Un
servizio, apparentemente come tanti, ascoltato e guardato quasi con
distrazione.
E invece
no. L’attenzione non la comandi, a volte, come quando vorresti ascoltare bene e
il fruscio della festa del paese fuori giù nelle vie ti costringe a desistere. Questa
volta è stato l’inverso, il mio sguardo si è voltato verso quelle parole che
stavo sentendo, non solo ascoltando.
E
allora si va. Presto che altrimenti chiude prima.
E allora
si va, basta (?) incastrare questa gita a momento e giorno giusti. Per me. E per
altri.
E sarei
potuto non essere solo, ma è andata così e va bene così.
Prendo
un appunto, che altrimenti poi mi scordo anche la mia ombra.
Cerco notizie
in rete, giusto per confermare luogo date orari nomi modi.
E’
fatta. Colpito. Sono preso da quell’attimo. Quando non capisci esattamente e
vuoi sapere.
Devo andare.
E vado.
Parto con
questa idea in testa, così vagante, aleatoria, volatile, che mi appunterò circa
solo dopo:
I
bimbi che colorando vanno fuori le righe potrebbero avere qualcosa in più
piuttosto che qualcosa in meno.
Potrebbero solo
avere qualcosa da esprimere. A modo loro!
Lasciamoglielo fare.
E penso
ai ragazzini a scuola che imparano a tenere in mano le matite colorate e i
pennarelli, e penso agli adulti, quelli maturi, che da loro pretendono di
tenerli dentro certi schemi.
E penso
che sia ben difficile fare i genitori. E si comincia anche da lì.
Arrivo
alla mostra puntuale come previsto. Il treno. La passeggiata per le vie del
centro. I miei ricordi di giornate diverse ma simili.
Entro sottovoce.
Sono accolto da un ampio sorriso. E il chiostro è bellissimo.
Mi avvio
sotto il porticato senza sapere esattamente cosa trovare. Un po’ sì ma io di
arte e di quadri me ne intendo ben poco.
E sono
proprio curioso di scoprire se mi scatta quell’empatia solo lontanamente simile
a quella delle persone ammaliate dal tocco del pennello.
Sinceramente?
Poco. Molto poco. Ma ci ho provato. In realtà tre quadri mi strappano lunghi
sospiri, quindi forse qualcosa mi tocca. Certamente qualcosa mi tocca. Altrimenti
non sarei alla mostra di Mele.
Mi segno
alcuni nomi come La nebbia, Il prato e il cielo, L’onda, Paradiso, Non
praevalebunt, Galassia, La tela grande grande, Albero spoglio nel cielo.
Certo
che se manco di empatia così chissà cosa farei ne avessi un po’ di più…
Passeggio
avanti e indietro alla ricerca di un momento.
Osservo
turisti ignari entrare solo per fotografare il chiostro e alcune belle viste
del campanile della chiesa.
E altri
che estrano ed escono come nello stesso momento.
Poi prendo
coraggio, io, io!, e mi presento a Claudia.
Le chiedo
se mi può parlare un po’ di Mele e dei quadri e di come si è arrivati a Firenze
con La vita dipinta di MELE.
Lei è
gentilissima. Sorride. Forse imbarazzata. Conosco già robe e le condividiamo ma
lei mi racconta qualcosa in più, di diverso da quel che ho già letto. I suoi
occhi esprimono tutta la meraviglia che trasuda dalle tele e dalle parole lette
e dal video che propone in sintesi come Mele esprime i suoi pensieri, e l’aiuto
della mamma, e i colori ovunque. Dice che è per mostrare “come lavora” ma anche
per di-mostrare agli scettici che davvero è Mele che pittura come può,
mettendoci tutto se stesso.
Ormai sono
senza parole.
Ormai è
ora di uscire.
Scrivo
il mio saluto nel libro delle presenze. E ne vengo ringraziato.
“Nove Maggio Duemilaquattordici
Bologna Firenze per Mele
Non capisco molto di arte. Conosco chi ne rimane
affascinato. Io fatico ma ci provo.
I miei pensieri sono molteplici nell’osservare questa
arte a me, forse, lontana. Penso all’artista a chi l’aiuta, al come, al quando.
Penso che al perché non ci sia risposta giacché il caso non esiste e se tutto
questo c’è il motivo lo fa Mele e lo facciamo noi qui in silenzio rispettosi e
ammaliati.
Sono contento di avere dedicato tempo qui.”
E ora
posso solo aggiungere DAVVERO.
Nel mio piccolo, ma molto piccolo rispetto all'immensità che rappresenta Mele, so cosa significa non saper stare dentro le righe colorando. Indirettamente, certo, ma la cosa mi riguarda da vicino, molto, direi che un mio prolungamento.
RispondiEliminaMa non sono i contorni di un disegno da colorare che definiscono una vita, perchè questa può essere vissuta al meglio e con serenità anche senza avvicinarsi troppo a quei contorni e a quei rigori che potevano rovinare la giovane vita di un miracolo.
In effetti, continuando il paragone, anche se potrebbe apparire azzardato, i bambini, ma non solo loro, dovrebbero imparare a disegnare.
RispondiEliminaDa soli, in modo autonomo, imparare a tracciare quelle righe tutte loro, genuine, ideare quei contorni.
O scegliere di non mettere i contorni e colorare liberamente.