Dài,
oggi
scriviamo di sport, scriviamo di quel funzionamento sociale che tante volte viene
detto “è una palestra di vita”.
Ma
scriviamo anche di quello che non è.
A me
non piace il tifo. Soprattutto un certo tipo di tifo.
Gli
eccessi non vanno mai bene.
L’occasione
è una partita di pallone, o calcio, o football.
L’occasione
è una partita attesa come poche volte nella storia.
Gli
spalti sono gremiti di entusiasmo felicità e buoni propositi in quanto i
padroni di casa si sentono in grado di proseguire oltre, ed arrivare fino alla
finale, sono certi di arrivare fino a vincere.
Gli
spettatori tutti, quelli dei padroni di casa, che occupano quasi tutto lo
stadio, sono un unico coro a incitare i propri giocatori in campo, cosicché si
possa arrivare davvero fino in fondo.
Il
coro sull’inno nazionale è da pelle d’oca: i giocatori in campo e tutto il
pubblico possibile cantano a squarciagola; verso la fine, forse
involontariamente, la musica svanisce e
rimane una unica grande voce a terminare le strofe.
Gli
avversari sono ammutoliti, e se anche parlassero non si sentirebbe nulla, se
anche provassero ad alzare educatamente la mano nessuno in quel momento si
prenderebbe la briga di degnarli anche solo di uno sguardo. Oppure,
semplicemente, non se ne curano più di tanto e proseguono la propria strada.
Per i
primi minuti di gioco il coro del tifo, quello di casa, continua imperterrito e
senza mai interruzioni.
Poi
all’improvviso, nel bel mezzo di quel boato che sono la felicità e i canti dei
tifosi locali, capita che gli ospiti facciano quello che devono, quello per il
quale si sono presentati pronti pronti.
Segnano,
esultano, si felicitano. E non si sentono.
Ma la
storia sta cambiando.
Poco
dopo, sempre con l’entusiasmo dei padroni di casa alle stelle, capita ancora che
gli ospiti riescano nel gol, e la sensazione è che non abbiano alcuna difficoltà.
Lo
stupore comincia ad aleggiare in campo, e pure gli spalti hanno gli occhi
sbarrati ebeti.
E poi
ancora gol, e poi gol, e poi ancora gol.
Basta
poco meno di mezz’ora per cambiare la storia.
E’ un
attimo eterno.
Non
sai proprio mai cosa può esserci dopo.
Dopo
un attimo. Dopo una curva.
Non lo
sai mai.
Beh,
la partita ora ha poca storia. Il risultato è di quelli da allibire. La
facilità con la quale questo risultato è stato portato alle statistiche e alla
memoria è impressionante.
Roba
da non crederci.
Disperazione.
Stupore. Drammi.
Sorrisi
che si tramutano in smorfie con gli occhi gonfi e i magoni a legare i respiri.
Ed io
che comincio a non capire.
Intendo
al di là dell’aspetto sportivo, quello prettamente del risultato, che si
capisce bene che è molto meritato.
Mi
domando perché certi tipi di comportamenti.
Mi
domando perché si arrivi a tanto.
I
tifosi non sono forse tifosi?
Il
dizionario online Hoepli dice che il TIFO è “passione sportiva, dimostrazione
di sostegno e incoraggiamento tributato a squadre o personaggi del mondo dello
sport”.
Quindi?
QUINDI??
QUINDI????
Perché,
dopo quella mezz’ora assurda da una parte ed entusiasmante dall’altra, i tifosi
hanno smesso di inneggiare di cantare e incitare?
Perché,
dopo che i lo beniamini finanche eroi si sono ritrovati in mille difficoltà, i tifosi
o ritenuti tali hanno smesso di sollecitare di sorridere di sorreggere?
Non è
proprio in quei momenti che si dovrebbe stare vicini?
Non è
proprio nei momenti di difficoltà che serve l’aiuto?
E il
tifoso l’aiuto lo può dare solo in un modo: tifare.
Allora
perché hanno smesso??
PERCHE’?
Cos’è
forse non appariva più il carro dei vincitori sul quale salire quando le cose
vanno bene?
Forse
non c’erano più gli entusiasmi a sorreggere sorrisi?
Forse l’ipocrisia
di andare e seguire il grande gruppo, o branco, o gregge, si è fatta palese
sugli spalti?
Forse
è proprio vero che è tutta una farsa?
Mah,
rimango molto perplesso davanti a queste cose.
Quando
poi sul finale della partita quelli che prima idolatravano tanto una parte si
mettono a olèggiare l’altra, al di là dell’aspetto sportivo del riconoscere la
bontà del gioco, mi è sembrata proprio un’offesa e un voltafaccia gabbana e tutto
quello che si può voltare.
Voglio
dire, si può entrare in uno stadio vestiti di un colore e SOLO perché le cose
non girano nel modo giusto, che sia per demeriti propri o per lodi altrui non
fa testo, cambiare il colore della maglia e addirittura rinnegarlo?? Si può
fare una cosa così e poi mantenere la fiducia nello sport?
Non sarebbe
stato meglio continuare a inneggiare i propri giocatori nonostante la pesante
sconfitta e la pensante figuraccia?
No,
non lo capisco proprio il tifo.
Arrivare
a pensare che qualcuno sia un mito senza mantenere il minimo di lucidità è
pericoloso.
E qui,
in effetti, si tratta “solo” di sport.
Non voglio
arrivare a pensare e ragionare cosa potrebbe fare l’uomo in caso di mito in
altro ambito,
Anche perché
è già capitato con danni enormi per l’umanità.
Rimango
distante, molto, da certi modi da bar o da pub, da certi atteggiamenti da
stadio, da certe parole urlate per futili motivi.
Rimango
distante, qui vicino a me.
Tant’è.
Ora che
tutto è terminato si può solo dire che tutto è meritato.
I padroni
di casa sono stati sconfitti ancora, dimostrando la pochezza del gioco di
squadra, quale è il gioco del pallone, (leggi, non è il tennis o lo sci alpino,
non sei mai da solo in campo).
Quella
sconfitta quindi è stata oltremodo meritata, e forse davvero ha fatto tornare a
livello decente le mentalità di tanti.
Quegli
avversari tanto cinici quanto capaci, alla fine, ce l’hanno fatta ed hanno
vinto, non senza fatica, non senza rischiare di perdere, quella coppa che
agognavano da più di vent’anni.
Alla
fine, spesso, lo sport mette d’accordo tutto.
Alla fine,
è stato bello vedere l’apertura del campo alle morose o mogli o bimbi o figli,
che scalzi sul prato verde andavano ad accompagnare i propri giocatori propri
verso la fine di quest’avventura.
E’ una
di quelle cose che mi mancano di più.
Poche volte
sono stato così come loro ieri sera.
E ora
si gira pagina, ancora, come sempre.
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