domenica 16 giugno 2013

Lorenzo negli Stadi 2013 era a Bologna

E c’ero anch’io. C’eravamo anche noi!
Con i tempi opportuni, giacché mettere a posto quattro personalità diverse, non è sempre semplice.
Se poi ci metti che due, (o tre), di questi hanno la mente limitata, nel senso che sono ancora spugne pronte ad assorbire le cose del mondo per imparare sempre più, proprio perché non si smette mai di imparare, dire che erano molte le probabilità di conflitto forse è un eufemismo.
Ma le magliette per i concerti ora le hanno anche loro, gialla e rossa, e lilla.
Ma tant’è! Alle otto di sera, con i soliti problemi di parcheggio, e un po’ di fila, abbiamo lasciato l’auto al solito chilometro di distanza, tanto si sa che per andare al Dall’Ara c’è da camminare un po’.
Arrivati sotto la curva ho sentito il sangue nelle vene prendere coraggio e velocità, quindi la parte di me più razionale ha tirato tutti i freni a mano esistenti e abbiamo passato i tornelli e i controlli delle autorità piuttosto agevolmente.
Sotto la curva i bagni erano già affollatissimi, e la gente sorrideva dell’andirivieni.
Noi abbiamo proseguito i nostri passi, e giunti sulla pista di atletica, IO ho esultato come mio solito, e loro mi hanno preso in giro, pur capendo bene la mia giovinezza.
Ci siamo sistemati a sedere in un punto non troppo lontano dal palco, non dietro alle transenne della telecamera, ed ho impartito le prime nozioni dello stare in attesa dello spettacolo nel PRATO.
Siamo dentro, ho la pelle d’oca, e c’è musica a manetta!
E’ fantastico, sento aria di festa addosso, c’è gente che balla gli stessi movimenti come se fosse di un unico corpo di ballo. Beh, in effetti, capita spesso che il pubblico ai concerti sia suo malgrado o per sua fortuna o bravura sia parte di un unico grande corpo di ballo, con salti piroette braccia al cielo mani a battere un tempo che si spera sempre sia infinito.
Dalle colline, stranamente coperte di afa, arriva spesso aria a rinfrescare le idee e l’attesa.
Non vedo la sorella, ma vedo l’amico, e l’amico dell’amico, e devio lo sguardo, molto, stasera voglio stare con i miei compagni di concerto, niente di più.
Poi arriva una chiamata, e mi domando “cosa caspita vuole Fabio proprio ora che sono le otto e mezza e stasera che siamo qui?”, e penso che non si sentirà nulla alla risposta e che capirà subito dove mi trovo.
“Pronto?”, e di là dalla linea casuale della sera piena allo stadio “Ciao indovina dove sono?, ma dove sei allo stadio?”, si è risposto da solo, quel somaro. Ed io rido, rido un casino, e distinguo a malapena la sua voce che rimane confusa tra l’eco della musica che ora sento in stereofonia, dall’orecchio scoperto e dall’orecchio al telefono. In pochi attimi capisco di dover guardare verso la curva, dove c’è quel cartello pubblicitario, e dove c’è il traliccio del palo dell’illuminazione. Sento poco e male delle indicazioni che portano il mio sguardo sui multicolori del pubblico, ma stento il riconoscimento. Allora sovverto le indicazioni, spiego con due parole dove siamo noi, indico magliette arancione e gialla e rossa, e cominciamo a saltare e salutare con le braccia al cielo, e di là dal telefono un urlo di gioia “Dài!, vi ho visto, siete bellissimi!”, al che mi riempio di fierezza e gli imploro di fare altrettanto, così qualche secondo dopo lo riconosco bene con la sua maglietta scura, e sono certo di aver visto pure il suo tipico largo sorriso.
Non mi era mai capitata una roba così, sono felicissimo!
Poi la musica da disco prende un poco anche noi. E’ bella, come prima sa di festa, la gente sorride, l’attesa sta per terminare. Me ne accorgo quando comincia L’anno che verrà, e tutto lo stadio canta all’unisono. Sono brividi a palate lungo la schiena, i miracoli salgono sulle spalle uno per volta e gli mostro cosa vuol dire una festa così.
Lo spettacolo, c’era da aspettarselo, è stato coinvolgente. Lorenzo ha alternato momenti furiosi di luci e battiti incalzanti, ad attimi di rilassamento con parole cantate quasi sottovoce.
Ma sottovoce, in realtà, stasera c’è stato praticamente niente.
Lorenzo ha fatto passare tutti quei pezzi che avrei voluto ascoltare. Che cosa chiedere di più? Ma soprattutto non solo avrei voluto ascoltare, ma li ho proprio fatti miei, li ho espressi ai massimi come più liberamente mi veniva. Non c’era oppressione tra le persone, c’erano delle braccia di distanza tra noi, quindi tutti hanno potuto, volendo, ballare a proprio piacimento. Senza disturbare, anzi coinvolgendo anche il vicino, se possibile. Non c’è stato un attimo in cui non ho avuto voglia di saltare.
Ci sono stati alcuni pezzi che ho saltato e cantato contemporaneamente, come non facevo da anni, e i polmoni ne hanno risentito, ho sentito il dolore degli alveoli di tanta richiesta, sentivo i muscoli delle gambe tendersi, e quelli delle braccia all’insù dolere dalla gravità del sangue.
E’ stata una soddisfazione in più riuscire in quello che avrei voluto, pur non sapendolo.
Non importa che poco dopo l’inizio entusiasmante, il nostro festeggiato, otto anni e sentirli tutti, sentiva già la fatica di una giornata che era cominciata che una nottata storta. Poco importa che l’altro miracolo fosse stanco dopo appena un’ora, perché ha capito che con pazienza si ottengono le cose, e quando Lorenzo ha passato la sua canzone l’ha cantata tutta come l’ha imparata. Ed io mi sono sciolto addosso.
Non importa che il miracolo più piccolo si sia addormentato nel bel mezzo del prato e della musica a manetta.
Finalmente ho assistito a quello che voleva significare quel Un minuto e Cinquantasette secondi, quando la chitarra SUONA, e tutto lo stadio con le braccia a indicare un rock pesante e coinvolgente.
Ho perso la voce quando ho cantato a squarciagola che io “ti porto via con me in questa notte fantastica”, tanto che sentivo le mie note stonate ma chissenefrega dentro il frastuono della musica che andava.
Pelle d’oca, non c’è che dire.
Anche dopo, verso la fine, quando ci siamo avvicinati all’uscita perché i dieci anni del miracolo poco sveglio non ne potevano proprio più, ci siamo seduti nei pressi della pista, appoggiato i nostri pacchi miracolosi, ben coperti con le felpine e la mia camicia, è stato toccante notare come a due anni si possa assistere a un concerto senza il minimo problema di sonno, (certo suo padre la pensava diversamente, ma era contento di seguirlo proteggerlo nel suo girovagare tra il pubblico al ballo).
Alla presentazione del gruppo siamo usciti, peccato non aver assistito ai bis, che forse non erano i bis, ma così facendo i miracoli sono stati soddisfatti di questa prima esperienza allo stadio per un concerto.
Credo sia piaciuta, anche se non lo esprimono ancora per bene, vedremo nel futuro.

Grazie Lore’, corri ancora un po’, noi per quanto possibile ti seguiremo sempre.
E appena possibile sarai sulla pelle indelebile come le parole che racconti.

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