venerdì 2 agosto 2013

Bologna 2 agosto 1980, 33

Sono passati 33 anni e siamo ancora qui a chiedere chi è stato a pensare una roba così.
In questi giorni non sto benissimo ma sono salito lo stesso su quel treno. Quello dopo visto che la notte è passata come è passata, e per la prossima mi devo ricordare di non prendere quello dopo ma quello prima perché arriverei coi miei tempi giusti e con la possibilità di osservare per bene tutto quello che serve e che vorrei.
La stazione Centrale di Bologna è già presidiata, ci sono già troppi agenti in giro e transenne a impedire certi percorsi e certi passaggi.
Con molta calma affronto miriadi di sguardi persi che non sanno dove andare e che prendono la via di tutti, osservo dal mio posto mobile un sacco di valige e trolley e zaini, i miei occhi girano in continuazione, sono avidi di immagini e sensazioni, spesso si soffermano sui culi che le donne d’estate mostrano più o meno consapevolmente. Alcuni sono ben meritevoli di applausi, che non faccio, che sono timido.
Però il pensiero mi aiuta a sdrammatizzare il mio arrivo in piazza, all’aperto, al sole.
Esco per davvero e noto che sono già arrivati, perché il treno era pure un po’ in ritardo e ormai è ora di prendere posto. I gonfaloni sono già sotto l’orologio bloccato alle 10.25.
Vedo subito sotto le Medaglie d’Oro che ci sono 85 cartelli di nuove vie per la città, sono i nomi delle vittime, ed abbraccerei ognuno di quei familiari che orgogliosamente mostrano l’amore per i cari e il loro non dimenticare mai.
Il palco è gremito, e ci sono gazebo per l’ombra alle autorità, e c’è lo striscione che dice Bologna non dimentica.
E come si fa a dimenticare una roba così?
Eppure sono solo pochi anni che mi sono avvicinato a questo evento. Non avevo ancora un’età ed ero lontano chilometri, e chi mi ha cresciuto non ne ha mai parlato. Quindi sono state le mie esperienze, o il caso che accompagna l’uomo sulla terra, a portarmi qui in piazza in queste giornate bollenti solo qualche anno fa. So che ci sono persone che non mancano mai all’appello, e mi si stringe il cuore con le emozioni che girano qui tra noi. Il corteo sta ancora arrivando, per un po’ gli vado incontro e noto volti comuni di persone che ci vogliono essere. Come altri. Come me.
Bolognesi attacca il discorso, qualcuno rumoreggia, si distrae, qualche fischio si alza ma non troppo, io voglio solo ascoltare. E ascolto. E vedo persone arrivare. E vedo persone immobili ad ascoltare.
Chiede che il reato di depistaggio sia considerato reato giacché oggi non c’è una legge che lo prevede. Io barcollo un po’, e mi domando come sia possibile che in una democrazia, nella nostra democrazia, ci siano reati non punibili SOLO perché non esiste una legge che li descriva per bene in ogni dettaglio. COSA?
In democrazia ogni lesione procurata, ogni bugia, ogni roba che non va bene DEVE rientrare dentro una legge, magari non particolare, ma non può esistere che io faccia una roba sbagliata e non sia punibile. Oppure ho solo la mente bollita dall’utopia.
A volte un sussulto è comparso alla schiena.

Da una lapide a tante strade, una strada per ciascuno dei nostri morti, perché ciascuno dei vivi lo onori con i propri passi e quella via diventi parte della loro vita di ogni giorno.
Una cosa è chiara, questa non è ormai storia, qualcosa di remoto per i nostri giovani.
Quella maledetta bomba, e i morti che ha fatto, non è ormai qualcosa di remoto e lontano, è qualcosa ancora molto attuale, presente che non si può ridurre a un fatto antico.
Dire che non è storia passata ma una ferita presente significa dire che finché la verità non verrà fuori la storia non si chiuderà mai, questo debbono sapere i nostri giovani, noi lasciamo loro non una storia antica ma un compito presente, oggi per domani, per tutto il tempo necessario, una staffetta dove il testimone si passa di padre in figlio, da madre a figlia, da amico ad amico, e noi continueremo a passarci il testimone finché tutti i colpevoli verranno fuori.
E continueremo a farlo con la nostra presenza e la nostra partecipazione.
Ricordare le vittime significa ricordare persone a cui è stata tolta la vita perché considerate irrilevanti, perché considerate masse indifferenziate.
Cose trascurabili e sacrificabili per la lucida follia terrorista e per gli scopi ignobili dei loro mandanti. Ricordare queste persone allora, piantare la memoria della loro esistenza concreta significa rifiutare, disprezzare l’idea totalitaria e antidemocratica che considera donne e uomini come mezzi sacrificabili, che considera le persone che si riuniscono insieme come folla stupida, come massa simile ad un gregge.
Da trentatré anni noi stiamo dimostrando che può esserci invece una intelligenza collettiva, fatta di persone pensanti, che con idee diverse sono capaci di ritrovarsi per una comune e condivisa domanda di verità e di giustizia.
Perché non dimenticare ha senso profondo solo se risponde a un bisogno di rinnovamento, di voltare pagina, di risolvere in meglio, di poter davvero come comunità nazionale ricominciare insieme.
Come una promessa da mantenere.
Con una speranza ostinata.
La speranza che finalmente che questa nostra amata Repubblica ritrovi, nella verità e nella giustizia, la capacità e la possibilità autentica di dire “ NOI”.

