martedì 21 luglio 2015

Sono stati bravissimi!

Sono stati bravissimi!, e non smetterò mai di affermarlo.
Hai un'idea e vorresti coinvolgerli.
E almeno uno dei due ne è entusiasta. Allora inizi a pensarci per bene, e passano i giorni, e passano altri impegni.
Arriva il giorno che dovrebbe vedervi protagonisti di una bella giornata e tu che fai?, pensi bene di essere stanco. Come loro peraltro.
La mattina stessa hai una illuminazione: il giro, passeggiata, o trekking che dir si voglia, sarà in Val Sorda nel Valpolicella poco a nord di Verona.
Quindi panini, vestiti, occorrenze varie, e sono pronti due zaini da portarsi appresso per quella che dovrebbe essere una buona escursione. A questo punto pomeridiana.
Tu lo sia bene che un pochino è azzardata. Visto che conosci il percorso perché già camminato in un paio di occasioni, sai anche che sarà solo la prima parte a darti più pensieri, con gli ostacoli e gli esercizi naturali, e che dopo sarà solo una lunga camminata per il rientro.
E allora perché non andare per davvero in quella che sembrerebbe una villanata di altri tempi ma che è semplicemente un'escursione pomeridiana?
Andate. Voi tre. Come altre volte. Voi tre. E un perché anche in questo caso ci sarà.
L'apparenza dice che sono pronti per un giro così lungo, e quando siete al parcheggio nei pressi del Mulino sono pronti a cambiare i sandali con le pedule, sono pronti a mettere lo zaino sulle spalle, pronti con berretto in testa e bastone al fianco.
Cominciate a camminare e subito inizia la tua tiritera di raccomandazioni, giacché andare per sentieri non è una passeggiata, e questo è tutto dire.
L'ambiente è coinvolgente come le altre volte, è bellissimo, e il frastuono del torrente è una fresca copertina alla calura che stenta ad andarsene.
Gli ostacoli si presentano puntuali, come previsto, e sono affrontati attentamente, come sperato.
La vista del ponte tibetano sopra la vostra testa non fa che incentivare i passi.
Ma i crampi di fame del pranzo, giacché lo sai bene siete partiti ben tardi la mattina, si fanno sentire presto.
Pochi ostacoli dunque, pochi attrezzi da escursionisti esperti, e vi fermate seduti al bordo del sentiero.
Avete già affrontato delle passerelle, delle scalette, delle rocce un po' così, come dire, impegnative, e delle corde, funi e catene. Avete già percorso e affrontato un tratto esposto al torrente, dove il torrente è solo una vasca di roccia lunga sottile, dove mettere male un piede o una mano significherebbe scivolare giù. Non è nemmeno lo scivolare in acqua (e magari, per certi versi, scivolare in acqua fredda vista la canicola estiva), bensì è scivolare sulla roccia, eventualmente sbattendo qua e là, col rischio di segnarsi rompersi o altro.
Quindi tu, dal loro fianco, hai già perso qualche anno di vita.
Eppure sorridi con loro mentre mangiate gli avanzi scongelati di spaghetti al tonno e di salmone alle patate e mentre sgranocchiate i panini del mattino, ma soprattutto mentre bevete. Bevete molto, pure i sali minerali...
Fa caldo, le magliette sono ben madide, i berretti gocciolano l'essenza della fatica.
Siete sereni.
Mentre consumate gli ultimi morsi, di fame o di cibo, osservate stupiti e imbarazzati quattro persone, presumibilmente una famiglia, probabilmente non italiana, scendere scivolare dal fianco del monte davanti a voi, immaginando tutta la loro difficoltà nel muovere quei passi su quel ripido pendio.
Controlli l'orario. Ripartite, senza perdere troppo tempo perché se è vero che la seconda parte “è solo tutta camminata” è anche vero che è necessario arrivare alla metà della passeggiata così da essere saliti più in alto, fuori dalla gola, e poter contattare chi di dovere per lasciare anche solo un misero messaggio della serie “tutto bene, tutto come previsto”.
Perché in quella gola, e pare tutto attorno, non c'è il minimo campo, c'è “solo chiamate di emergenza”.
Continuate dunque la vostra avventura. Pieni di chiacchiere, battute, sospiri, e le prime fatiche.
Lasci sempre più spesso che siano loro, chi prima chi dopo, a trovare il segno biancorosso per proseguire i passi. E lasci che siano loro a capire e spiegare come affrontare i vari passaggi sui vari ostacoli (che ogni tanto tu chiami “esercizi ginnici”).
Sono bravi. Capiscono. Spiegano. Vogliono fare da soli.
E tu, dietro, o di fianco, solo a controllare i loro passi.
E tu, alla distanza giusta, speri, attendi che siano loro a chiedere a te.
