Sono passati
33 anni e siamo ancora qui a chiedere chi è stato a pensare una roba così.
In
questi giorni non sto benissimo ma sono salito lo stesso su quel treno. Quello dopo
visto che la notte è passata come è passata, e per la prossima mi devo
ricordare di non prendere quello dopo ma quello prima perché arriverei coi miei
tempi giusti e con la possibilità di osservare per bene tutto quello che serve
e che vorrei.
La
stazione Centrale di Bologna è già presidiata, ci sono già troppi agenti in
giro e transenne a impedire certi percorsi e certi passaggi.
Con molta
calma affronto miriadi di sguardi persi che non sanno dove andare e che
prendono la via di tutti, osservo dal mio posto mobile un sacco di valige e
trolley e zaini, i miei occhi girano in continuazione, sono avidi di immagini e
sensazioni, spesso si soffermano sui culi che le donne d’estate mostrano più o
meno consapevolmente. Alcuni sono ben meritevoli di applausi, che non faccio,
che sono timido.
Però il
pensiero mi aiuta a sdrammatizzare il mio arrivo in piazza, all’aperto, al
sole.
Esco
per davvero e noto che sono già arrivati, perché il treno era pure un po’ in
ritardo e ormai è ora di prendere posto. I gonfaloni sono già sotto l’orologio
bloccato alle 10.25.
Vedo subito
sotto le Medaglie d’Oro che ci sono 85 cartelli di nuove vie per la città, sono
i nomi delle vittime, ed abbraccerei ognuno di quei familiari che
orgogliosamente mostrano l’amore per i cari e il loro non dimenticare mai.
Il
palco è gremito, e ci sono gazebo per l’ombra alle autorità, e c’è lo
striscione che dice Bologna non dimentica.
E come
si fa a dimenticare una roba così?
Eppure
sono solo pochi anni che mi sono avvicinato a questo evento. Non avevo ancora
un’età ed ero lontano chilometri, e chi mi ha cresciuto non ne ha mai parlato. Quindi
sono state le mie esperienze, o il caso che accompagna l’uomo sulla terra, a
portarmi qui in piazza in queste giornate bollenti solo qualche anno fa. So che
ci sono persone che non mancano mai all’appello, e mi si stringe il cuore con
le emozioni che girano qui tra noi. Il corteo sta ancora arrivando, per un po’
gli vado incontro e noto volti comuni di persone che ci vogliono essere. Come altri.
Come me.
Bolognesi
attacca il discorso, qualcuno rumoreggia, si distrae, qualche fischio si alza
ma non troppo, io voglio solo ascoltare. E ascolto. E vedo persone arrivare. E vedo
persone immobili ad ascoltare.
Chiede
che il reato di depistaggio sia considerato reato giacché oggi non c’è una
legge che lo prevede. Io barcollo un po’, e mi domando come sia possibile che
in una democrazia, nella nostra democrazia, ci siano reati non punibili SOLO perché
non esiste una legge che li descriva per bene in ogni dettaglio. COSA?
In democrazia
ogni lesione procurata, ogni bugia, ogni roba che non va bene DEVE rientrare
dentro una legge, magari non particolare, ma non può esistere che io faccia una
roba sbagliata e non sia punibile. Oppure ho solo la mente bollita dall’utopia.
A
volte un sussulto è comparso alla schiena.
Da una lapide a tante strade, una strada per ciascuno
dei nostri morti, perché ciascuno dei vivi lo onori con i propri passi e quella
via diventi parte della loro vita di ogni giorno.
Una cosa è chiara, questa non è ormai storia, qualcosa
di remoto per i nostri giovani.
Quella maledetta bomba, e i morti che ha fatto, non è
ormai qualcosa di remoto e lontano, è qualcosa ancora molto attuale, presente
che non si può ridurre a un fatto antico.
Dire che non è storia passata ma una ferita presente
significa dire che finché la verità non verrà fuori la storia non si chiuderà
mai, questo debbono sapere i nostri giovani, noi lasciamo loro non una storia
antica ma un compito presente, oggi per domani, per tutto il tempo necessario,
una staffetta dove il testimone si passa di padre in figlio, da madre a figlia,
da amico ad amico, e noi continueremo a passarci il testimone finché tutti i
colpevoli verranno fuori.
…
E continueremo a farlo con la nostra presenza e la
nostra partecipazione.
Ricordare le vittime significa ricordare persone a cui è
stata tolta la vita perché considerate irrilevanti, perché considerate masse
indifferenziate.
Cose trascurabili e sacrificabili per la lucida follia
terrorista e per gli scopi ignobili dei loro mandanti. Ricordare queste persone
allora, piantare la memoria della loro esistenza concreta significa rifiutare,
disprezzare l’idea totalitaria e antidemocratica che considera donne e uomini
come mezzi sacrificabili, che considera le persone che si riuniscono insieme
come folla stupida, come massa simile ad un gregge.
Da trentatré anni noi stiamo dimostrando che può esserci
invece una intelligenza collettiva, fatta di persone pensanti, che con idee
diverse sono capaci di ritrovarsi per una comune e condivisa domanda di verità
e di giustizia.
