sabato 29 giugno 2013

Margherita è tra noi

Sono triste. Lo ammetto. Mi ha colpito. Molto.
Margherita sei proprio una testa calda, e mi hai colpito come non ho ancora capito.
Ho sentito dire che non hai voluto far sapere di questi tuoi ultimi passi qui tra noi. Ti capisco, o almeno provo.
Ho sentito dire che non hai voluto far sapere quando i tuoi cari più stretti ti saluteranno. Ti capisco, o almeno ci provo.
Con i miei tempi e a modo mio, come ho già fatto con Enzo, stanne certa ti verrò a trovare.
Sei ancora tra noi, e non smetterai mai di esserlo.

Ciao Margherita, ci si vede quando sarà il momento, nel mentre per quanto possibile leggerò di te.

Ora c'è una stella in più da osservare.
Margherita mi ha raccontato le stelle (e non solo)



venerdì 28 giugno 2013

Chiara e la seconda vita di Giada

Chiara è una ragazza, mi permetto di parlarne così, che ha gli occhi che parlano. Molto.
Per giovedì 20 giugno la Nuova Libreria del Portico di Crevalcore aveva organizzato la presentazione del suo libro, il cui titolo aveva da subito rapito la mia immaginazione.
Ho voluto assistere, prima volta per me in una roba così, e sinceramente non sapevo a cosa sarei andato incontro. Ero un poco titubante, ma alla fine mi sono esposto e mi sono seduto in fondo, sull’ultima sedia dell’arco.
Io e il mio quaderno siamo stati pazienti in attesa dell’inizio di una scoperta.
Nonostante i pochi astanti, o forse grazie a loro, con un po’ di ritardo alla fine è iniziato l’incontro.
E mi sono emozionato addosso. Molto.
Il moderatore, anche se non del mestiere, ha fatto bene il suo mestiere.
E lei, Chiara, ha parlato puntuale, aprendosi nelle spiegazioni, comunicando con gesti eloquenti e sguardi profondi, riflessivi, suoi.
Nel mentre, qualche appunto: “Mi sono seduto. Ora vedremo come andrà… un’altra nuova esperienza. L’attesa si prolunga, le sedie sulla via sono praticamente vuote, pare che di “estranei” siamo solo in due, le persone che hanno organizzato non sembrano entusiaste. L’autrice pare simpatica, a sentirla parlare con le altre persone. E’ bella. Rossa, e per quel che serve, (niente!), piena. La musica ad accompagnare non è un gran che, ma io non me ne intendo, quindi non posso giudicare, ma soprattutto, come sempre, non voglio. Mi è appena stato intimato di non comprarlo, ma io titubo col dubbio per la firma e la dedica, e non capisco perché. Ecco… due parole per l’etere… Ora cominciano... Non mi si può fare mai una sorpresa!” – mi segno alcuni punti interrogativi, chissà mai, alcuni sono risolti nel mentre – “Un’esperienza del genere l’ha vissuta per davvero (nel campo di aiuto alla zona terremotata). Mi sono emozionato! Modi e pensieri che tornano potenti…” – “La ricerca, la curiosità, l’aiuto. E’ stato sollevato il concetto del non perdere tempo, della riflessione nella parola da dire, foss’anche solo un ciao”.
“Mi sembra di ascoltarmi allo specchio!”
Poi sembra terminare. Io ho ascoltato appeso alle parole lette e raccontate e commentate.
Alla fine seppur timido come sono ho pure posto una domanda. E mi sono mostrato.
Alla scrittrice e non all’autrice, più o meno… quanto e come ti sei emozionata a sentir leggere i brani del libro?, sai spesso guardavo te mentre ascoltavi, e comunicavi silenziosa…
Ed è stato un piacere rimanere in ascolto della risposta, tanto che tutto è finito davvero ma non il nostro scambio d’idee e opinioni, io ascoltavo e lei era un fiume in piena.
Che se non fosse stato non so che, forse sarebbe durata tutta sera la nostra chiacchierata, chissà.
Tra le altre, mi ha spronato a continuare convinto di quello che penso o scrivo, di provarci sempre ogni giorno, di non perdere tempo in troppe riflessioni, e continuare la mia strada. O qualcosa del genere.

