mercoledì 21 maggio 2014

Mi ha chiamato Michele

Dice che sta leggendo il libro. Quel libro.
E’ arrivato al quarto capitolo, o per meglio spiegare al quarto racconto.
E’ rimasto piuttosto basito, quasi incredulo.
E mi ha fatto i complimenti, sinceri.
E mi ha ringraziato, molto.
Io ho consigliato di proseguire la lettura perché, quel libro, merita davvero. Al di là delle cose nostre.
E io sono contento.

Ci siamo salutati con la promessa trovarsi per bere una birra dell'orsa così gli racconto tutto quello che c'è da raccontare.

E ora proseguo un altro po’…

Bene.

martedì 20 maggio 2014

Circa le quattro e mezza del mattino

Due anni fa fu il primo giorno di tanti ragionamenti.
Fu una giornata strana, fatta principalmente di robe nuove che sono entrate dentro e che non se ne andranno mai.
Fu una giornata a pensare a chi ci era dentro per davvero.
E che non era tanto distante.

Una giornata, la prima, che ha creato certi tremori, che poi sono stati sulla pelle per sempre.

Il corpo che sente e la mente che va.

Due anni fa cambiò tutto.
O buona parte del mio mondo.

Ed era solo l’inizio.

(angoscia e un po’ di vino…)

lunedì 12 maggio 2014

Generazione Liga e la Manu Papini

Uscito già due mesi fa sbrecciò l’animo nell’immediato.
Non credo di avere mai letto un libro in così poche ore.
E un motivo ci sarà.



Qua dentro c’è roba potente.
Qua dentro c’è adrenalina, emozione, pelle d’oca.
Qua dentro c’è roba vera. Molto vera. Reale. Palpabile. Vissuta.
Qua dentro c’è l’apertura delle braccia.
Qua dentro c’è la vulnerabilità e la genuinità delle cose.
Qua dentro c’è tutto e c’è niente.
Qua dentro ci sono ansie angosce sorrisi gioie.
Qua dentro c’è un’idea e un sogno.
Qua dentro c’è il sogno reale che non è rimasto bugia. Almeno in parte.

Si legge avidamente, per chi vuole lasciarsi prendere.
Si legge bene, per chi vuole essere interessato.
Si legge che hai voglia di sfogliare la pagina dopo.
Si legge anche per chi non vuole o non può leggere.
Si legge per quell’insano abbandono che ti prende quando non hai nulla da perdere e te ne freghi se risulti ridicolo.
Si legge perché piace, e se non fosse verrebbe a piacere.
Il più è farlo per davvero.

Generazione Liga, di Emanuela Papini, ed. Einaudi

E mi sento fortunato.

C’è roba sottolineata in giro, come piace fare spesso…
“…la parola chiave qui è “abbandono””, “l’orgoglio di aver raccontato un pezzo di Italia che non poteva rimanere nascosto”, “Con i ragazzi non si può fingere di sapere tutto, …, con loro le maschere non funzionano, quella è roba da adulti”, “Il passaggio successivo è la visita dal medico legale che deve rilasciare il certificato di idoneità alla funzione genitoriale”, “E allora ho la sensazione che una parte di un cerchio aperto un martedì merdoso si possa chiudere almeno un po’”, “…e nonostante ognuna abbia preso strade diverse siamo sempre e comunque rimaste noi stesse con la stessa voglia di stare insieme”, “Da lui ho imparato che niente è impossibile. Che non c’è niente a cui io non possa arrivare, anche se mi tocca lavorarci di più”, “E allora le scelte sono la risposta. E dopo anni, capisci che in realtà le cose che avevi dentro e che non hai avuto il tempo di dire alla fine le hai fatte”, “Mi presi le ferie, salii sulla carovana e scoprii un mondo, quello dei concerti vissuti al di qua del palco e delle transenne, …, Ero pronto per altri giri”, “Ho un mucchio di storie da raccontarti, tesoro mio. Io vengo a prenderti. Tu fatti trovare”, “Stavo sempre nell’angolino, temevo di disturbare, di dire la mia, di essere fuori posto, cercavo di indovinare il pensiero degli altri in modo da condividere il loro parere, …, Riesco spesso a dire alle persone con cui parlo ciò che veramente penso”, “…i tramonti visti con l’ultima birra in mano, pensando che quel posto, in mezzo ai due fiumi, non l’avremmo abbandonato mai, …, per proseguire a piedi e andare a vedere come se la passano i posti in cui abbiamo trascorso tutta la nostra adolescenza”, “Ho una penna-struzzo sulla scrivania, …, Oggi so di sentire più forte e vedere più lontano”, “Così, qualcuno arriva e ti tende una mano, tu la stringi e lasci che ti tiri su, …, …che potevo essere me stessa e che sarebbe bastato”, “E’ stato come fermare le urla. Con il cuore in gola, ho respirato il suo odore, ho sentito le mie braccia circondare il suo ventre e poco dopo le sue mani calde che prendevano le mie”, “Ho sommerso di passioni i miei problemi. Passione per l’amore, passione per l’amicizia, passione per lo sport, per lo studio, per una forma d’arte, o “semplicemente” per la vita”, “…abbiamo voglia di esserci. Gente sorridente, infreddolita, impaziente, gente che dorme, gente che corre e che ha solo voglia di viversi questa giornata, …, Una marea di gente che sta bene, …, Cammino ancora per una ventina di metri poi decido che è magnifico qui. Mi siedo, dando le spalle al fosso, …, Mi sdraio a terra, con l’erba che mi gratta sulla pelle…”


