mercoledì 19 marzo 2014

San Giuseppe e Don Diana, Ilaria e Miran, e suor Cristina

Stasera tanto vino rosso in tavola, con la carne, l’insalata e il formaggio, oltre ai crostini al sesamo.
Stasera forti emozioni nel giro di pochi minuti.
Stasera è urgente scrivere due appunti, che non sono due, al volo.

Oggi è San Giuseppe, e chissenefrega se si intende la festa del papà, anche se è sempre emozionante sentire, e sottolineo sentire, certi saluti addosso, volendo urlati, finanche cantati. Giuseppe, così dice la storia arrivata fin qui, ha creduto per amore, solo per amore. Niente di più. Ecco perché è santo per davvero. Niente di più.
Don Diana, per quel po’ che conosco, quindi poco pochissimo, è quella chiesa che manca, che mi piace, che va avanti nonostante il Vaticano; anche se devo ammettere che da un anno a questa parte guardo spesso in quella direzione.
Ilaria cercava la verità, Miran l’aiutava, avevano passione, e l’avevano trovata, la verità; da ammirare e ricordare sempre; e da svelare quei segreti non legati alla sicurezza Nazionale ma solo quello che serve perché la verità renda i cuori più sereni e giustizia sia fatta.
Suor Cristina ha spaccato The Voice. Ammirabile. Lodevole. Da seguire, in mezzo alla gente.

Passo.
Mando giù.

E proseguo.

domenica 16 marzo 2014

Matteo, un trofeo, un racconto, la famiglia, un cerchio

Ci sono robe che ti capitano addosso e non le puoi evitare. E ci sono robe che ti capitano addosso e non le capisci mai. Poi ci sono robe che ti capitano addosso e non le puoi evitare e non le capisci se non col passare del tempo, delle esperienze, dei pensieri, delle idee, delle cose che accadono attorno, dei sogni, del caso che non esiste e dei cerchi che si chiudono.
Matteo era un ragazzo per bene, correva forte e ci provava sempre, e se n’è andato in moto quando aveva ventisei anni.
Il trofeo che ora è solo in foto non è più al suo posto, cioè ora è davvero nel posto giusto, almeno per me.
C’è un racconto che parla di lui, e di come a volte una lettera ti fa capire qualcosa.
La sua famiglia che conosco poco, che non conosco proprio, che conosco solo Giorgio, che so dove posso trovare.
C’è un cerchio che da quel giorno del duemilauno quanto tanto è cominciato e tutto è capitato addosso e attorno è rimasto lì aperto nel ricordo e altrove.
E’ andata come m’ideavo, è andata che sono stato coi miracoli, è andata che ho trovato Giorgio a casa sua, è andata che ci siamo salutati e abbracciati calorosamente, è andata che ho consegnato un pacco, è andata che ho tolto le parole all’emozione, è andata che nel pacco erano il trofeo e il racconto e una lettera, è andata che non ho spiegato molto praticamente niente, è andata che saranno le cose che capitano addosso e non puoi evitare che spiegheranno tutto. O almeno in parte.
E’ andata che si è chiuso il cerchio. Credo.

Poi, rientrato dalle emozioni, mi hanno scritto che
“il cerchio è chiuso, quello che c’è dentro rimarrà sempre aperto. E hai fatto tutto questo in modo spettacolare”.
Ed io ho risposto semplicemente “grazie”.

E ora giro un’altra pagina. Quasi.


sabato 15 marzo 2014

La volpe, un film, un Principe, e me

Tutti gli elementi citati sono presenti in alcuni avvenimenti che mi riguardano.
Questi sono appunti di qualche tempo fa che piano piano, col tempo che passa e corregge certi spigoli, sono diventati quello che seguirà.
Ora che sto buttando di fretta di getto queste lettere in tahoma dieci punti non so proprio cosa sarà quello che andrà formandosi ma tant’è, ora comincio a sgranare gli appunti di tanti copiaincollataglia e via, che sia quel che sia.
Proprio oggi che è oggi sento la necessità di rimetterli a posto, cercare di dargli forse una dignità, provare a capirci qualcosa.