E tu, correttamente, lasci loro tutta la libertà possibile.
Quello che avresti mai voluto vedere poi capita. Davanti ai tuoi occhi scivola uno di loro. Scivola e non ci puoi fare niente. Scivola e non si agita. Stringe i denti. Si ferma presto. Si alza si tocca. E' bagnato infangato e stanco e deluso. E' serio. Presto sei da lui. Lo rincuori. Lo sorreggi. Ti accerti delle condizioni. Pare a posto. A parte lo spavento. Stringe i denti, forse per non mollare la tensione. Forse per non piangere.
Prendi in mano la situazione, e fortuna non sei da solo. Vi aiutate. Lo cambi, nuovi pantaloni nuova maglietta.
Ecco cosa serve il cambio nello zaino, quello che non vorresti mai utilizzare ma che all'occorrenza deve esserci.
Sei organizzato bene, nonostante tutto, nonostante tutti i pensieri che hai.



Annunci che presto arriverete al termine degli ostacoli, che verso la fine ce n'è uno veramente interessante.
E tra te e te speri ancora che non sia troppo tardi.
Finalmente arrivate alla roccia, e al suo laghetto di sotto. E loro non sanno che pesci pigliare. E loro si immaginano camminare dentro al laghetto perché non capiscono mica come poter passare. Allora fai notare che il segno biancorosso non è come tutti gli altri, che è disegnato diversamente, che sembra proprio una freccia, come a indicare la via.
Dunque, un attimo di riflessione, e capiscono che ci si deve infilare sotto a quella roccia nei pressi del suo laghetto, che ci si devono utilizzare dei passaggi stretti con pioli in metallo piantati nella roccia.
E via allora, sdraiati sul sentiero roccioso a scalare quella che sembra un'impresa.
Poco oltre incrociate i passi dei quattro ragazzi di cui una in infradito. Sono gli stessi che al mattino appena cominciata la camminata vi hanno superato senza alcuna difficoltà. Biascicano alcune parole tra loro, ma mica tanto, come “ci siamo quasi persi”. E tu immagini che stiano rientrando da non so dove, che nemmeno li vedi adatti a camminare lì in quella gola. Passate oltre e non vi curate troppo di loro.
Avanti qualche passaggio a passi ben distesi, se non fosse per i su e giù ripidi del fianco della montagna, arrivate in un tratto tranquillo; l'acqua è lontana o sotto i massi che calpestate, ma spesso scorre sulle lastre di pietra che ogni tanto siete costretti a camminare.
Ancora, ma l'altro, vedi quello che non vorresti vedere. Scivola col piede e cade. Cade sembra male e fragorosamente. Il pianto è immediato. Si tocca, si tocca troppo. Eppure è in piedi con te. Ti guarda rapito dal dolore. La tua preoccupazione aumenta ma non la lasci palesare. Ora è da curare, nel senso di tranquillizzare. Il grosso anche questa volta è lo spavento.
Passerà.
Quello che non passa è la stanchezza. E ora che non siete nemmeno a metà è veramente già troppa.
Però è forte anche lui, come l'altro, come te. E proseguite.
C'è un altro passaggio che ti fa perdere anni di vita, è scivoloso ed è cieco. Ma siete oltre che sembrate uno spettacolo.
La gola si stringe. Il torrente torna a fare sentire il suo canto. Il cielo azzurro si nota sempre più tra le fronde degli alberi. Ormai è ora di salire, finalmente, al paesello di metà camminata.
Ma la via non c'è. Cioè voi non la vedete. Cioè dopo l'ultimo segnale biancorosso pitturato sull'ultima grande roccia ci sono solo un ampio laghetto la gola stretta e tanti alberi sradicati e franati.
Ti fai silenzioso. Molto. Controlli oltre. E' una situazione che hai già vissuto e sai bene che se oltre l'ostacolo non si vede alcun segnale è molto probabile che sia meglio non proseguire. Valuti. Respiri. Ti fai pure silenzioso. E loro con te. Probabilmente capiscono il vortice dei pensieri che hai in testa e almeno ti lasciano riflettere un po' in pace.
Poi controlli l'ora dell'orologio: è già troppo tardi per qualsiasi situazione. E non va bene. A quell'ora dovevate essere ben oltre la metà, ben oltre il paesello. E non c'è ancora segnale. La gola strozza ogni possibile comunicazione.
E la tua preoccupazione pensando a chi dover voler avvertire si fa grande. Ma la tieni per te, che loro non possono non devono percepirla.
Si torna indietro!”, sentenzi senza battere ciglio.
Avverti che sarà da ripetere tutto, tutte le difficoltà saranno da camminare, tutti gli ostacoli da superare... che non c'è altra via per tornare all'auto.