Beh, come promesso, appena possibile ho aperto il libro, ponendo in pausa quello che sto leggendo, ed ho cominciato a leggere Due vite per Giada, di Chiara Rustichelli, ed. Boopen.
Come previsto, come immaginavo, letto in due giorni, e non è da me.
Sì ok ho avuto del tempo. Ma passare la notte a letto a rigirarsi tra le lenzuola col libro in mano fino oltre le due non è da tutte le sere, almeno per me.
Sì ok avevo un sacco di aspettative… l’incontro alla presentazione, le parole ascoltate, i brividi di quella sera, hanno avuto il loro peso. E immaginare Giada come l’ho pensata quella sera, ha avuto quel non so che di stimolo.
Mi è piaciuto. Molto.
Ho letto aspetti di una tragedia che non mi appartenevano, che non immaginavo, oppure che non volevo pensare. I ricordi dello scorso anno sono ancora lì e mai se ne andranno. Ho letto modi di riflettere e di porsi domande che mi appartengono. Ho ritrovato l’approcciare le persone per quello che appaiono e non per quello che sono per poi scoprirne lati nascostissimi. Ho immaginato i visi degli autori di certi messaggi. E ho stridula la vocina di certe persone ficcata nelle orecchie. E ho rivisto me, per certi versi, che allo specchio racconta di sé.

Ciao Chiara, grazie per esserti esposta per quella che sei, è un piacere raccoglierti.
E, sì lo consiglierò, ma i libri che mi piacciono preferisco regalarli…

Cito, pagina 78:
            La felicità sta nella follia che ogni giorno mettiamo contro un destino segnato.




Chiara la troviamo qui Chiara Rustichelli

giovedì 27 giugno 2013

Il Komandante è passato da Bologna

E c’ero anch’io a vederlo ripigliato per bene.
Già perché dopo tutto quello che si è sentito dire in giro, che si è pensato, ed è stato ipotizzato, alla fine quello che conta è che il palco ha ritrovato il suo animale.
E vuole essere un complimento, di quelli profondi e veri.
Dài alla fine Vasco è un animale da palco, e non smetterà mai di esserlo.
Ovviamente a modo suo, giacché i suoi atteggiamenti sono solo suoi, e non potrebbe essere diversamente.
Si è appoggiato alla sbarra del microfono come solo lui sa fare, ed anche quello è un messaggio, sono parole non dette.
E’ come quando guardi uno negli occhi, e lui sente vede tutto quello che serve, quello che conta.
Domenica scorsa è stato stupendo ributtarsi in mezzo alla mischia, coi miei tempi, come sempre.
Mi sarebbe piaciuto andare già nel pomeriggio, magari non troppo presto, ma pur sempre presto, ma alla fine le robe della vita mi hanno portato diversamente, tipo all’ora della merenda, giusto per cenare con panino e birra in un baretto lungo la via.
L’aria che respiravo era tesa nell’attesa, appunto.
Varcare l’ingresso voleva dire entrare in robe all’apparenza spigolose, fin troppo ruvide e serie per una festa, e il cane che annusava i cavalli di tutti è stato un riapparire di vecchi ricordi.
C’era gente ovunque, c’erano accenti di ogni dove, c’erano volti giovani e meno giovani, con le rughe o senza peli, c’erano magliette che avrei voluto mie ma erano di gruppi che se le sono prodotte, c’erano colori sgargianti ed anche i freddi neri e scuri, c’erano pure quelli vestiti troppo per bene, con scarpe inadatte, con gonne inadatte, c’erano quelli che se divento così ammazzami che mi fai un favore, c’erano quelle da osservare per bene, c’erano le braghe corte, spesso molto ma non troppo, c’erano short aderenti che altro che rewind, c’erano occhi da osservare e che rapivano, c’erano volti da non guardare troppo, c’erano i molesti, c’erano i bevuti, gli sfatti, gli arrossati, c’erano gli odori di verde che è un piacere, c’erano profumi da raccogliere come quelli sulla pelle.
E c’erano parole che arrivano e che arriveranno.
Poi hanno spento la musica fin troppo pompante.
Poi hanno acceso le luci dello stadio.
Poi hanno spento le luci sul palco.
E hanno spento lo stadio, che si è messo in attesa.
E si accendono le luci sul palco, ed è l’apoteosi.
Ed è il delirio.
Molto.
Bello.
E sono preso fino in fondo. Tutto. Anche la parte di dietro.
Braccia al cielo e canzoni in gola urlate per bene. A squarciagola come poche volte capita per davvero.
Canzone non l’avevo mai vissuta così. Intensa, e brividi ad accapponare la pelle.
La schiena inarcata a raccogliere tutto quello che c’è.
Sono stato contento di vedere quelle tette sul megascreen, non tanto per le tette, peraltro belle, ma tanto per lo spirito col quale la ragazza è stata al gioco, alla canzone, roba da farle i complimenti, non per l’ostentazione, ma per l’essere se stessa davanti a tanti, a modo suo. E non è poco.
Vasco alla fine è sempre lui, chi nasce tondo non muore quadrato, e non si cambia così tanto. Ha ragione, siamo i soliti, e siamo solo noi, e siamo ancora qua, checchesenedica.
La scaletta aveva il suo perché, non è un caso che sia stata così, si è presentato con le sue parole, cantate per bene, e anche con quelle non parlate.
Al termine l’adrenalina era a palla. E la notte ancora giovane. Da vive per bene. Per chi può, o vuole.