Qualche tempo anno fa ero in gita, passeggiata, con alcuni amici.
Era da fare per bene, in falso piano.
Ci sparammo come fionde in quel del trentino dalle parti del Brenta, giusto per dare delle vaghe indicazioni, e in due giorni avremmo dovuto percorrere un certo numero di metri, sentieri, strade, salite, carrarecce, discese, dormendo per una notte in rifugio ma che in quella stagione ben avanzata all’estate di rifugio aveva ben poco.
Bene.
La passeggiata era stata ben organizzata e divisa in piccole tappe da mezza giornata ciascuna. La prima, la mattina dell’arrivo, fu ben eseguita e fu il giusto stimolo per fermarsi alla trattoria del centro del borgo come da previsioni. La seconda fu un po’ più lunga, come da programma, e tagliò le gambe a chi non era abituato a tante fatiche con lo zaino sulle spalle. Certo noi pellegrini per modo di dire non si poteva pretendere chissà che. Il fatto è che al termine della salita al rifugio chi era ben cotto per cena non mangiò nemmeno tanto e continuava la nenia autoinflitta del “mi sento molto orgoglione”, un misto di soddisfazione e di provocazioni. La terza fu lunga a suo modo estenuante in quanto monotonamente in discesa, senza il minimo sforzo mentale necessario. L’unico schiaffeggio ci fu dato, a inizio discesa, quindi a fine salita, da un biker che saliva e che serenamente disse ben scanditi quattro e ripeto quattro “buongiorno”, e per ognuno voltò lo sguardo a ognuno di noi. UN EROE. Noi si stava camminando in discesa, eravamo freschi di mattino, e facevamo una fatica bestia, lui era al termine della salita ed era fresco come la brezza marina quando arriva quel temporale estivo a rinfrescare le pelli abbronzate. UN EROE, da applausi. Tant’è.
La notte precedente, quella passata in rifugio, fu trascorsa molto in chiacchiere e cazzeggiate. Molte delle quali furono raccontate sotto il cielo pieno di stelle che quasi illuminavano il prato antistante al rifugio, nel quale avevamo preso posto per ripristinare certe smorfie. Rutti e scoregge si sprecarono nel silenzio del bosco. E la ragazza del rifugio non poté non porci i suoi vivi complimenti.
Ci raccontarono anche di orsi che d’inverno si avvicinavano in cerca di cibo.
E di una volpe che in quelle sere era solita girovagare per il prato.
Detto fatto. Il rosso mantello e la lunga coda si presentarono puntuali al nostro cospetto che allibiti e sorpresi e inebetiti fummo fulminati da tanta bellezza e da tanta sorpresa. Solo, uno di noi pensò a una foto, mosse si e no le mani e questa lesta e furtiva e impaurita se ne scappò al buio del bosco e della montagna.
Lezione: le volpi non si fanno fotografare. Le volpi, quella volpe che incrociò la mia strada, non voleva farsi trattenere, nemmeno in foto. Le volpi vanno lasciate libere.
Anni dopo venni a sapere che tale volpe fu uccisa dai bracconieri la primavera successiva la nostra visita, quindi quelli del rifugio non avevano più nessuno da attendere nelle sere serene della primavera dell’estate. Almeno fino all’arrivo di una nuova volpe, che curiosa e affamata si avvicinerà al retro del rifugio dalle parti della cucina in cerca di qualcosa di buono e comodo da mangiare. E così l’interesse di quelli del rifugio sarebbe soddisfatto dalle esigenze della volpe.
Le volpi vanno lasciate libere.
Punto.

Poco più di cinque anni fa girò malamente, perché non fu seguito bene dal pubblico numeroso e popolare, il film La volpe e la bambina raccontava la vita di una bambina dai capelli rossi e di una volpe, appunto. Tra le due, dopo alcune peripezie e il trascorrere di stagioni, nacque una sorta di amicizia. Dapprima la bimba cercava la volpe, avvistata tempo addietro, senza alcun successo. Ma la perseveranza della bimba fa si che i momenti d’incontro si susseguirono felici e pieni di scorribande tra boschi e prati e torrenti. Il giorno in cui la volpe conosce la casa della bimba qualcosa si incrina. Non è più la stessa amicizia a unirle. Qualcosa si rompe. La volpe si ferisce gravemente e non sono più possibili le loro escursioni nella natura.
Quello che nato così naturalmente è spazzato via da una forzatura fin troppo evidente.
La voglia o esigenza di stringere sempre più il rapporto alla fine ha leso entrambe.
Alla bimbina non resta che il ricordo di quelle stagioni, da raccontare affettuosamente e in modo costruttivo alle proprie generazioni successive.
La volpe non va rinchiusa nella propria casa.
L’amicizia non ha confini.
Punto.  

