ANDARE,
ANDARE. E COME ANDAVAMO!, Fabrizia Amaini, Ed. Fortepiano
Per
tutta sincerità mi aspettavo altro, non so cos'altro, ma certamente
la lettura mi ha sorpreso, come sempre come spesso.
Per
tutta sincerità certi dialoghi non sono proprio in grado di
raccoglierli così come sono stati scritti.
Ché
non credo mica a una madre che, quando si trova in preda ad ansia e
agitazione per il figlio finalmente tornato a casa, anche se
praticamente in fin di vita, possa adoperarsi in contorti monologhi e
in discorsi complessi per spiegare il proprio stato d'animo. E forse
nemmeno quel figlio tanto colto e tanto letterato non so mica se
possa affaticarsi in spiegazioni finanche ridondanti.
Ecco,
per tutta sincerità questo libro stavo per abbandonarlo sul nascere,
quasi.
La
lettura si stava arenando e stancando in quelle troppe pagine pesanti
del ritorno.
Poi,
però, per fortuna, è stata raccontata l'andata.
E
allora la lettura è scivolata via, a fianco di Riky, sentendo sulla
pelle le sue emozioni di giovane scrittore.
Poi
la storia raccontata, del viaggio interiore ed esteriore, è stata
uno spasso.
Sorridevo,
mi piaceva, mi compiacevo, riflettevo, mi emozionavo.
Poi,
il lettore, per fortuna, è stato davvero ammaliato dalla scrittrice.
E
quando il lettore si sente un tutt'uno col personaggio, col
protagonista, vuol dire che tra lui e chi scrive nasce una sinapsi
continua, una scintilla dopo l'altra, che raramente è interrotta
prima della fine.
Infatti
la fine è arrivata.
E'
arrivata come mi aspettavo, giacché la storia di Riki come Vicky un
poco la conosco.
E
alla fine sono rimasto un poco con l'amaro in bocca, sono rimasto
pensando che una persona così, dico io, avrebbe dovuto avere altro
riscontro in vita. Una persona così avrebbe dovuto avere una
considerazione maggiore, e diversa, soprattutto da quelli che la
pacca sulla spalla al bar gliela davano per davvero, ma anche da
quelli che lo osservavano e salutavano per le vie del suo borgo.
L'“andata”
è stata costretta, cosi come costretto si è sentito il “ritorno”.
E
in mezzo tutto quello che è stato, ottimamente descritto da
Fabrizia. Ché mi sono sentito là con lui, a volte più a volte
meno, in giro a conoscere a volte più a volte meno, di ritorno da
una riflessione a volte più a volte meno.
Come
spesso mi capita ho “orecchiato” le pagine e o sottolineato dei
passaggi, che qui mi permetto di riportare:
“...Così
è l'amore. L'amore è assoluto, non si può comandare, accelerare,
guidare, evitare. L'amore è totalità e pienezza. L'amore ti
fagocita, ti trasforma, t'inghiotte, e tu perdi te stesso. L'amore è
cieco e non sceglie la persona da amare. Ma l'amore può ucciderti. E
ha ucciso me”.
“La
scrittura mi salvava. Tu non puoi immaginare! La lettura ti fa
viaggiare, fantasticare, sognare. La lettura ti erudisce, anche, ti
rende libero perché ti svincola dalla tenebra del pregiudizio e
dell'ovvietà. La lettura ti nutre. Ma la scrittura! La scrittura è
una cosa che non puoi spiegare! Se non ce l'hai dentro, non la
capisci. La scrittura ti salva. E ti conserva. E t'alleggerisce.”
“Una
trappola, ecco che cos'è la religione! Il calappio al collo ti
stringe, poi ti tira dalla parte che vuole lei. E' una fregatura! Ti
fa credere che ti ama, poi ti rifiuta se non la obbedisci. Al diavolo
preti e religione!...”
“Oh,
non è mai troppo tardi. Si può cominciare ad essere artisti anche a
quarant'anni. L'importante è che prima di morire si riesca ad
estrarre quelle qualità e quelle ambizioni che stavano compresse
dentro come abiti dismessi in una cassapanca chiusa a chiave”.
“...E'
sul tempo che bisogna lavorare, perché solo il tempo saprà
apportare le giuste risposte e fornire la misura delle cose”
“A
volte la sua voce si smorza in flebile sussurro, e la malinconia le
rallenta il fiume di parole. Allora i suoi occhi diventano due opache
fessure che racchiudono storie lontane. “L'amore fa soffrire. Non
vorrò più amare nessuno””
“Al
fondo c'è un dolore troppo grande da celare, ci sono le infinite
chimere spezzate, una velleità sconfinata di pace e una silente
invocazione d'aiuto da non urlare, perché il suo dolore è una cosa
intima, tutta sua, che non può e non vuole condividere”
“...e
vorrei alzare una mano per farmi scorgere, per dire loro che io sono
qui, dietro l'angolo, a non perdermi lo spettacolo della preparazione
del loro viaggio. Perché sempre di viaggio si tratta: andare in
duomo o volare nelle calde terre del sud, è la medesima cosa. Sempre
un viaggio. E una fuga. Una fuga verso una realtà diversa che ti
restituisca un cibo nuovo per vivere, che ti allarghi novelli
orizzonti di utopie.
Andare,
andare. E come andavamo!”
Ora
lo posso rendere a Chiara, compaesana del/i protagonista/i, che certe
relazioni nel borgo le ha vissute simili, ricordando che “coraggio
che è lunga”.
Nessun commento:
Posta un commento