venerdì 14 febbraio 2014

Cinico

Cinico va a braccetto con romantico, e non me lo sarei mai aspettato.

Da un vocabolario on line cinico è riconosciuto come aggettivo e o sostantivo, anche nella declinazione femminile. Letteralmente deriva dal latino e dal greco, da cane e da canino in quanto simile al cane o che imita il cane giacché pare che i cinici, le prime persone chiamate così, dispregiassero le istituzioni sociali e le convenienze, immagino gli usi e i costumi dell’epoca, ed escludevano il desiderio che pregiudicasse l’autonomia dello spirito, negavano la religione tradizionale, ed esibivano abitudini naturali e animalesche.
            In altra parte viene riportato qualcosa più vicino ai tempi che corrono: cinico è
chi, con atti e con parole, ostenta sprezzo e beffarda indifferenza verso gli ideali, o le convenzioni, della società in cui vive;
chi non arrossisce di nulla, impudente, sfacciato.

            Wikipedia riprende quanto già scritto, e leggo qua e là supplementi validi. Pare che l’appellativo cinico fu dato ai primi (vedi sopra) in senso dispregiativo dalle correnti filosofiche avversarie, quindi immagino io in modo distante e abietto, evitando la conoscenza di chi diverso. A un certo punto l'ideale era l'autosufficienza condotta fino all'assoluta indipendenza dal mondo esterno, cioè autarchia, capacità di detenere il totale controllo su se stesso. Pare che l’unico fine fosse la ricerca della felicità, intesa anche come virtù eventualmente da opporre alle comodità e agli agi materiali.
            Si potrebbe intendere, poi, con la lettura d’insieme dei vari passaggi nella storia, che il cinico permea lo stoico con molta virtù. Ma questa è solo un’interpretazione meramente personale. E, a grandi linee, non mi dispiace nemmeno.
            Oggi, spesso negativamente, cinico viene usato a indicare persone che sprezzano e illudono ideali e consuetudini, spesso con sarcasmo sfacciato, nichilismo e disincanto, o con sfiducia.
Leggo alcune righe che mi appaiono come conclusioni, forse.
Il cinismo intende contrastare le grandi illusioni dell'umanità, ovvero la ricerca della ricchezza, del potere, della fama, del piacere.
Il cinismo ricerca la felicità, una felicità che sia vivere in accordo con la natura.
Il cinismo esalta l'autarchia.

E al termine di tanti richiami leggo una parola a me sconosciuta (la mia ignoranza fedele compagna!): parresia.
Significa Dire tutto, dire la verità.
E qui mi esplode un’emozione forte, un turbinio di robe nella mente e altrove, i pensieri si fanno stretti stropicciati che quasi fanno male ma gli occhi nel mentre sorridono a quello che vedono e il resto se la ride, raccoglie, assimila, e tutto passa oltre, con una nuova consapevolezza, che nuova non è.
Cito: Nell'antica Grecia fu individuata questa virtù. Si tratta del diritto e del dovere attribuito al cittadino, e specie all'uomo pubblico, di dire tutto, di non frapporre filtri o deformazioni o censure fra ciò che pensa e ciò che dice: dire tutto, e quindi, dire la verità.
Questo non sempre è conveniente, anzi impone rischi e quindi richiede coraggio.
Rinunciare a incatenare - quindi a compiacere, ad irretire, e dover esiliare il furbesco e il desiderabile - può mettere in pericolo il proprio guadagno, la propria adulata soddisfazione, il proprio consenso e la stabilità conquistata.
E questo vale tanto nel rapporto con gli altri che con sé stessi.
Si tratta di una scelta che non è mai gratuita: esprimere la verità chiede sempre un costo - in amicizia, in soldi, in voti elettorali.
Si tratta però anche di una scelta da cui dipende la libertà.
In un mondo in cui le falsità sottili e accomodanti - di etichetta, di amor della pace, di ragion di Stato - regnano sulla società democratica, tanto chi trama quanto chi beve la menzogna è schiavo (anche chi tiene la catena è incatenato).
La parresia è una virtù civile, trasparente, luminosa, modesta e priva di cerimonie - in una parola, socratica - che purga gli ascessi della civile società.
            
Quindi, a mio parere, parresia è una parola che dovrebbe essere conosciuta e usata di più, nel concreto delle cose della vita.


Ora, leggere di cinismo e di cinici a braccetto con romanticismo e romantico in un testo che farebbe arrossire anche la più scafata e matura ed esperta persona mi fa pensare e riflettere oltremodo. I contenuti sono molto coloriti, o come piace abusare a me colorati, e certe parole, come dire, sono molto dirette e lasciano ben poca libertà alla interpretazione, giusto per evitare equivoci e per non risultare patetici e ipocriti.
(Ma di questo scriverò in altro momento, credo nemmeno troppo tardi.)

Ecco perché ho provveduto a cercare di capire chi e che cosa sia cinico.
Rimango e sono perplesso. Rifletto forse più di uno specchio.
Ecco che devo pur giungere a una conclusione, anche se aperta.
E’ che in effetti, forse, come dire…

Eppure son così. Perplesso ma così, io, mio.


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