Ho
letto questo testo con apparente difficoltà, infatti spesso, girando le pagine
e gli argomenti, mi sono trovato davvero contrariato, cioè per meglio
esprimermi, proprio perplesso.
Credo
di essere troppo sensibile davanti a certi argomenti, ne rimango affascinato, e
mi interesso, che mi luccicano gli occhi, ma con la volontà di rimanerci
lontano almeno un passo, una distanza di braccio, o forse più.
Mi è
piaciuto indagare, e farmene un’idea, e ben sapendo che nemmeno chi pratica
molto ci capisce tutto e del tutto, rimango comunque a una certa distanza, che
non ho sentito di farmene prendere del tutto. Certo non disdegno l’ascolto, e o
la partecipazione, ma sento ancora quell’alone di incredulità addosso, e per
quanto mi senta avvolto dalla curiosità muovo passi timorosi, forse lacunosi,
comunque uno alla volta, per alcuni troppo pochi (?), domandandomi sempre da
quale punto sono partito e dove credo stia andando.
Fatto
sta che sollecitato da alcune persone ho voluto leggere queste pagine. Dove ho
trovato molto di buono e qualcosa di incerto, altro di poco interessante, altro
ancora da indagare se le cose della vita girassero in un modo, e sempre col
dubbio della domanda, che non sarà mai l’ultima, perché alla fine non posso e
non voglio fermare il criceto che mi corre appresso.
Ora,
cercando di fare ordine, il che è tutto dire, voglio appuntarmi come mi è
consueto alcune robe, quelle più o meno mie, in merito alle Rappresentazioni
Familiari, e altre costellazioni.
Gli
argomenti sono molteplici, perché la famiglia di una persona si dice non sia
esclusivamente quella in cui vive, prima coi genitori successivamente una
propria altrove, giacché queste forme familiari assorbono anche l’origine
propria, del e nel passato, dal più diretto al più remoto. Tuttavia per me la
famiglia non è essenzialmente solo quella dell’anagrafe, che io già mi appunto
prima di tutto gli amici, e non sto qui a esprimere la mia idea di amicizia.
Per
le famiglie, comunque, viene spiegato che quando
i genitori si macchiano di gravi colpe nei confronti dei figli, perdono i loro
diritti di genitori. Si devono allontanare dai propri figli, e questi li devono
lasciarli andare, e questo caso, per quanto essenziale e vero, nella vita
di sempre non è semplice, né da parte dei genitori né tanto meno da parte dei
figli. Mi sento coinvolto e toccato quando viene spiegato che i bimbi che non
passano tempo coi genitori, e quanti ce ne sono?, sentono questa mancanza con frustrazione e abbandono e si immagina
che questi, i bimbi, una volta grandi
avranno difficoltà ad abbandonarsi in maniera completa all’amore per il proprio
partner, vivendola con rabbia, (mica sempre vero!, e ne ho le prove). Si
conclude spiegando che la rabbia è solo
un surrogato: il vero sentimento è il bisogno di contatto con gli altri.
Anche qui dissento, anche per esperienza personale, e mi domando quale possa
essere l’eventuale componente di una coppia che non voglia il contatto?, cosa
ci sia di più bello di un bell’abbraccio?, pieno di sentimento, per esempio;
anzi la faccenda andrebbe vista anche fuori da una coppia, per esempio pensando
all’abbraccio dei componenti di una squadra, sportiva o di lavoro che sia, un
gruppo di amici, coi compagni di viaggio o di vacanza.
Si
parla di amore, e di rapporto di coppia coi figli, e si spiega l’assumersi la
responsabilità della propria vita, e il valore che le si dà. Tra la coppia, e
tra le persone in genere più ampiamente osservando, viene espresso un concetto
che mi piace tanto: noi stessi ci
sentiamo insicuri, a volte feriamo gli altri o ne siamo feriti, e
coraggiosamente continuiamo a provare. Perché è ormai certo che si deve
sempre provare, e ancora e ancora, e non c’è altro da voler insegnare a chi deve
capire.
Poi
si espone che la felicità in una
relazione dipende dal libero scambio tra il dare ed il ricevere. Uno scambio
limitato produce un misero guadagno. Più lo scambio è vasto, più profonda è la
felicità. Questo però ha un grosso svantaggio: lega ancora di più. Chi vuole la
libertà deve dare e prendere solo in piccole quantità, e lasciarsi andare solo
in maniera limitata. Prima parte da sottoscrivere. La seconda parte
mooooooolto meno, “Chi vuole la libertà
deve dare e prendere solo in piccole quantità, e lasciarsi andare solo in
maniera limitata” a mio avviso è restrittivo ai massimi termini, se si
parla d’amore non si devono trattare dei limiti, se si parla d’amore si dà, si
scambia, nella speranza di ricevere: ecco lo scambio d’amore. Ciò non
toglie quanto sia reale che si può dare
solo quanto l’altro è disposto a ricevere, e per quando si è in grado di dare.