Durante la lettura, molteplice, di Jack Frusciante è uscito dal gruppo, di E. Brizzi, ho sempre sorvolato e non raccolto appieno la citazione de Il Piccolo Principe. Citazione della volpe e del principe. Che caso.
Si parla dell’addomesticare e del creare legami, e la cosa stride. Si dice che quando non ci si conosce siamo mille in mezzo a mille e non ci si fa caso. Quando invece si crea un legame tra due si comincia a ricevere e a dare, si comincia ad associare le cose intorno a quello piuttosto che a nessuno. E se questo avviene con una sorta di rito, citato, si crea una sorta di dipendenza, e la cosa stride. Si parla del fatto che in mezzo a mille individui si riconosce e si ha caro solo quello al quale porgiamo i nostri pensieri e le nostre cure e le nostre idee e le nostre aspettative, e la cosa stride.
Si dice che l’essenziale è invisibile agli occhi. E questo non stride.
Si dice che le parole sono fonte di malintesi. Capita.
Si dice che l’addomesticato, quello unico tra tanti, al quale è stato creato un legame, con un rito, stia male nel momento dell’inevitabile saluto.
Che sia abbandono per sempre o solo temporaneo non importa, risentito o sofferto, non importa.
Si dovrebbe rimanere felici per quell’essenziale che non si vede, ma che si sente.
La volpe non va addomesticata, e il principe dovrebbe avere pluralità.
Punto.

Sono ormai più di vent’anni che gira al cinema o alla tv o nelle vhs e poi nei dvd.
Il Principe delle Maree mi fu consigliato da una brava un bel po’ in tempi non sospetti. Disse di controllare se non trovassi qualcosa di mio.
Ora, la storia è fin troppo particolare, psicologica, appunto. E forte, molto, in certi momenti. Il tema trattato, insito nella trama, è delicato.
Il protagonista ha una spiccata simpatia umana, si rende piacevole. Solo la conoscenza di una roba che lo sconvolge da un lato gli da la forza e il coraggio di provare ad affrontare lo scopo di quel momento particolare della sua vita. Si libera, a suo modo, di complessi di sensi di colpa e di rancori e di rimorsi, e con le spalle alleggerite riesce a riprendere in mano la sua vita in modo più leggero.
Come il suo carattere, che lo fa scherzare e sdrammatizzare anche quello che è dramma concreto sottopelle.

E qui si spiegano tanti perché, di come anche nelle nostre vite capita qualcosa del genere, senza nemmeno che ce ne accorgiamo.

Delle nostre robe, a un certo punto, dobbiamo parlare.
Non è facile, ma si deve farlo, foss’anche all’ultimo attimo.

Poi Barbara mandò in giro una roba così:
“L’amore sale tutte le scale”,
Ed io commento “sì ma ogni tanto capita che si ferma”.

E allora non è più quel che era un attimo prima di smettere di salire i gradini.
Il più è non prendersela, non dirsi bugie, tenere basso il tono, chiedere scusa se il gradino prima era troppo alto per qualche momento, e poi, dopo, proseguire.
Anche rimanendo fermi, ma senza stare immobili.


martedì 11 marzo 2014

Sono sempre i sogni a dare forma al mondo


C'era chi era incapace a sognare e chi sognava già
Quando un giorno di scuola mi durava una vita e il mio mondo finiva un po’ là
Quando tutte le scuse per giocare son buone quando tutta la vita è una bella canzone
Quando inizi a capire che sei solo e in mutande quando inizi a capire che tutto è più grande
Ho imparato a sognare che non ero bambino che non ero neanche un' età
Ho imparato a sognare e ho iniziato a sperare che chi c'ha d’avere avrà
Ho imparato a sognare quando un sogno è un cannone che se sogni ne ammazzi metà
Ho imparato a sognare quando inizi a scoprire che ogni sogno ti porta più in là cavalcando aquiloni oltre muri e confini ho imparato a sognare da là
C'è che ormai che ho imparato a sognare non smetterò
Negrita

Stamattina la sveglia mi ha suonato e destato con queste parole. Precise. Puntuali. Non a caso.
Io qui le ho riportate in un ordine tutto mio, giusto per fare a modo mio anche questa.
C’è chi sogna da subito e non smette mai.