Perché non dimenticare ha senso profondo solo se
risponde a un bisogno di rinnovamento, di voltare pagina, di risolvere in
meglio, di poter davvero come comunità nazionale ricominciare insieme.
…
Come una promessa da mantenere.
Con una speranza ostinata.
La speranza che finalmente che questa nostra amata
Repubblica ritrovi, nella verità e nella giustizia, la capacità e la
possibilità autentica di dire “ NOI”.
Sono
le 10.25 e non è un caso, e quell’orologio è bellissimo!
Un minuto
per un nodo che pian piano si snoda, nel silenzio fragoroso delle memorie, con
le lacrime che rigano le guance e gli occhi stretti dal sole ma non dall’essere
ridicoli, ci si guarda in faccia e si sorride e saluta come a dire sì anche te
sei come me. In fondo qui al sole sull’asfalto di tanto teatro atroce siamo
tutti cittadini di una stessa città anche se con accenti e acconciature
differenti.
E c’è
ancora gente che arriva. La città almeno qui, è ferma a ricordare.
Successivamente
è il sindaco che prende parola. Secondo me un po’ maleducatamente ci sono troppi
fischi, secondo me lui la prende alla larga, molto forse troppo, però poi
arriva al dunque. Noto con dispiacere qualcuno che non approva andandosene o
girando troppo tra le persone.
Propone
e descrive che saranno intitolate vie della città alle vittime della strage. E finalmente!
Sono distratto
da un signore che non ce la fa, avrà settant’anni è pallido ha la zanetta e la
mano libera è bloccata in una smorfia di fatica cammina quasi a stento ed ha il
sole in faccia che gli da fastidio procede a stento appoggiandosi ai paletti,
io mi faccio da parte e lo seguo per un po’, senza toccarlo, senza che se ne
accorga, finchè non arriva sotto l’ombra dei pochi alberi, si gira e continua
ad ascoltare, e rimane. Io, alla sua età, firmerei di sinistro fossi così. E’
bravissimo, mi ricorda la caparbietà del nonno, e forse anche di altri.
Tant’è.
Torno a posto e noto la signora a fianco spostarsi come se me l’avesse tenuto e
mi sorride lievemente sotto i grandi occhiali da sole.
Forse ha
gli occhi rossi e lucidi come me.
Arriva
la Boldrini. Sì lo so è Presidente della Camera. Ed ha pure un bel nome, Laura.
Ma nella mente io ho la voce di mia nonna che la chiama così: la Boldrini. (in
realtà in dialetto, ma mi sembrerebbe troppo) anche se la nonna sono anni che
non c’è più e non ha mica mai detto…
Comunque,
sale al pulpito e si mostra, e parte un applauso da stadio, ci sono proprio
delle braccia alzate e le mani al cielo. E lei non riesce quasi a parlare.
Si
emoziona, e si capisce subito che è una di noi.
Dice
che è commossa di essere a Bologna oggi con noi.
E ci
ringrazia di essere e di stare sotto al sole cocente.
Dice che
non è un caso che oggi ci sia lei.
E il
caso mi rimbalza ancora nella vita.
…
E’ così anche per
Bologna. La giustizia ha individuato e condannato gli esecutori. Non ancora i
mandanti, i burattinai, gli strateghi, quelli che hanno pensato la carneficina.
La strage di Bologna
fu un evento terribile, che ha sconvolto la vita delle centinaia di persone che
ne soffrirono in modo diretto.
Ma è stato un evento
che ha lacerato in profondità anche le istituzioni democratiche, portandone
alla luce ancora una volta le inadeguatezze, le inadempienze, le debolezze, la
pervasività di zone oscure, infiltrazioni, ambiguità, doppiezze.
Una ferita ancora
aperta e dolorosa per coloro che hanno a cuore la vita democratica di questo
paese.
…
Penso che tra le
tante ragioni che hanno portato alla attuale crisi di legittimità delle nostre
istituzioni e al distacco crescente di gran parte dei cittadini dalla
partecipazione democratica attiva, ci sia anche questa incapacità di fare
chiarezza fino in fondo, di dirsi tutto, di produrre verità e quindi di
restituire completa giustizia, la giustizia che ancora non abbiamo. Come si fa,
in queste condizioni, a innamorarsi delle istituzioni?
…
Chiarezza,
trasparenza, in primo luogo per le vittime, per gli 85 innocenti ai quali è
stata troncata la vita. Per i loro familiari e per i feriti sopravvissuti, che
negli anni non hanno smesso di chiedersi che senso dare alla loro sofferenza –
poco fa ho visto una ragazza che piange in silenzio dall’inizio della
cerimonia.
Ma anche per noi,
come cittadini responsabili di questa Repubblica democratica.
…
Lidia Secci, la
moglie di Torquato, primo presidente dell’Associazione, ha detto in una
intervista che ”Le vittime sono scomode”.
…
É vero, signora
Secci – venga qui vicino a me – le verità sono scomode per tutti coloro che
preferirebbero voltar pagina e rifugiarsi nell’indifferenza.