Sono le 10.25 e non è un caso, e quell’orologio è bellissimo!
Un minuto per un nodo che pian piano si snoda, nel silenzio fragoroso delle memorie, con le lacrime che rigano le guance e gli occhi stretti dal sole ma non dall’essere ridicoli, ci si guarda in faccia e si sorride e saluta come a dire sì anche te sei come me. In fondo qui al sole sull’asfalto di tanto teatro atroce siamo tutti cittadini di una stessa città anche se con accenti e acconciature differenti.
E c’è ancora gente che arriva. La città almeno qui, è ferma a ricordare.

Successivamente è il sindaco che prende parola. Secondo me un po’ maleducatamente ci sono troppi fischi, secondo me lui la prende alla larga, molto forse troppo, però poi arriva al dunque. Noto con dispiacere qualcuno che non approva andandosene o girando troppo tra le persone.
Propone e descrive che saranno intitolate vie della città alle vittime della strage. E finalmente!
Sono distratto da un signore che non ce la fa, avrà settant’anni è pallido ha la zanetta e la mano libera è bloccata in una smorfia di fatica cammina quasi a stento ed ha il sole in faccia che gli da fastidio procede a stento appoggiandosi ai paletti, io mi faccio da parte e lo seguo per un po’, senza toccarlo, senza che se ne accorga, finchè non arriva sotto l’ombra dei pochi alberi, si gira e continua ad ascoltare, e rimane. Io, alla sua età, firmerei di sinistro fossi così. E’ bravissimo, mi ricorda la caparbietà del nonno, e forse anche di altri.
Tant’è. Torno a posto e noto la signora a fianco spostarsi come se me l’avesse tenuto e mi sorride lievemente sotto i grandi occhiali da sole.
Forse ha gli occhi rossi e lucidi come me.

Arriva la Boldrini. Sì lo so è Presidente della Camera. Ed ha pure un bel nome, Laura. Ma nella mente io ho la voce di mia nonna che la chiama così: la Boldrini. (in realtà in dialetto, ma mi sembrerebbe troppo) anche se la nonna sono anni che non c’è più e non ha mica mai detto…
Comunque, sale al pulpito e si mostra, e parte un applauso da stadio, ci sono proprio delle braccia alzate e le mani al cielo. E lei non riesce quasi a parlare.
Si emoziona, e si capisce subito che è una di noi.
Dice che è commossa di essere a Bologna oggi con noi.
E ci ringrazia di essere e di stare sotto al sole cocente.
Dice che non è un caso che oggi ci sia lei.
E il caso mi rimbalza ancora nella vita.
E’ così anche per Bologna. La giustizia ha individuato e condannato gli esecutori. Non ancora i mandanti, i burattinai, gli strateghi, quelli che hanno pensato la carneficina.
La strage di Bologna fu un evento terribile, che ha sconvolto la vita delle centinaia di persone che ne soffrirono in modo diretto.
Ma è stato un evento che ha lacerato in profondità anche le istituzioni democratiche, portandone alla luce ancora una volta le inadeguatezze, le inadempienze, le debolezze, la pervasività di zone oscure, infiltrazioni, ambiguità, doppiezze.
Una ferita ancora aperta e dolorosa per coloro che hanno a cuore la vita democratica di questo paese.

Penso che tra le tante ragioni che hanno portato alla attuale crisi di legittimità delle nostre istituzioni e al distacco crescente di gran parte dei cittadini dalla partecipazione democratica attiva, ci sia anche questa incapacità di fare chiarezza fino in fondo, di dirsi tutto, di produrre verità e quindi di restituire completa giustizia, la giustizia che ancora non abbiamo. Come si fa, in queste condizioni, a innamorarsi delle istituzioni?
Chiarezza, trasparenza, in primo luogo per le vittime, per gli 85 innocenti ai quali è stata troncata la vita. Per i loro familiari e per i feriti sopravvissuti, che negli anni non hanno smesso di chiedersi che senso dare alla loro sofferenza – poco fa ho visto una ragazza che piange in silenzio dall’inizio della cerimonia.
Ma anche per noi, come cittadini responsabili di questa Repubblica democratica.