Grande Vasco, teniamo duro, e ce la faremo. Ne sono certo.

martedì 18 giugno 2013

Luciano all’Arena non fa per me

In realtà non fa per NOI.
E non è colpa nostra.
O almeno, io, non mi sento in colpa.
Proprio perché io sto da questa parte, e qui mi piace stare.
Non ho organizzato nulla, e niente, e se fossi mai riuscito a procedere in quanto volevo, e volevamo, mi sarei comunque limitato alle nostre necessità.
L’ansia da attesa è sempre stata presente in quelle persone, varie di vario tipo genere estrazione sociale credo cultura idee passione ego. Quindi quando finalmente erano apparse le possibilità di acquisto dei biglietti per i concerti all’Arena di Verona c’è stato subito un susseguirsi continuo di ipotesi di prove di tentativi di teorie di.
Al primo giro, quattro scrivo 4 date sono andate via come il vento dell’est quando arriva ad anticipare l’imminente inverno.
Infatti al secondo giro, con due scrivo 2 date, il gelo completo nell’intricata rete. Elogio per tanta attesa soddisfatta a tanti attendenti.
Però!, purtroppo c’è un però!, grande. 
E delusione, immensa.
Nel frattempo dei due giri tra la rete aggrovigliata c’erano già fin troppe disponibilità a cedere il proprio posto, cioè biglietto, su canali evidentemente non ufficiali e o autorizzati.
Alla conclusione di questa ricerca sempre meno ansiosa, posso tranquillamente asserire che qualcosa di storto è capitato, che qualcosa non fosse esattamente in equilibrio, che qualcosa non andava.
Gli astri non erano allineati per bene.
Ho letto tante giustificabili critiche all’organizzazione, a questo e a quello, e a Luciano stesso.
Non so. Rimango perplesso, qui nella mia assenza di biglietti.
Ho letto di troppi biglietti acquistati approfittando di privilegi.
E ho letto quindi il livello deprecabile che può raggiungere l’essere umano anche per una roba che dovrebbe essere leggera come la gioia.
Ho letto di tagliandi trovati per vie traverse a prezzi doppio-triplo-quadruplicati e quindi cedendo il passo a quelli approfittatori di cui sopra.
La mia opinione, alla fine di questi giri, è che forse davvero Luciano all’Arena non fa per me, quest’anno. 
Almeno per ora. 
Domani non so.
Credo che approfittare troppo dei privilegi fa pensare a nobili arroganti e potenti ignoranti.
Credo che cedere alle false seduzioni di prezzi eccessivi voglia dire uccidere il sogno di assistere a una serata leggera felice tanto aspettata in questi mesi o anni.
Ecco, qui, serenamente, cercherò quel sogno.
E cercherò di afferrarlo dovesse mai passare da queste parti.


