venerdì 28 febbraio 2014

Non è mai troppo tardi e la lettera ai bambini di quinta

Correva il 1976 ed io non avevo nemmeno un’età, mentre loro erano già in quinta.

Pochi giorni fa, come spesso di recente, quella diavoleria di televisione mi schiaffeggia con parole nette certe e dirette.
Siamo ancora in riviera di ponente e un ospite recita a memoria una piccola parte di un lavoro importante che di lì a pochi giorni sarebbe stato trasmesso da mamma rai.
Mi fermo immediatamente, lascio perdere quello che sto facendo che reputo un’inezia a confronto, e rimango all’ascolto di parole indirizzate.
Prendo un appunto, mi segno un nome e un cognome, e un anno, e una lettera, sul primo pezzo di carta che trovo nella confusione della tavola apparecchiata per altro.
Lo rileggo, l’appunto, e lo tengo lì, dove fa un po’ più caldo, forse.
Passano i giorni, zappo sulla televisione con malavoglia ed incrocio robe che alla fine non interessano.
Poi fermo la zappa del telecomando su mamma rai, ed assisto almeno all’ultima ora del film per la tv “Non è mai troppo tardi” titolo di una vecchia trasmissione che fece tanto per tanti.

Protagonista un uomo buono, colto, all’avanguardia, paziente, espansivo, riflessivo, pacato, deciso.
Alberto Manzi dovrebbe essere raccontato di più e meglio, assolutamente non solo per la trasmissione di cui sopra.

Eccola allora, quella lettera che mi ero segnato su quel pezzetto di carta, e quelle parole dritte a bersaglio, dirette, precise, amorevolmente abbraccianti tutta la quinta classe di quell’anno.
(cerco di ripeterla come l’ho trovata in rete)

Abbiamo camminato insieme per cinque anni.
Per cinque anni abbiamo cercato, insieme, di godere la vita; e per goderla abbiamo cercato di conoscerla, di scoprirne alcuni segreti. Abbiamo cercato di capire questo nostro magnifico e stranissimo mondo non solo vedendone i lati migliori, ma infilando le dita nelle sue piaghe, infilandole fino in fondo perché volevamo capire se era possibile fare qualcosa, insieme, per sanare le piaghe e rendere il mondo migliore.
            Abbiamo cercato d vivere insieme nel modo più felice possibile. E’ vero che non sempre è stato così, ma ci abbiamo messo tutta la nostra buona volontà. E in fondo in fondo siamo stati felici. Abbiamo vissuto insieme per cinque anni sereni (anche quando borbottavamo) e per cinque anni ci siamo sentiti “sangue dello stesso sangue”.
            Ora dobbiamo salutarci.
            Io devo salutarvi.
            Spero che abbiate capito quel che ho cercato sempre di farvi comprendere: NON RINUNCIATE MAI, per nessun motivo, sotto qualsiasi pressione, AD ESSERE VOI STESSI. Siate sempre padroni del vostro senso critico, e niente potrà farvi sottomettere. Vi auguro che nessuno mai possa plagiarvi o “addomesticare” come vorrebbe.
            Ora le nostre strade si dividono. Io riprendo il mio consueto viottolo pieno di gioie e di tante mortificazioni, di parole e di fatti, un viottolo che sembra sempre identico e non lo è mai. Voi proseguite: e la vostra strada è ampia, immensa, luminosa. E’ vero che mi dispiace non essere con voi, brontolando, bestemmiando, imprecando; ma solo perché vorrei essere al vostro fianco per darvi una mano al momento necessario.
D’altra parte voi non ne avete bisogno. Siete capaci di camminare da soli e a testa alta, PERCHE’ NESSUNO DI VOI E’ INCAPACE DI FARLO.
Ricordatevi che mai nessuno potrà bloccarvi se voi non lo volete, nessuno potrà mai distruggervi, SE VOI NON LO VOLETE.
            Perciò avanti serenamente, allegramente,
con quel macinino del vostro cervello SEMPRE in funzione; con l’affetto verso tutte le cose e gli animali e le genti che è già in voi e che deve sempre rimanere in voi;
con onestà, onestà, onestà, onestà, e ancora onestà, perché questa è la cosa che manca oggi nel mondo, e voi dovete ridarla,
e intelligenza,
e ancora intelligenza,
e sempre intelligenza,
il che significa prepararsi, il che significa riuscire sempre a comprendere, il che significa sempre riuscire ad amare, e…amore, amore.
Se vi posso dare un comando, eccolo: questo io voglio.
Realizzate tutto ciò, ed io sarò sempre in voi, con voi.

E ricordatevi: io rimango qui, al solito posto. Ma se qualcuno, qualcosa, vorrà distruggere la vostra libertà, la vostra generosità, la vostra intelligenza, io sono qui, pronto a lottare con voi, pronto a riprendere il cammino insieme, perché voi siete parte di me, e io di voi.
Ciao,

Ho sempre la pelle d’oca rileggendola, e i magoni vagano in ricordi personali e in speranze per i domani.
Un maestro così dovrebbero averlo tutti i bambini.
Voglio dire, ha scritto una lettera così a bimbi di dieci anni: uno spettacolo!
E noi che li crediamo ancora piccoli.
Certo nessuno può sapere cos’hanno pensato tutti quei macinini di cervelli in quell’esatto momento, ma non è quello, è quello che era stato prima nei cinque anni, e quello che sarebbe stato dopo nel ricordo e nel bagaglio culturale e civile e ricercato che quei bambini hanno portato con sé negli anni successivi.
(forse come con una valigia con quattro farfalle dure a morire…)

Sono basito. Sono senza parole. Eppure sono qui a scrivere. Forse proprio perché interessato.

Durante la visione di quell’ultima ora di film mi ero segnato altro, all’episodio del controllo di preparazione da parte dell’inviato del provveditorato, o qualcosa del genere, dove si rimproverava un alunno di somaraggine. Si sottolineava l’importanza della punteggiatura, nella lettura come nella scrittura.
E lui, Alberto Manzi maestro di quinta, scrisse un esempio alla lavagna:

            Il maestro, dice l’ispettore, è un somaro.
            Il maestro dice: l’ispettore è un somaro.

Una genialità!!!
Basta poco per scrivere leggere capire intendere qualcosa di diverso da quella che è la realtà.

Correva il 1976 ed io non avevo nemmeno un’età, e oggi mi chiedo:
perché nessuno mai me ne ha raccontato queste vicende? PERCHE’?


2 commenti:

  1. Io credo che certe cose prima di essere raccontate devono essere capite, per capire bisogna ascoltare e spesso non se ne ha voglia, non si ha tempo o siamo distratti da altro che ci sembra più importante. Per questo spesso non afferriamo e non facciamo tesoro di quello che la vita ci offre su un piatto d'argento
    Insegnare è un mestiere difficile, ma non intendo l'insegnamento canonico preso dai libri di testo, ma le lezioni di vita, quelle che non apprendi solo sui banchi di scuola. Certi incontri ti potrebbero cambiare la vita, allora bisogna essere svelti e pronti ad afferrarli, ma non sempre ci si riesce..... e ti sfuggono come acqua tra le dita.

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  2. Pronti.
    Hai scritto una bella parola.
    Riuscire ad essere pronti nelle robe che si vivono non è mica poco.

    E anche svelti non è da tutti.

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