Lidia Secci, la moglie di Torquato, primo presidente dell’Associazione, ha detto in una intervista che ”Le vittime sono scomode”.
É vero, signora Secci – venga qui vicino a me – le verità sono scomode per tutti coloro che preferirebbero voltar pagina e rifugiarsi nell’indifferenza.
Scomodi sono i morti che, con la brutalità irrevocabile della loro stessa morte, non smettono di chiederne ragione a noi vivi.
Scomodi i sopravvissuti, i familiari, gli amici, che danno voce alla loro domanda di verità.
A loro dico : grazie per essere così scomodi! Continuate ad essere scomodi, dobbiamo tutti essere scomodi!
Grazie per aver convertito il vostro dolore in responsabilità, passione civile, vigilanza democratica. Grazie per aiutarci a non dimenticare. Potevate chiudervi nell’odio, e non l’avete fatto.
Per me, deve essere chiaro, aver ricevuto il vostro invito è stato un grande onore, un attestato di stima di cui vi sono profondamente grata. È cosa diversa dal dover andare. Sono orgogliosa di essere qui, e ora non ho più paura di questa piazza.
Ma che cosa ci hanno detto queste inchieste parlamentari?
Ci hanno detto che fin dalla fine degli anni sessanta, e poi per tutto il decennio successivo e ancora oltre, l’eversione neofascista organizzò, con la complicità di settori deviati degli apparati dello Stato, una vera e propria strategia con l’obiettivo di terrorizzare la popolazione italiana e suscitare così una domanda d’ordine e di svolta autoritaria, perché se c’è caos si richiede più ordine!
Temevano la vittoria delle istanze di progresso e di libertà che proprio in quegli anni spingevano alla partecipazione attiva migliaia di giovani, di donne e di lavoratori. Io me la ricordo Bologna, in quegli anni si scendeva in piazza. E questo metteva paura: bisognava metterci un punto, bisognava bloccare quella spinta libertaria.
La strage di Bologna fu l’evento forse più drammatico di questa strategia. Per il numero dei morti e dei feriti e per le modalità spietate con cui fu messa in atto.
Ma Bologna è anche il racconto di Milano, di Brescia, dei cieli di Ustica, di Capaci e di via D’Amelio, della strage del rapido 904. Ma guardatele, queste vicende! Sono tutte legate, sullo sfondo c’è sempre la paura.
E’ la storia di un Paese che ha collezionato molte colpe ma ha conosciuto pochi, pochissimi colpevoli. Dove, dove sono?
Ecco, a questa impunità non possiamo, non dobbiamo rassegnarci.
Perché non esiste lutto più inconsolabile di una verità negata, quando al dolore per i propri morti si unisce l’umiliazione delle menzogne.
Ma Bologna non si è lasciata piegare. Non si è arresa. Ha continuato a lottare e ad andare avanti.
Anche l’Italia è andata avanti.
L’intolleranza genera mostri: e a quei mostri dobbiamo sempre saper opporre il senso alto della nostra civiltà, rifiutando la provocazione e dimostrando che c’è sempre un’alternativa all’odio, nel rispetto della lunga strada che abbiamo percorso fin qui. Andiamo avanti con la nostra civiltà, con la nostra Costituzion. Lasciamo stare quelli che alimentano la fabbrica dell’odio. Il Paese ha bisogno di più coesione.
Ecco perchéè attuale e necessario il dovere della memoria.
Quei nomi saranno ricordati ogni giorno, come un giuramento solenne che non dobbiamo smarrire mai. Saranno il segno di una ferita ancora aperta ma anche il segno che non ci siamo fatti fermare, il segno di una nostra pretesa di verità che il tempo non può e non potrà mai fiaccare. Lo dico soprattutto ai più giovani. Mi raccomando: non dimenticate mai!

Mi domando una speranza: mi piacerebbe tanto che un giorno tutta la città si fermasse davvero tutta per tutta l’ora del ricordo. Ma forse in passato è andata così. E io non c’ero.

Ho passato la mattina a piangere costantemente con le lacrime a colare il viso a cadere sulla maglia e asciugarsi sotto al sole alto di agosto. Sudavo ma non me ne curavo, e pazienza se le righe scorrevano lungo la schiena. Ho pure tolto il cappello per non nascondermi.
Non c’era nulla da nascondere oggi.
Oggi non ero solo; e non mi fregava niente di esser forse ridicolo.

La Boldrini è una ganza, anche se non è toscana ma marchigiana. Mi è piaciuta. Come credevo fosse.

Entro in sala d’aspetto. C’è odore buono di fiori.
Rileggo ancora oggi tutti i nomi della lapide.
Come ogni altra volta riconosco la memoria nella foto nella foto.
E trovo bellissimo quello squarcio sul primo binario.
Intendiamoci, solo per il senso di ricordo che sarà sempre.

Entro nel mio treno per casa con una eco nella mente: Io come Sonia Burri, 7 anni; ma io dov’ero?

In nome di una memoria da non dimenticare.
E ora avanti! Sempre!

Facendo i bravi.


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