Ciao Luciano, ci si vedrà comunque, prima o poi.

lunedì 17 giugno 2013

Barbara e il coraggio che ci spinge

Ho passato un bellissimo fine settimana, non c’è che dire.
Cominciato con certe preparazioni fin dal giovedì sera, e ieri sera con la pancia fin troppo piena.
Stamattina il mio buongiorno, quello che ricevo sempre, mi raccontava una roba che stava proprio come una ciliegina sulla torta, o come un cameo in un film.
Barbara col suo viola tenue sostiene una grande verità, che raccolgo volentieri, e che cerco di diffondere altrettanto. Poi so bene anch’io che non è per niente facile, che a guardarsi allo specchio non è semplice, che certe robe in faccia o addosso ce le mettiamo da soli, che sembra ci facciano bene ma invece.
Allora eccole, le parole del buongiorno, piene di tutto quello che vogliono dire:

Il più grande atto di coraggio è quello di essere e di possedere tutto di chi sei, senza scuse né maschere che coprono la verità.

Ed è esatto! Ed è giusto! 
E rincaro la dose, che non è mia: i nostri sogni hanno bisogno di sapere che siamo coraggiosi!

Quindi, ora, via!, con lo sguardo pieno di amor proprio e il viso nel vento del mondo.

DA’I!!!