Sorridi distraendo i loro sguardi preoccupati, e cammini facendo loro segno di muoversi e di sfruttare tutti i tratti che consentono di camminare al meglio, sempre attenti a dove come si mettono i piedi, in svelto per accorciare al massimo i tempi.
Il sole è ancora alto ma presto andrà dietro la montagna a ovest...
Poco dopo realizzi che quei quattro ragazzi di cui una in infradito avevano anch'essi forse, forse?!, FORSE!!!, trovato il sentiero occluso dalla frana, ma da veri “BASTARDI LORO E CHI COME LORO” non avevano detto nulla in merito, non avevano avvertito voi tre. Niente di niente. Solo vaghi sorrisi di circostanza falsi e e pieni di superbia.
Presto arrivate al primo esercizio di equilibrio su quella lastra di roccia e trattenendovi alla corda riuscite bene nel passaggio. Loro sono concentrati, e tu li trascini bene. Altro ostacolo altro giro altro gettone altro passaggio. E camminate verso il rientro.
Ma sai bene che sono tanti gli ostacoli, e che rischiate di scivolare o cadere o ancora peggio. Hai già visto cadere entrambi, e non vuoi assolutamente ripetere quelle visioni.
Immagini che forse, forse, se salite sulla destra, magari salendo un po' ripidamente, arrampicandovi, potreste trovare il bosco che guarda il sentiero che sarebbe stato di rientro; controlli la mappa e vedi bene che le linee di altitudine sono lontane, quindi da quella parte la collina scende lentamente; capisci che potrebbe essere davvero una buona idea; controlli spesso alla tua destra, in alto, ma è sempre sempre più roccia, e sembra inattaccabile dai vostri passi.
Nel mentre loro ti seguono ligi, a volte sorridono, a volte scherzano. E tu li senti sereni.
Arrivate, finalmente, all'indicazione per la grotta. Di lì sale un sentiero, sembra fiancheggiare il fianco del monte. Ti piace, e piace a loro. Quindi vi avviate pestando la traccia che a volte è nascosta dalle frasche. Si vede bene che non è frequentato molto anche se ben visibile. E sembra davvero aggirare il fianco del monte. In breve scorgete il ponte tibetano. E sospirate positivamente. Quel ponte lo avevate visto all'inizio del percorso, quindi giocoforza siete verso la fine. Sospirate ancora. Sorridete bene.
Ricordi perfettamente che all'inizio del percorso era presente un cartello segnaletico indicante il ponte tibetano, ed era proprio da quella parte, quindi il ragionamento ti porta a pensare che attraversando la gola sul ponte potreste arrivare davvero a un sentiero certo per fare ritorno al parcheggio dove c'è l'auto.
Vi concentrate bene e con la massima attenzione camminate sul ponte sospeso a quaranta metri sopra il torrente, che da così in alto nemmeno si sente scorrere. Quando arrivate di là, che tu pensi il punto di partenza per il definitivo rientro, loro fanno merenda e tu controlli i dintorni scoprendo che il sentiero che vi apprestare a camminare sembra appena fatto, e sembra fatto apposta per arrivare al ponte partendo da giù, là dove l'auto vi attende.
Ti guardi intorno ed ammiri il panorama, ammiri quello che manca poco essere il tramonto. E' estate e il tramonto è lungo in estate, ma le montagne tendono a nascondere prima del tempo la discesa del sole nella notte.
Proseguite, dunque, rigenerati dagli ultimi ragionamenti e dalla consapevolezza che non siete sperduti non si sa bene dove. Siete convinti, e cominciate a salire i gradini terrazzati con le travi di legno. In poco arrivate a una panchina (e tu pensi tra te e te che se c'è una panchina c'è anche una buona via, e che quindi siete davvero sulla strada giusta, e pensi che ve la state cavando bene), che si trova su un piccolo spiazzo dal quale si gode una vista panoramica delle valli e dei monti. Affascinante, ma voi dovete ancora proseguire.
Il sentiero vi costringe a salire ancora, sulle rocce, con gradini naturali non sempre agevoli. Ci sono dei tratti che sono molto esposti. E le tue preoccupazioni aumentano.
Lo senti che sei preoccupato, lo sai e lo vedi delle infinite gocce di sudore che scendono incessanti dalla tua tesa. Sai che sei in pericolo, che loro con te, che basterebbe un attimo. Lo sai bene e ti sforzi di abbracciare entrambi per proseguire bene.
Successivamente il sentiero si sviluppa senza gradini, livellato sul fianco, ma non scende. Ti permette di provare a chiamare col telefono, perché tutta quella salita potrebbe avervi portato in un luogo dove il segnale arriva. I vostri telefoni infatti cominciano a vibrare e a risvegliarsi. Fate una telefonata per tranquillizzare chi attende ancora notizie. E mandi un messaggio breve per cercare altra tranquillità, ché non vorresti mai fare preoccupare, e rimandi a più tardi spiegazioni verbali, che ora è lì che devi badare bene.
