Tutti
gli elementi citati sono presenti in alcuni avvenimenti che mi riguardano.
Questi
sono appunti di qualche tempo fa che piano piano, col tempo che passa e
corregge certi spigoli, sono diventati quello che seguirà.
Ora
che sto buttando di fretta di getto queste lettere in tahoma dieci punti non so
proprio cosa sarà quello che andrà formandosi ma tant’è, ora comincio a
sgranare gli appunti di tanti copiaincollataglia e via, che sia quel che sia.
Proprio
oggi che è oggi sento la necessità di rimetterli a posto, cercare di dargli
forse una dignità, provare a capirci qualcosa.
Qualche
tempo anno fa ero in gita, passeggiata, con alcuni amici.
Era da
fare per bene, in falso piano.
Ci
sparammo come fionde in quel del trentino dalle parti del Brenta, giusto per
dare delle vaghe indicazioni, e in due giorni avremmo dovuto percorrere un
certo numero di metri, sentieri, strade, salite, carrarecce, discese, dormendo
per una notte in rifugio ma che in quella stagione ben avanzata all’estate di
rifugio aveva ben poco.
Bene.
La
passeggiata era stata ben organizzata e divisa in piccole tappe da mezza
giornata ciascuna. La prima, la mattina dell’arrivo, fu ben eseguita e fu il
giusto stimolo per fermarsi alla trattoria del centro del borgo come da
previsioni. La seconda fu un po’ più lunga, come da programma, e tagliò le
gambe a chi non era abituato a tante fatiche con lo zaino sulle spalle. Certo
noi pellegrini per modo di dire non si poteva pretendere chissà che. Il fatto è
che al termine della salita al rifugio chi era ben cotto per cena non mangiò
nemmeno tanto e continuava la nenia autoinflitta del “mi sento molto
orgoglione”, un misto di soddisfazione e di provocazioni. La terza fu lunga a
suo modo estenuante in quanto monotonamente in discesa, senza il minimo sforzo
mentale necessario. L’unico schiaffeggio ci fu dato, a inizio discesa, quindi a
fine salita, da un biker che saliva e che serenamente disse ben scanditi
quattro e ripeto quattro “buongiorno”, e per ognuno voltò lo sguardo a ognuno
di noi. UN EROE. Noi si stava camminando in discesa, eravamo freschi di
mattino, e facevamo una fatica bestia, lui era al termine della salita ed era
fresco come la brezza marina quando arriva quel temporale estivo a rinfrescare
le pelli abbronzate. UN EROE, da applausi. Tant’è.
La
notte precedente, quella passata in rifugio, fu trascorsa molto in chiacchiere
e cazzeggiate. Molte delle quali furono raccontate sotto il cielo pieno di
stelle che quasi illuminavano il prato antistante al rifugio, nel quale avevamo
preso posto per ripristinare certe smorfie. Rutti e scoregge si sprecarono nel
silenzio del bosco. E la ragazza del rifugio non poté non porci i suoi vivi
complimenti.
Ci
raccontarono anche di orsi che d’inverno si avvicinavano in cerca di cibo.
E di
una volpe che in quelle sere era solita girovagare per il prato.
Detto
fatto. Il rosso mantello e la lunga coda si presentarono puntuali al nostro
cospetto che allibiti e sorpresi e inebetiti fummo fulminati da tanta bellezza
e da tanta sorpresa. Solo, uno di noi pensò a una foto, mosse si e no le mani e
questa lesta e furtiva e impaurita se ne scappò al buio del bosco e della
montagna.
Lezione:
le volpi non si fanno fotografare. Le volpi, quella volpe che incrociò la mia
strada, non voleva farsi trattenere, nemmeno in foto. Le volpi vanno lasciate
libere.
Anni
dopo venni a sapere che tale volpe fu uccisa dai bracconieri la primavera
successiva la nostra visita, quindi quelli del rifugio non avevano più nessuno
da attendere nelle sere serene della primavera dell’estate. Almeno fino
all’arrivo di una nuova volpe, che curiosa e affamata si avvicinerà al retro
del rifugio dalle parti della cucina in cerca di qualcosa di buono e comodo da
mangiare. E così l’interesse di quelli del rifugio sarebbe soddisfatto dalle
esigenze della volpe.
Le
volpi vanno lasciate libere.
Punto.