Ora è l’ora dei saluti, in ordine sparso ma non troppo, sono per L.L., E.P., C.L., E.B., M.G., S.G., M.P., R.P., G.D., F.C., P.C., A.R., S.D., L.R., C.M., A.M., V.P., M.S., G.R..
E tutti gli altri, che sono tanti.


sabato 10 maggio 2014

Mele e la sua Arte

Un servizio, apparentemente come tanti, ascoltato e guardato quasi con distrazione.
E invece no. L’attenzione non la comandi, a volte, come quando vorresti ascoltare bene e il fruscio della festa del paese fuori giù nelle vie ti costringe a desistere. Questa volta è stato l’inverso, il mio sguardo si è voltato verso quelle parole che stavo sentendo, non solo ascoltando.
E allora si va. Presto che altrimenti chiude prima.
E allora si va, basta (?) incastrare questa gita a momento e giorno giusti. Per me. E per altri.
E sarei potuto non essere solo, ma è andata così e va bene così.

Prendo un appunto, che altrimenti poi mi scordo anche la mia ombra.
Cerco notizie in rete, giusto per confermare luogo date orari nomi modi.
E’ fatta. Colpito. Sono preso da quell’attimo. Quando non capisci esattamente e vuoi sapere.
Devo andare. E vado.

Parto con questa idea in testa, così vagante, aleatoria, volatile, che mi appunterò circa solo dopo:

            I bimbi che colorando vanno fuori le righe potrebbero avere qualcosa in più piuttosto che qualcosa in meno.
Potrebbero solo avere qualcosa da esprimere. A modo loro!

Lasciamoglielo fare.


E penso ai ragazzini a scuola che imparano a tenere in mano le matite colorate e i pennarelli, e penso agli adulti, quelli maturi, che da loro pretendono di tenerli dentro certi schemi.
E penso che sia ben difficile fare i genitori. E si comincia anche da lì.

