poco.
Qualcuno finalmente ci fa posto.
E allora certi argini vengono giù, e ci sono posti irrorati in questo mondo che nessuno conoscerà mai.

Poi, davvero, come diceva Antonello, si accendono le luci sul palco, si spengono quelle di servizio, l’atmosfera si riempie della sera veronese, l’orchestra strimpella robe, e c’è il primo gesto esultante perché Lui ci dà il benvenuto…




Ho il mio primo magone mandato giù a fatica, e Il giorno di dolore che uno ha a cappella con tutta l’Arena a fare la seconda voce è da pelle d’oca, tanto che mi si riga la guancia anche se solo per un po’.
Non ho freddo, tutt’altro.
Leggero mi ricorda quindici anni fa quando era in conclusione dello spettacolo, con luci accese ovunque e quasi sussurrata, quando ci si guardava in faccia a vicenda e si palpava tutta quella delicatezza.
E mi domando da che parte voglio stare, ma forse lo so già, solo che non ne ho gli strumenti, o le forze, o le convinzioni, oppure non ci voglio credere. Il più è provarci.
Mi sento spingere con le mie parole, come altre volte, ma stavolta sembra tanto diversa e strana a forse vera, ora che sto cominciando una roba che non conosco; che non si può vivere per sentito dire.
Poi con l’aiuto di Francesco, strappando altri magoni tra il mento e lo stomaco, pensando alle notti in bianco e alle angosce e al vino, si capisce bene che alla fine è solo per trovare qualcuno buono pronto che abbia tempo e voglia di ascoltare e volendo di ballare.
Quando chiede e quasi sfida la mia conoscenza del testo io gli rispondo tra me e me che Male non farà gliela canterò tutta d’un fiato, e mi domando chi farà mai il coro sulla coda dello slego finale; e infatti il coro non c’è mica.
Male non farà!, stasera ha sparato sui gradoni dell’Arena Male non farà.
Roba da non credere. E sono molto compiaciuto. E non è mica un caso.
C'è una bellezza attorno a noi che non ha bisogno di navigatori e io rimango con le mani sulla testa come la prima volta.
E ho visto Margherita sorridere e indicare il cielo.
E Certe notti sono proprio notti che non dovrebbero finire mai, con tutto quello che c’è.
Verso la fine c’è una serie di pezzi da saltare per aria.
Io mi accorgo di una grande verità: non sono adatto agli spalti. 
Le tribune e le gradinate, come questi mitici dell’Arena, non sono fatti per me; io mi sento più animale da prato, tuttalpiù da parterre; a vederlo dritto in faccia, anche se da lontano, cosicché le braccia io le possa indirizzare sempre a Lui o al cielo o a me o ai miei pensieri.
Di lì a poco, lo so bene, arriva anche il momento del petto nudo.
Sarà l’adrenalina, sarà l’occhiale appannato, saranno i salti e la voce che se ne sta andando, ma ho pure sbagliato il pezzo, accorgendomene solamente a metà canzone.
Poi, però, mi sono rifatto, come da cinque anni a questa parte, mi sono messo a nudo su quel ritmo travolgente, a braccia aperte e sparate pure ragazzi che qua non ce n'è per nessuno, su quelle parole precise, sulle domande che hanno risposte, e non solamente per le canzoni, per le parole o la musica.
Il bacio, il saluto, la gioia, il tutto in una canzone. Ma non solo.
Giacché questa è la vita che ho, a volte andrebbe mescolata, poi vedremo, poi… che c’è qualcosa che non ho ancora conosciuto, ma c’è sempre la speranza che il meglio non lo abbia ancora provato.
Alla fine mi piace riconoscere il culo sulla sedia e quella Montblanc con cui ti faccio fuori, e mi piacerebbe davvero riuscire a fare qualcosa con la penna.

Quindi per farla breve, la serata scivola tra varie tante emozioni forti.

E i sogni, quelli, sono solo miei, e non è un caso che sui saluti finali passi La porta dei sogni, e Lui ci chiede di chiuderla.





Ma noi, testarti, mica li giriamo i giri di chiave…