Scomodi sono i morti
che, con la brutalità irrevocabile della loro stessa morte, non smettono di
chiederne ragione a noi vivi.
Scomodi i
sopravvissuti, i familiari, gli amici, che danno voce alla loro domanda di
verità.
A loro dico : grazie
per essere così scomodi! Continuate ad essere scomodi, dobbiamo tutti essere
scomodi!
Grazie per aver
convertito il vostro dolore in responsabilità, passione civile, vigilanza
democratica. Grazie per aiutarci a non dimenticare. Potevate chiudervi
nell’odio, e non l’avete fatto.
…
Per me, deve essere
chiaro, aver ricevuto il vostro invito è stato un grande onore, un attestato di
stima di cui vi sono profondamente grata. È cosa diversa dal dover andare. Sono
orgogliosa di essere qui, e ora non ho più paura di questa piazza.
…
Ma che cosa ci hanno
detto queste inchieste parlamentari?
Ci hanno detto che
fin dalla fine degli anni sessanta, e poi per tutto il decennio successivo e
ancora oltre, l’eversione neofascista organizzò, con la complicità di settori
deviati degli apparati dello Stato, una vera e propria strategia con
l’obiettivo di terrorizzare la popolazione italiana e suscitare così una
domanda d’ordine e di svolta autoritaria, perché se c’è caos si richiede più
ordine!
Temevano la vittoria
delle istanze di progresso e di libertà che proprio in quegli anni spingevano
alla partecipazione attiva migliaia di giovani, di donne e di lavoratori. Io me
la ricordo Bologna, in quegli anni si scendeva in piazza. E questo metteva
paura: bisognava metterci un punto, bisognava bloccare quella spinta
libertaria.
La strage di Bologna
fu l’evento forse più drammatico di questa strategia. Per il numero dei morti e
dei feriti e per le modalità spietate con cui fu messa in atto.
Ma Bologna è anche
il racconto di Milano, di Brescia, dei cieli di Ustica, di Capaci e di via
D’Amelio, della strage del rapido 904. Ma guardatele, queste vicende! Sono
tutte legate, sullo sfondo c’è sempre la paura.
E’ la storia di un
Paese che ha collezionato molte colpe ma ha conosciuto pochi, pochissimi
colpevoli. Dove, dove sono?
Ecco, a questa
impunità non possiamo, non dobbiamo rassegnarci.
…
Perché non esiste
lutto più inconsolabile di una verità negata, quando al dolore per i propri
morti si unisce l’umiliazione delle menzogne.
Ma Bologna non si è
lasciata piegare. Non si è arresa. Ha continuato a lottare e ad andare avanti.
Anche l’Italia è andata
avanti.
…
L’intolleranza
genera mostri: e a quei mostri dobbiamo sempre saper opporre il senso alto
della nostra civiltà, rifiutando la provocazione e dimostrando che c’è sempre
un’alternativa all’odio, nel rispetto della lunga strada che abbiamo percorso
fin qui. Andiamo avanti con la nostra civiltà, con la nostra Costituzion.
Lasciamo stare quelli che alimentano la fabbrica dell’odio. Il Paese ha bisogno
di più coesione.
Ecco perchéè attuale
e necessario il dovere della memoria.
…
Quei nomi saranno
ricordati ogni giorno, come un giuramento solenne che non dobbiamo smarrire
mai. Saranno il segno di una ferita ancora aperta ma anche il segno che non ci
siamo fatti fermare, il segno di una nostra pretesa di verità che il tempo non
può e non potrà mai fiaccare. Lo dico soprattutto ai più giovani. Mi
raccomando: non dimenticate mai!
Mi domando
una speranza: mi piacerebbe tanto che un giorno tutta la città si fermasse
davvero tutta per tutta l’ora del ricordo. Ma forse in passato è andata così. E
io non c’ero.
Ho passato
la mattina a piangere costantemente con le lacrime a colare il viso a cadere
sulla maglia e asciugarsi sotto al sole alto di agosto. Sudavo ma non me ne
curavo, e pazienza se le righe scorrevano lungo la schiena. Ho pure tolto il
cappello per non nascondermi.
Non c’era
nulla da nascondere oggi.
Oggi non
ero solo; e non mi fregava niente di esser forse ridicolo.
La
Boldrini è una ganza, anche se non è toscana ma marchigiana. Mi è piaciuta. Come
credevo fosse.
Entro in
sala d’aspetto. C’è odore buono di fiori.
Rileggo
ancora oggi tutti i nomi della lapide.
Come ogni
altra volta riconosco la memoria nella foto nella foto.
E
trovo bellissimo quello squarcio sul primo binario.
Intendiamoci,
solo per il senso di ricordo che sarà sempre.
Entro nel
mio treno per casa con una eco nella mente: Io
come Sonia Burri, 7 anni; ma io dov’ero?
In nome
di una memoria da non dimenticare.
E ora
avanti! Sempre!
Facendo
i bravi.
Nessun commento:
Posta un commento