Poi ci sono sogni che diventano realtà.
Poi ci sono sogni che sono di altri e te non centri e non centrerai mai niente.
Poi ci sono sogni che altri ti raccontano e te per le tue capacità ti fai il tuo in modo simile ma diverso.
Poi ci sono sogni che sognano altri assieme a te.
Poi ci sono sogni che gli altri ti chiedono la tua idea e cos’hai per la testa tra le tue robe accartocciate.
Poi c’è una persona che ti chiede di partecipare al suo sogno.
Allora tutto diventa realtà.
(la fortuna!)

Io non lo so quanto tempo abbiamo, quanto ne rimane
Io non lo so che cosa ci può stare
Io non lo so chi c'è dall'altra parte, non lo so per certo
So che ogni nuvola è diversa, so che nessuna è come te
Io non lo so se è così sottile il filo che ci tiene
Io non lo so che cosa manca ancora
Io non lo so se sono dentro o fuori, se mi metto in pari
So che ogni lacrima è diversa, so che nessuna è come te
Io non lo so se è già tutto scritto come è stato scritto
Io non lo so che cosa viene dopo
Io non lo so se ti tieni stretto ogni tuo diritto
So che ogni attimo è diverso, so che nessuno è come te
E a giornata finita, a stanchezza salita, a salute brindata provi a fare i conti
A giornata finita, alla fine capita, a preghiera pensata tu ti prendi il tempo che…
Sono sempre i sogni a dare forma al mondo
Sono sempre i sogni a fare la realtà
Sono sempre i sogni a dare forma al mondo
E sogna chi ti dice che non è così e sogna chi non crede che sia tutto qui
Ligabue

(le fotografie)


I nostri sogni hanno bisogno di sentire che siamo coraggiosi.
E allora via!, a provarci per quello che possiamo.




Grazie Manu, è già tra le mie mani, sto già leggendo. E vivo un sogno.

sabato 1 marzo 2014

Charles Bukowski Lancia il dado

Questa volta è la radio a mandarmi nozioni che meritano di essere ricordate e segnalate.
E anche stavolta mi appunto poeta e poesia sul primo pezzetto di carta disponibile.
E anche questa, all’apparenza, cade proprio in un momento, all’apparenza, opportuno.
E come altre volte non è mica un caso.

Mi vengono in mente letture durante un live acustico di qualche tempo fa, e mi vengono in mente le parole di chi lo scorso anno era andato negli stadi.

Qui riporto la poesia un po’ a modo mio…

Se hai intenzione di tentare, fallo fino in fondo. Altrimenti, non cominciare mai.
Se hai intenzione di tentare, fallo fino in fondo. Ciò potrebbe significare perdere fidanzate, mogli, parenti, impieghi e forse la tua mente.
Fallo fino in fondo.
Potrebbe significare non mangiare per tre o quattro giorni.
Potrebbe significare gelare su una panchina del parco.
Potrebbe significare prigione, potrebbe significare derisione, scherno, isolamento.
L’isolamento è il regalo, le altre sono una prova della tua resistenza, di quanto tu realmente voglia farlo.
E lo farai a dispetto dell’emarginazione e delle peggiori diseguaglianze.
E ciò sarà migliore di qualsiasi altra cosa tu possa immaginare.
Se hai intenzione di tentare, fallo fino in fondo.
Non esiste sensazione altrettanto bella.
Sarai solo con gli Dei.
E le notti arderanno tra le fiamme.
Fallo, fallo, fallo. FALLO! Fino in fondo, fino in fondo.
Cavalcherai la vita fino alla risata perfetta.
È l’unica battaglia giusta che esista.



Lorenzo, Ora: non c'è montagna più alta di quella che non scalerò, non c'è scommessa più persa di quella che non giocherò, ora.

Luciano: nati per vivere adesso e qui, sotto le costole un ritmo irregolare che non si fa dimenticare.




E ora, oggi, come dove stiamo andando?