Arrivo alla mostra puntuale come previsto. Il treno. La passeggiata per le vie del centro. I miei ricordi di giornate diverse ma simili.
Entro sottovoce. Sono accolto da un ampio sorriso. E il chiostro è bellissimo.
Mi avvio sotto il porticato senza sapere esattamente cosa trovare. Un po’ sì ma io di arte e di quadri me ne intendo ben poco.
E sono proprio curioso di scoprire se mi scatta quell’empatia solo lontanamente simile a quella delle persone ammaliate dal tocco del pennello.
Sinceramente? Poco. Molto poco. Ma ci ho provato. In realtà tre quadri mi strappano lunghi sospiri, quindi forse qualcosa mi tocca. Certamente qualcosa mi tocca. Altrimenti non sarei alla mostra di Mele.
Mi segno alcuni nomi come La nebbia, Il prato e il cielo, L’onda, Paradiso, Non praevalebunt, Galassia, La tela grande grande, Albero spoglio nel cielo.
Certo che se manco di empatia così chissà cosa farei ne avessi un po’ di più…
Passeggio avanti e indietro alla ricerca di un momento.
Osservo turisti ignari entrare solo per fotografare il chiostro e alcune belle viste del campanile della chiesa.
E altri che estrano ed escono come nello stesso momento.
Poi prendo coraggio, io, io!, e mi presento a Claudia.
Le chiedo se mi può parlare un po’ di Mele e dei quadri e di come si è arrivati a Firenze con La vita dipinta di MELE.
Lei è gentilissima. Sorride. Forse imbarazzata. Conosco già robe e le condividiamo ma lei mi racconta qualcosa in più, di diverso da quel che ho già letto. I suoi occhi esprimono tutta la meraviglia che trasuda dalle tele e dalle parole lette e dal video che propone in sintesi come Mele esprime i suoi pensieri, e l’aiuto della mamma, e i colori ovunque. Dice che è per mostrare “come lavora” ma anche per di-mostrare agli scettici che davvero è Mele che pittura come può, mettendoci tutto se stesso.
Ormai sono senza parole.
Ormai è ora di uscire.
Scrivo il mio saluto nel libro delle presenze. E ne vengo ringraziato.

“Nove Maggio Duemilaquattordici
Bologna Firenze per Mele
Non capisco molto di arte. Conosco chi ne rimane affascinato. Io fatico ma ci provo.
I miei pensieri sono molteplici nell’osservare questa arte a me, forse, lontana. Penso all’artista a chi l’aiuta, al come, al quando. Penso che al perché non ci sia risposta giacché il caso non esiste e se tutto questo c’è il motivo lo fa Mele e lo facciamo noi qui in silenzio rispettosi e ammaliati.
Sono contento di avere dedicato tempo qui.”




E ora posso solo aggiungere DAVVERO.

venerdì 9 maggio 2014

Chiara dice che, Per dieci minuti alla volta, c'è tempo per vivere

Qualche anno fa la radio mi permise di ascoltarne la voce durante i suoi dibattiti con la pancia col cuore e la testa col cervello.
Innamorato. Molto.
Almeno della voce.
Poi pian piano anche un po’ del resto. E che resto.
Purtroppo però, come tante volte, le questioni belle durano poco, gli impegni non mi permisero di seguirla ascoltarla scrutarla come avrei voluto.
Poi, l’occasione fa l’uomo ladro, le sue parole nelle luci degli altri furono donate a una persona che non fu condotta a buone opinioni.
Io rimasi sulle mie, in attesa che il caso, o altro giacché questo non esiste, mi portasse di nuovo dalle sue parti.
Oggi posso essere contento di avere letto qualcosa di Chiara.
La mia opinione di lei non può che essere migliorata, ancor più.

In ogni giorno del mese raccontato c’è almeno una frase da sottolineare perché vera perché sulla pelle.
In ogni giorno del mese ci sono sospiri, di riflessione o di allegria.
In ogni giorno ci sono quelle occasioni che passano davanti a noi ignari e distratti dalle cose della nostra vita.
In ogni giorno del mese raccontato c’è quel po’ di sana follia che permette di prendere la vita sul serio ma non troppo.
Sono rimasto ammaliato dal racconto di questo mese vissuto appieno e svoltato dai dieci minuti.
Senza parole.
Anzi con tante mi sa troppe parole. Tante da faticare a metterle in ordine. E allora tanto vale lasciarle andare e arrivare come vogliono loro.
Ci sono episodi anche solo di qualche riga che sono potenti come schiaffi a svegliarti, o spintoni a gettarti di sotto. Ma ci sono anche episodi o piccole virgole che ti fanno rialzare lo sguardo verso avanti e ti tengono la schiena dritta.
Giusto per citarne uno, malamente e vagamente, l’episodio del confronto con la madre è da strappare il cuore e risistemarlo solo dopo, dopo, molto dopo, con le cuciture i cerotti, e antibiotici e riabilitazione.

La mia opinione?, viene raccontato ed esposto come un gioco, ed è narrativamente parlando corretto, ma nella realtà dei lettori (?) non è un gioco vivere appieno tutti i dieci di cui si dispone, è vivere al meglio, niente di più, con lo sguardo aperto, oltre, con le braccia a raccogliere tutto quello che c’è.