domenica 16 giugno 2013

Lorenzo negli Stadi 2013 era a Bologna

E c’ero anch’io. C’eravamo anche noi!
Con i tempi opportuni, giacché mettere a posto quattro personalità diverse, non è sempre semplice.
Se poi ci metti che due, (o tre), di questi hanno la mente limitata, nel senso che sono ancora spugne pronte ad assorbire le cose del mondo per imparare sempre più, proprio perché non si smette mai di imparare, dire che erano molte le probabilità di conflitto forse è un eufemismo.
Ma le magliette per i concerti ora le hanno anche loro, gialla e rossa, e lilla.
Ma tant’è! Alle otto di sera, con i soliti problemi di parcheggio, e un po’ di fila, abbiamo lasciato l’auto al solito chilometro di distanza, tanto si sa che per andare al Dall’Ara c’è da camminare un po’.
Arrivati sotto la curva ho sentito il sangue nelle vene prendere coraggio e velocità, quindi la parte di me più razionale ha tirato tutti i freni a mano esistenti e abbiamo passato i tornelli e i controlli delle autorità piuttosto agevolmente.
Sotto la curva i bagni erano già affollatissimi, e la gente sorrideva dell’andirivieni.
Noi abbiamo proseguito i nostri passi, e giunti sulla pista di atletica, IO ho esultato come mio solito, e loro mi hanno preso in giro, pur capendo bene la mia giovinezza.
Ci siamo sistemati a sedere in un punto non troppo lontano dal palco, non dietro alle transenne della telecamera, ed ho impartito le prime nozioni dello stare in attesa dello spettacolo nel PRATO.
Siamo dentro, ho la pelle d’oca, e c’è musica a manetta!
E’ fantastico, sento aria di festa addosso, c’è gente che balla gli stessi movimenti come se fosse di un unico corpo di ballo. Beh, in effetti, capita spesso che il pubblico ai concerti sia suo malgrado o per sua fortuna o bravura sia parte di un unico grande corpo di ballo, con salti piroette braccia al cielo mani a battere un tempo che si spera sempre sia infinito.
Dalle colline, stranamente coperte di afa, arriva spesso aria a rinfrescare le idee e l’attesa.
Non vedo la sorella, ma vedo l’amico, e l’amico dell’amico, e devio lo sguardo, molto, stasera voglio stare con i miei compagni di concerto, niente di più.
Poi arriva una chiamata, e mi domando “cosa caspita vuole Fabio proprio ora che sono le otto e mezza e stasera che siamo qui?”, e penso che non si sentirà nulla alla risposta e che capirà subito dove mi trovo.
“Pronto?”, e di là dalla linea casuale della sera piena allo stadio “Ciao indovina dove sono?, ma dove sei allo stadio?”, si è risposto da solo, quel somaro. Ed io rido, rido un casino, e distinguo a malapena la sua voce che rimane confusa tra l’eco della musica che ora sento in stereofonia, dall’orecchio scoperto e dall’orecchio al telefono. In pochi attimi capisco di dover guardare verso la curva, dove c’è quel cartello pubblicitario, e dove c’è il traliccio del palo dell’illuminazione. Sento poco e male delle indicazioni che portano il mio sguardo sui multicolori del pubblico, ma stento il riconoscimento. Allora sovverto le indicazioni, spiego con due parole dove siamo noi, indico magliette arancione e gialla e rossa, e cominciamo a saltare e salutare con le braccia al cielo, e di là dal telefono un urlo di gioia “Dài!, vi ho visto, siete bellissimi!”, al che mi riempio di fierezza e gli imploro di fare altrettanto, così qualche secondo dopo lo riconosco bene con la sua maglietta scura, e sono certo di aver visto pure il suo tipico largo sorriso.
Non mi era mai capitata una roba così, sono felicissimo!
Poi la musica da disco prende un poco anche noi. E’ bella, come prima sa di festa, la gente sorride, l’attesa sta per terminare. Me ne accorgo quando comincia L’anno che verrà, e tutto lo stadio canta all’unisono. Sono brividi a palate lungo la schiena, i miracoli salgono sulle spalle uno per volta e gli mostro cosa vuol dire una festa così.
Lo spettacolo, c’era da aspettarselo, è stato coinvolgente. Lorenzo ha alternato momenti furiosi di luci e battiti incalzanti, ad attimi di rilassamento con parole cantate quasi sottovoce.
Ma sottovoce, in realtà, stasera c’è stato praticamente niente.
Lorenzo ha fatto passare tutti quei pezzi che avrei voluto ascoltare. Che cosa chiedere di più? Ma soprattutto non solo avrei voluto ascoltare, ma li ho proprio fatti miei, li ho espressi ai massimi come più liberamente mi veniva. Non c’era oppressione tra le persone, c’erano delle braccia di distanza tra noi, quindi tutti hanno potuto, volendo, ballare a proprio piacimento. Senza disturbare, anzi coinvolgendo anche il vicino, se possibile. Non c’è stato un attimo in cui non ho avuto voglia di saltare.
Ci sono stati alcuni pezzi che ho saltato e cantato contemporaneamente, come non facevo da anni, e i polmoni ne hanno risentito, ho sentito il dolore degli alveoli di tanta richiesta, sentivo i muscoli delle gambe tendersi, e quelli delle braccia all’insù dolere dalla gravità del sangue.
E’ stata una soddisfazione in più riuscire in quello che avrei voluto, pur non sapendolo.
Non importa che poco dopo l’inizio entusiasmante, il nostro festeggiato, otto anni e sentirli tutti, sentiva già la fatica di una giornata che era cominciata che una nottata storta. Poco importa che l’altro miracolo fosse stanco dopo appena un’ora, perché ha capito che con pazienza si ottengono le cose, e quando Lorenzo ha passato la sua canzone l’ha cantata tutta come l’ha imparata. Ed io mi sono sciolto addosso.
Non importa che il miracolo più piccolo si sia addormentato nel bel mezzo del prato e della musica a manetta.
Finalmente ho assistito a quello che voleva significare quel Un minuto e Cinquantasette secondi, quando la chitarra SUONA, e tutto lo stadio con le braccia a indicare un rock pesante e coinvolgente.
Ho perso la voce quando ho cantato a squarciagola che io “ti porto via con me in questa notte fantastica”, tanto che sentivo le mie note stonate ma chissenefrega dentro il frastuono della musica che andava.
Pelle d’oca, non c’è che dire.
Anche dopo, verso la fine, quando ci siamo avvicinati all’uscita perché i dieci anni del miracolo poco sveglio non ne potevano proprio più, ci siamo seduti nei pressi della pista, appoggiato i nostri pacchi miracolosi, ben coperti con le felpine e la mia camicia, è stato toccante notare come a due anni si possa assistere a un concerto senza il minimo problema di sonno, (certo suo padre la pensava diversamente, ma era contento di seguirlo proteggerlo nel suo girovagare tra il pubblico al ballo).
Alla presentazione del gruppo siamo usciti, peccato non aver assistito ai bis, che forse non erano i bis, ma così facendo i miracoli sono stati soddisfatti di questa prima esperienza allo stadio per un concerto.
Credo sia piaciuta, anche se non lo esprimono ancora per bene, vedremo nel futuro.