Poi, dopo molte fatiche, arrivare a un boschetto dove c'è una traccia di sentiero, anzi sentieri, molto ampio, e dove ci sono segnaletiche varie. Tra le quali noti quella che indica il sentiero in Val Sorda, quello degli esercizi escursionistici per esperti, quello con gli ostacoli di roccia corde catene passaggi scalette ponticelli. E noti che in fondo, dove voi avete deciso di rientrare, il sentiero sale a destra con un tornante, e un altro tornante, e poi successivamente sale a sinistra verso il paesello.
Ecco che pensi che forse potevate proseguire senza tornare indietro e soffrire tutto quello sofferto.
Ma il dubbio ti disturba, distrae la tua concentrazione, quindi non ci pensi più, non ci vuoi pensare. Ti concentri sul cartello che punta al Mulino dove è parcheggiata l'auto. Dice 600 metri di lunghezza, 250 di dislivello, 40 minuti di camminata. Dici che 600 metri non sono tanti, sono niente, sono un giro e mezzo di pista. Dici che 250 metri a scendere sono molti, che tutto quello che avete salito fino a quel momento ora è tutto da scendere. Dici che 40 minuti speri siano meno.
Vi avviate e presto il sentiero scende, scende, scende. Sono mille i gradini di roccia che affrontate. E sono altrettanto i tornanti esposti che sembra invitino a buttarsi di sotto.
Tutta l'acqua, in partenza sembrava troppa, che avevate con voi, che avevi tu nello zaino sulle spalle, sta per finire. La disidratazione è dietro l'angolo. Avete sudato tanto, troppo. Ed il rischio di sentirne la mancanza è alto.
Chi è davanti sceglie bene i suoi passi, e tu poco distante lo ammiri, lo inciti, lo lodi. Chi è dietro si sente meno pronto, ti chiede spesso la mano, e spesso gli dici dove mettere i piedi, anche se altrettanto spesso lui stesso vuole fare a modo suo, e tu lo lodi per le sue iniziative. Così alterni sguardi preoccupati e ammirati davanti a te a chi fa la strada, ad aiuti e sorreggi le spalle a chi è più vicino appena dietro a te.
Scendete, scendete, scendete. E con voi il sole. E la montagna di fronte sembra abbracciare l'arancione del tramonto.
Piano piano vi addentrate nel bosco, il sentiero sembra meno ripido. Un minimo ma non troppo vi rilassate. Vedete il tetto dell'edificio del parcheggio. Siete soddisfatti. E siete stanchi. Stanchissimi.
Talmente stanchi che chi è davanti e cammina per primo non ne può più. Inciampa e cade. Cade. Ma cade bene e si ferma appoggiato a un alberello. Ha un motto di stizza e nervoso, si è impaurito, è stanco, si lamenta.
Butta lì un pianto di sfogo, come a buttare fuori qualcosa, una preoccupazione.
Come a ricaricare per l'ennesima volta le pile di questa giornata.
Poco dopo si fa pausa bagno wc escrementi. E pure questo è motivo di rilassamento e di “ce la stiamo facendo”.
Tu, dentro te che fuori non puoi, salti dalla consapevolezza che manca poco all'apprensione che il buio sta scendendo sempre più. Lo senti bene che ci sei, che ci siete, che siete in fondo. Li convinci a mantenere la calma e la concentrazione, che non è il caso di rovinare tutto proprio a un passo dalla meta.
Poi scorgete un prato. E ascoltate il torrente. E ci siete.
Due, tre passi. Un guado svelto. Il sentiero del rientro che non avete percorso.
L'asfalto. Il parcheggio. L'auto.
Tu sei contento. Contentissimo. Fosse per te grideresti di gioia. Ma il tuo ruolo ti impone altro.
Li inviti a battere il cinque, e anche il dieci. Li inviti a essere felici e soddisfatti. E loro rispondono per le rime. Sorridono, scherzano, tolgono le pedule, si cambiano la maglietta, bevono quel po' che è rimasto. Sembrano pure appagati. Sono stanchissimi.
In poco sedete in auto.
In poco vi rilassate nel rientro.
Chiamate chi deve essere chiamato, tranquillizzando il più possibile, c'è chi sorride c'è chi dice che non ne farà più, c'è chi ascolta in piena preoccupazione.
Ed in silenzio prendete la via del rientro.
Arrivare a casa è ancora lunga.
Vi aspetta un bel viaggio in auto al buio della notte, la pizza, e la gioia del letto per dormire bene.

Sono stati bravissimi!!!
E non smetterò mai di affermarlo!

(e tu, se spesso hai perso degli anni di vita, hai anche raccolto tutto quello che passava, tutto di loro)


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