Presto lo rileggerò, con la matita in mano come mi piace fare, e sono certo che farò mie ancora di più le parole di Chiara, sia la protagonista che l’autrice.

Per dieci minuti, di Chiara Gamberale, ed. Feltrinelli




Ne avevo sentito parlare bene, e letto in rete alcuni commenti positivi.
Io curioso non ho lasciato andare l’occasione.

Si vede che oggi era il tempo per i miei dieci minuti.
E mi sono serviti. E mi serviranno.

Grazie Chiara. Davvero.
Alla prossima. Spero.


giovedì 8 maggio 2014

Noi non ci lasceremo mai, di Federica Lisi Bovolenta

Prima di tutto vorrei permettermi di rubare, tra virgolette, parole e un modo di dire non mio, ma rispettosamente userò così: la Lisi l’è nà ganza! E vuole essere un complimento. Molto. E forte.
E’ ganza perché ha due palle così, e anche questo checchesenedica E’ un complimento.

Poi torno un attimo in me e segnalo che tutto era cominciato il 31 marzo scorso, per me, e in questo modo:


Infine, ma non per ultimo, c’è la lettura.
Sì perché alla fine i libri vanno letti.
Inutile farseli consigliare, guardarne le copertine, leggerne le terze o le quarte, comprarli anche per lasciarli sullo scaffale a invecchiare, i libri vanno letti. Punto.
Io l’ho letto. Piano piano a modo mio. E ogni tanto ho avuto la necessità di lasciarlo lì, a decantare.
Giusto per respirare un po’.
Io, che qui sono solo un lettore.
Io, che in quella notte in riviera e nelle marche mi sono ritrovato catapultato.
Io, che quelle arie pesanti le ho come respirate.
Io, che ho avuto proprio l’impressione di esser lì in quei momenti.
Io, che mi sono ritrovato sudato di sport.
Io, che ho avuto le palpitazioni timide dell’amore.
Io, che nell’amore per sempre ci avevo creduto.
Io, che gli sguardi mi piacciono per davvero.
Io, che con un abbraccio si racconta un sacco di roba.
Io, che non è facile per niente dopo.
Io, che nel mio piccolo, molto, molto, molto, molto, molto piccolo, mi ci sono ritrovato.
Io, che ci sono loro da crescere al meglio. E loro non hanno bisogno, adesso, del mio dolore.
Io, che non glielo voglio mica nascondere quel dolore, che sono pronto alla spiegazione.

L’ho letto tutto addosso. Per la mia parte l’ho sentito mio.
Ma non è mio. E’ suo. E’ della Lisi. Anzi, è loro.
E ora capisco cosa vuol dire per lei, per loro, andare in giro a parlarne.
Perché non è un caso nulla. C’è sempre un perché.
E un motivo ci sarà.

Quello che è raccontato un queste pagine è vita.
Non siano delusi quelli che cercano ansie e parti oscure.
Certo, mica tutto è rose e fiori, ci sono anche gli ostacoli da affrontare e non solo superare.
Ma tutto è per guardare al meglio, per cercare il sorriso anche nelle pagine più tristi, perché c’è sempre e comunque un domani, che il passato è passato e non lo puoi cambiare mica.
La sincerità con la quale è esposta la vita in queste pagine è emblematica.
Si sente la vulnerabilità della vita scritta così, ma è vera perciò sincera.

Federica si firma Bovolenta, e fa bene. Ed è per sempre.



Grazie Fede, o grazie Lisi, se si può.

Ciao Federica Lisi Bovolenta, ribadisco spero di rivederti presto.

E di salutarti.

domenica 4 maggio 2014

Un sogno una realtà, minima

Giornata intensa di emozioni addosso.
Un pulpito anche se pulpito non è.
Un sogno che per quella sua piccola parte ha preso realtà.
Un’idea, un microfono, la gente che ascolta.
Parole, del sogno, reale.
Un passo, piccolo, il primo, che se sogno diventa reale non rimane bugia.
Un momento, come prima volta, che possa stimolare quel sogno ancora lì.
Giornata intensa e ora stanca.
Roba da dormirci su, riposare, sognare, e appena possibile vivere reale.

Orio Litta non rimarrà lontana, spero.