Grazie Lore’, corri ancora un po’, noi per quanto possibile ti seguiremo sempre.
E appena possibile sarai sulla pelle indelebile come le parole che racconti.

venerdì 14 giugno 2013

Beppe mi ha raccontato gli Italiani di domani

L’ho letto quasi d’un fiato, non so perché ma è andata così.
Racconta di sette punti, a parer suo, importanti perché domani i giovani di oggi possano provare a essere meglio degli adulti, o anziani, di oggi.
E spesso mi sono rivisto, anche se sono un po’ più in là dei giovani di oggi, che saranno adulti domani.
Almeno così dice la C.I. che obbligatoriamente devi tenere sempre con te, altrimenti rischi di non essere nessuno.
E tutti lo siamo, qualcuno, ed è ora di pensarlo e farlo sul serio, nel concreto, giorno dopo giorno.
Italiani di domani, di Beppe Severgnini, edizioni Rizzoli, lo consiglierei soprattutto ai tredi-quattordicenni, ma anche ai loro genitori, forsanche di più.
Proprio perché credo, come il tempo che passa e non si ferma, non è mai tardi per fare qualcosa, l’importante è fare.
E non rimanere sempre alla finestra, lamentandosi del brutto tempo di fuori, spesso è meglio scendere in piazza, per le strade, a salutare la gente, a spalare la neve anche per il vicino, a fare qualcosa in più, di buono, di bello, a volte di condiviso.

Far bene al mondo fa bene al mondo. E a noi stessi.

Ciao Beppe, lo terrò caro, tra gli altri, come le pagine che ho evidenziato e che rileggerò spesso.

giovedì 13 giugno 2013

L’altra sera c’era Alex in piazza

Lo ammetto, qualche sera fa mi sono buttato in piazza a vedere come girava la prima sera.
E sono pure arrivato con un quarto d’ora di anticipo all’appuntamento per una cera in ora tarda.
E Dedo era proprio bello col suo costume. E dirigeva bene anche solo con uno sguardo.
I tavoli erano piuttosto vuoti, anche se le orecchie erano subito piene di rumori parole chiacchiere richiami battute saluti sorrisi e.
Ci siamo seduti in mezzo, e lui bravo e astuto si è sistemato come a sovraintendere le operazioni dei camerieri e dei cuochi e dei cassieri e dei simpatizzanti, e spesso non volgeva lo sguardo a me ma alla sua passione. Aveva pure degli ospiti e lui da bravo capo oste è stato al gioco, ed io sono stato contento di pazientare questo suo modo di operare di stare in mezzo ai suoi amici e alla partecipazione di un paese intero.
Pasta e fagioli, tortellini in brodo, e carne alla griglia, immancabili patate fritte, e un gran bel buon lambro.
Poi mi sono pentito di non aver assaggiato i trotelloni arancio, e il purè rosa, sarà per la prossima spero.
E’ stata una bella serata. Anche a salutare gente.

Poco più in là Alex era ben presente a quei tavoli, era in mossa, era carico, sorrideva. Dedo l’ha salutato invitandolo a bere un goccio. Sono stato contento di salutarlo, di chiedere come stai?, dopo più di vent’anni è bello rivedere gente. Lui mi ha riconosciuto, anche per come sono, e dice che non ci va più in giro nudo sui sassi del Natisone. Dice che si sente un po’ sperso per il mondo, che certe robe gli vanno strette, e altre fin troppo larghe.
Spero trovi la sua via, che la percorra a testa alta come fatto fin qui.

Ciao Alex, vai pure, dove vuoi, per come ti senti, ricorda solo di tornare, e passare in piazza, qualche volta.