Poco
più di cinque anni fa girò malamente, perché non fu seguito bene dal pubblico
numeroso e popolare, il film La volpe e la bambina raccontava la vita di una bambina
dai capelli rossi e di una volpe, appunto. Tra le due, dopo alcune peripezie e
il trascorrere di stagioni, nacque una sorta di amicizia. Dapprima la bimba
cercava la volpe, avvistata tempo addietro, senza alcun successo. Ma la
perseveranza della bimba fa si che i momenti d’incontro si susseguirono felici
e pieni di scorribande tra boschi e prati e torrenti. Il giorno in cui la volpe
conosce la casa della bimba qualcosa si incrina. Non è più la stessa amicizia a
unirle. Qualcosa si rompe. La volpe si ferisce gravemente e non sono più
possibili le loro escursioni nella natura.
Quello
che nato così naturalmente è spazzato via da una forzatura fin troppo evidente.
La
voglia o esigenza di stringere sempre più il rapporto alla fine ha leso
entrambe.
Alla bimbina
non resta che il ricordo di quelle stagioni, da raccontare affettuosamente e in
modo costruttivo alle proprie generazioni successive.
La
volpe non va rinchiusa nella propria casa.
L’amicizia
non ha confini.
Punto.
Durante
la lettura, molteplice, di Jack Frusciante è uscito dal gruppo, di E. Brizzi,
ho sempre sorvolato e non raccolto appieno la citazione de Il Piccolo Principe.
Citazione della volpe e del principe. Che caso.
Si
parla dell’addomesticare e del creare legami, e la cosa stride. Si dice che
quando non ci si conosce siamo mille in mezzo a mille e non ci si fa caso.
Quando invece si crea un legame tra due si comincia a ricevere e a dare, si
comincia ad associare le cose intorno a quello piuttosto che a nessuno. E se
questo avviene con una sorta di rito, citato, si crea una sorta di dipendenza,
e la cosa stride. Si parla del fatto che in mezzo a mille individui si
riconosce e si ha caro solo quello al quale porgiamo i nostri pensieri e le
nostre cure e le nostre idee e le nostre aspettative, e la cosa stride.
Si
dice che l’essenziale è invisibile agli occhi. E questo non stride.
Si
dice che le parole sono fonte di malintesi. Capita.
Si
dice che l’addomesticato, quello unico tra tanti, al quale è stato creato un
legame, con un rito, stia male nel momento dell’inevitabile saluto.
Che
sia abbandono per sempre o solo temporaneo non importa, risentito o sofferto,
non importa.
Si
dovrebbe rimanere felici per quell’essenziale che non si vede, ma che si sente.
La
volpe non va addomesticata, e il principe dovrebbe avere pluralità.
Punto.
Sono
ormai più di vent’anni che gira al cinema o alla tv o nelle vhs e poi nei dvd.
Il
Principe delle Maree mi fu consigliato da una brava un bel po’ in tempi non
sospetti. Disse di controllare se non trovassi qualcosa di mio.
Ora,
la storia è fin troppo particolare, psicologica, appunto. E forte, molto, in
certi momenti. Il tema trattato, insito nella trama, è delicato.
Il
protagonista ha una spiccata simpatia umana, si rende piacevole. Solo la
conoscenza di una roba che lo sconvolge da un lato gli da la forza e il
coraggio di provare ad affrontare lo scopo di quel momento particolare della
sua vita. Si libera, a suo modo, di complessi di sensi di colpa e di rancori e
di rimorsi, e con le spalle alleggerite riesce a riprendere in mano la sua vita
in modo più leggero.
Come
il suo carattere, che lo fa scherzare e sdrammatizzare anche quello che è dramma
concreto sottopelle.
E qui
si spiegano tanti perché, di come anche nelle nostre vite capita qualcosa del
genere, senza nemmeno che ce ne accorgiamo.
Delle
nostre robe, a un certo punto, dobbiamo parlare.
Non è
facile, ma si deve farlo, foss’anche all’ultimo attimo.
Poi
Barbara mandò in giro una roba così:
“L’amore
sale tutte le scale”,
Ed io
commento “sì ma ogni tanto capita che si ferma”.
E
allora non è più quel che era un attimo prima di smettere di salire i gradini.
Il più
è non prendersela, non dirsi bugie, tenere basso il tono, chiedere scusa se il
gradino prima era troppo alto per qualche momento, e poi, dopo, proseguire.
Anche
rimanendo fermi, ma senza stare immobili.