Compleanno
particolare quest’anno, per punti di vista diversi.
Particolare
che vuol dire tutto e niente, come dire insolito e o singolare.
L’occasione
è la presentazione di un libro, l’ultimo di Francesco, e l’invito a
partecipare. Che alla fine in effetti le presentazioni di libri piacciono, e
piacciono le parole che ne escono, quelle del moderatore come quelle dell’autore
e perché no a volte anche quelle dello spettatore.
Il
luogo è di quelli da rimanere senza fiato, soprattutto per te che non lo avevi
mai visto se non nelle navigazioni da voyeurista. Il luogo è grande e
accogliente, e a gente spinge per entrarci.
Ti
avvertono pure di sbrigarti che altrimenti rimani fuori. Ma quando arrivi è
pronta lì la tua sedia tenuta vuota per te. E ringrazi di tutto ciò.
Poi
osservi in giro. E come un bimbo sull’ottovolante il tuo sorriso naviga beato
ed ebete in quel grande cerchio che è l’auditorium. Ci sono curiosi e sorrisi
in giro, ci sono quelli seri apparentemente più colti degli altri, e ci sono
quelli che lo vogliono vedere fin da vicino.
Tu
rimani lì in alto, nel tuo posticino, in compagnia, ad attendere che tutto
abbia inizio e che tutto si svolga per bene; e non vedi l’ora di raccogliere
ogni virgola di quel che sarà.
Ti
piace proprio ascoltare quella voce. La senti addosso. La senti che sembra
quella di un miracolo.
A
volte non ti giungono bene le parole perché c’è chi fa brusio, c’è chi sorride
ben prima della battuta o del termine dell’aneddoto.
Osservi
bene tutto. E lo vedi stanco.
E capisci
perché ha deciso di fare basta per i concerti dal vivo.
Come direbbe
lui, quasi, “quand lè piò la fadiga dal gòst le mèi lasér ster”, che così
scritta come si dice, quasi, dovrebbe voler significare “quando è più la fatica
del gusto è meglio lasciar stare”.
Poi
tutto scivola via in un’ora e passa di buone parole, come da speranze iniziali.
Non c’è
che dire, ti è proprio piaciuto.
E dopo
la fila per l’autografo sul suo tuo libro appena ricevuto è immancabile.
E la
fila è lunga, ma porti pazienza come spesso.
Quando
arriva il tuo turno ti chiudi un po’ in te. Non osi chiedere oltre quella firma
che lui pone sorridendo ma stanco, molto stanco, troppo stanco.
La firma,
le firme, spesso sono illeggibili, proprio perché firme.
Ma quelle
che pone lui a nastro, così quasi per porre, sono quasi scarabocchi.
E ti
dispiace, mica tanto per quello che sarà su quella pagina che sarà sempre tua,
ma per lui e per quella stanchezza che si palesa a ogni respiro.
Le pone, che sono due, e una come da istruzioni a dedica a me, al mio nome abbreviato come da amico,
proprio sotto alla dedica di chi mi ha donato il libro con le sue parole di lui
“sono fiero del mio sognare, di questo mio eterno incespicare”.
Mica male.
Francesco Guccini da Pavana ha ragione. Anche lui.
Alla fine
sono i saluti, i grazie, i ci si sente alla prossima.
Però
te non sei in pace con te. Hai quella lettera, che sono appunti di una e più
strofe di una sua canzone, quella delle “quattro del mattino e l’angoscia e un
po’ di vino”…
E
vorresti davvero una firma lì sotto.
Allora
torni sui tuoi passi e ti rimetti in fila.
E sei
l’ultimo della fila. Sarai la sua ultima fatica, quasi.
E chiedi
di mettere il suo nome e cognome, cercando di spiegare cosa andava a firmare, e
che ci starebbe bene anche un Buon
compleanno vista la giornata particolare.
Lui capisce
poco e o male, oppure te come sempre spieghi a singhiozzo quello che sarebbe
meglio fosse più scorrevole e ovviamente ottieni qualcosa che non sai.
Ringrazi.
Muovi passi.
Leggi per
bene.
E sorridi.
Sorridi bene.
Lui non
aveva capito.
Tu non
avevi spiegato bene.
Però il
risultato, alla fine, è quello che avresti voluto.
E ora
tutto è dove dovrebbe essere, appeso alla parete della musica e di altro.
E ora
questo libro è assieme all’altro, già letto in tempi non sospetti, da rileggere
quando sarà il momento.
Nuovo dizionario delle cose perdute, di Francesco
Guccini, ed Libellule Mondadori.
Letto a
fondo, coi giusti tempi. Con i suoi tempi.
Letto
spessissimo con quella erre tutta particolare.
Letto coi
sospiri che sembrano i suoi.
Letto con
la sua punteggiatura e non con la tua.
Letto da
ignorante giacché tanti termini te non li conosci e non li usi e e e.
Letto che
la malinconia, viste le cose perdute, la fa da padrona, regna sovrana.
Letto
che hai pensato ai nonni e al nonno.
Letto davvero
intensamente.
Le parti
dell’osterie ti riporta a tempi che non hai vissuto perché mai studente
universitario.
Le parti
dell’autostop ti riporta a tempi che avresti voluto vivere.
Poi l’ultima
pagina, nella quarta di copertina, come l’ultima thule, il suo sorriso, e la
sua erre, per sempre.