Correva
il 1976 ed io non avevo nemmeno un’età, mentre loro erano già in quinta.
Pochi giorni
fa, come spesso di recente, quella diavoleria di televisione mi schiaffeggia
con parole nette certe e dirette.
Siamo ancora
in riviera di ponente e un ospite recita a memoria una piccola parte di un
lavoro importante che di lì a pochi giorni sarebbe stato trasmesso da mamma
rai.
Mi fermo
immediatamente, lascio perdere quello che sto facendo che reputo un’inezia a
confronto, e rimango all’ascolto di parole indirizzate.
Prendo
un appunto, mi segno un nome e un cognome, e un anno, e una lettera, sul primo
pezzo di carta che trovo nella confusione della tavola apparecchiata per altro.
Lo rileggo,
l’appunto, e lo tengo lì, dove fa un po’ più caldo, forse.
Passano
i giorni, zappo sulla televisione con malavoglia ed incrocio robe che alla fine
non interessano.
Poi
fermo la zappa del telecomando su mamma rai, ed assisto almeno all’ultima ora
del film per la tv “Non è mai troppo tardi” titolo di una vecchia trasmissione
che fece tanto per tanti.
Protagonista
un uomo buono, colto, all’avanguardia, paziente, espansivo, riflessivo, pacato,
deciso.
Alberto
Manzi dovrebbe essere raccontato di più e meglio, assolutamente non solo per la
trasmissione di cui sopra.
Eccola
allora, quella lettera che mi ero segnato su quel pezzetto di carta, e quelle
parole dritte a bersaglio, dirette, precise, amorevolmente abbraccianti tutta
la quinta classe di quell’anno.
(cerco
di ripeterla come l’ho trovata in rete)
Abbiamo camminato
insieme per cinque anni.
Per cinque anni
abbiamo cercato, insieme, di godere la vita; e per goderla abbiamo cercato di
conoscerla, di scoprirne alcuni segreti. Abbiamo cercato di capire questo
nostro magnifico e stranissimo mondo non solo vedendone i lati migliori, ma
infilando le dita nelle sue piaghe, infilandole fino in fondo perché volevamo
capire se era possibile fare qualcosa, insieme, per sanare le piaghe e rendere
il mondo migliore.
Abbiamo cercato d vivere insieme nel
modo più felice possibile. E’ vero che non sempre è stato così, ma ci abbiamo
messo tutta la nostra buona volontà. E in fondo in fondo siamo stati felici. Abbiamo
vissuto insieme per cinque anni sereni (anche quando borbottavamo) e per cinque
anni ci siamo sentiti “sangue dello stesso sangue”.
Ora dobbiamo salutarci.
Io devo salutarvi.
Spero che abbiate capito quel che ho
cercato sempre di farvi comprendere: NON RINUNCIATE MAI, per nessun motivo,
sotto qualsiasi pressione, AD ESSERE VOI STESSI. Siate sempre padroni del
vostro senso critico, e niente potrà farvi sottomettere. Vi auguro che nessuno
mai possa plagiarvi o “addomesticare” come vorrebbe.
Ora le nostre strade si dividono. Io
riprendo il mio consueto viottolo pieno di gioie e di tante mortificazioni, di
parole e di fatti, un viottolo che sembra sempre identico e non lo è mai. Voi proseguite:
e la vostra strada è ampia, immensa, luminosa. E’ vero che mi dispiace non
essere con voi, brontolando, bestemmiando, imprecando; ma solo perché vorrei
essere al vostro fianco per darvi una mano al momento necessario.
D’altra parte voi
non ne avete bisogno. Siete capaci di camminare da soli e a testa alta, PERCHE’
NESSUNO DI VOI E’ INCAPACE DI FARLO.
Ricordatevi che mai
nessuno potrà bloccarvi se voi non lo volete, nessuno potrà mai distruggervi,
SE VOI NON LO VOLETE.
Perciò avanti serenamente,
allegramente,
con quel macinino
del vostro cervello SEMPRE in funzione; con l’affetto verso tutte le cose e gli
animali e le genti che è già in voi e che deve sempre rimanere in voi;
con onestà, onestà,
onestà, onestà, e ancora onestà, perché questa è la cosa che manca oggi nel
mondo, e voi dovete ridarla,
e intelligenza,
e ancora
intelligenza,
e sempre
intelligenza,
il che significa
prepararsi, il che significa riuscire sempre a comprendere, il che significa
sempre riuscire ad amare, e…amore, amore.
Se vi posso dare un
comando, eccolo: questo io voglio.
Realizzate tutto
ciò, ed io sarò sempre in voi, con voi.
E ricordatevi: io
rimango qui, al solito posto. Ma se qualcuno, qualcosa, vorrà distruggere la
vostra libertà, la vostra generosità, la vostra intelligenza, io sono qui,
pronto a lottare con voi, pronto a riprendere il cammino insieme, perché voi
siete parte di me, e io di voi.
Ciao,
Ho
sempre la pelle d’oca rileggendola, e i magoni vagano in ricordi personali e in
speranze per i domani.
Un maestro
così dovrebbero averlo tutti i bambini.
Voglio
dire, ha scritto una lettera così a bimbi di dieci anni: uno spettacolo!
E noi
che li crediamo ancora piccoli.
Certo nessuno
può sapere cos’hanno pensato tutti quei macinini di cervelli in quell’esatto
momento, ma non è quello, è quello che era stato prima nei cinque anni, e
quello che sarebbe stato dopo nel ricordo e nel bagaglio culturale e civile e ricercato che quei bambini hanno portato con sé negli anni
successivi.
(forse come con una
valigia con quattro farfalle dure a morire…)
Sono basito.
Sono senza parole. Eppure sono qui a scrivere. Forse proprio perché interessato.
Durante
la visione di quell’ultima ora di film mi ero segnato altro, all’episodio del
controllo di preparazione da parte dell’inviato del provveditorato, o qualcosa
del genere, dove si rimproverava un alunno di somaraggine. Si sottolineava l’importanza della punteggiatura,
nella lettura come nella scrittura.
E lui,
Alberto Manzi maestro di quinta, scrisse un esempio alla lavagna:
Il
maestro, dice l’ispettore, è un somaro.
Il
maestro dice: l’ispettore è un somaro.
Una
genialità!!!
Basta poco
per scrivere leggere capire intendere qualcosa di diverso da quella che è la
realtà.
Correva
il 1976 ed io non avevo nemmeno un’età, e oggi mi chiedo:
perché
nessuno mai me ne ha raccontato queste vicende? PERCHE’?