Se si dà più di quanto l’altro sia pronto a ricevere, il partner si sentirà
oppresso, sarà ancor meno disposto a dare e lo squilibrio risultante aumenterà
sempre di più. Appunto, perché altrimenti si sbilancia il tutto, e se una
roba si sbilancia poi cade, rotola, ed è un casino ritirarla su.
Molto
educante che in un rapporto di coppia,
anche se questo finisce, è importante che i due partner si rispettino. Questo
rispetto è indispensabile dopo la separazione, specie se si hanno figli,
altrimenti essi diventano vittime delle tensioni tra i genitori. Per
esperienza personale, (fa te!). E volendo si dovrebbe essere in grado di dire
certe robe, che spesso vengono pensate ma trattenute, che spesso si danno per
scontate ma che non lo sono, tipo: “Ti ringrazio per quello che ho ricevuto da
te. Puoi tenerti quello che hai ricevuto da me” e “Mi assumo la mia parte di
responsabilità per il fallimento della nostra unione, e ti lascio la tua parte
di responsabilità per questo fallimento”.
Come
diceva una nonna: una noce non fa mai rumore da sola. Ecco. Perché altrimenti
poi la persona che non riceve i pensieri e le parole poi se ne fa un’idea
personale che spesso non rispecchia la realtà del pensiero dell’altro. Questo
dovrebbe valere per tutti i gruppi di cui si fa parte, sportivi, lavorativi, di
amicizia. Volendo, e riuscendo, si dovrebbe sempre dire la propria idea, il
proprio pensiero. Volendo, riuscendo.
Si
racconta anche che quando un figlio deve
scegliere tra un genitore e l’altro, si trova di fronte ad un dilemma
insolubile. Chi da bambino è stato costretto a farlo, da adulto troverà
difficile prendere qualunque decisione. Infatti è vero, mai chiedere
a un figlio di scegliere tra una o l’altro genitore, che è pure una domanda
ignobile, giacché un figlio non sceglierà mai né l’uno né l’altra, finanche ad
arrivare a scegliere se stesso. Il fatto che poi un figlio costretto a fare una
scelta così avrà difficoltà nelle scelte della vita mi lascia perplesso, che io
da buon cagadubbi mi chiedo non sia essenzialmente questa costrizione a
causargli difficoltà future, proprio perché se si arriva a costringere a tale
risposta un figlio non voglio immaginare quali altre costrizioni possano essere
imposte.
Si
espone che quando una persona è arrabbiata con un'altra vive una sorta di
blocco e fino a quando sono arrabbiato
non sento il dolore e la perdita. Solo quando lascio andare la rabbia e smetto
di incolpare me stesso o l’altro, posso affrontare il dolore e la perdita. La
verità è che l’arrabbiatura è già un punto di partenza sbagliato, quindi tutto
quello che ne segue può essere problematico, quindi anche valutare e affrontare
il dolore che si prova rimane un problema e il vuoto creato da un evento di
contrasto risulta difficile.
E’
possibile che certi eventi intralcino il cammino di una coppia in modo mai
apparente, fino a fare inciampare il cammino, e solo quando si chiarisce che c’è stato un aborto e i partner lo
riconoscono, è possibile la riconciliazione. Che come tutte, dalle più alte
alle più basse, dalle più grandi alle più piccine, le robe in una coppia vanno
parlate spiegate e non trattenute, qualunque sia quell’argomento e qualunque
cosa sarà dopo.
Mi
piace molto il …chi segue la corrente non
ne decide la direzione. Si limita a seguirla. E ci sono alcune domande che
portano a una sorta di sentenza: in un rapporto se starò attento a certe cose otterrò certi risultati. Ma questa è già
una specie di controllo che è in contraddizione con il concetto di relazione.
Come dare torto a tanta verità?
Rimanendo
in tema di relazioni, viene spiegato che uomo
e donna sono diversi e pertanto non arriveranno mai a conoscersi completamente.
Questo li affascina, ma li spaventa anche un po’. Chi ha paura può facilmente
diventare aggressivo per difendersi. Certo, la paura porta o a mortificarsi
in un angolo, o ad affrontare tutto con aggressione. Ma si dovrebbe trovare una
formula dove la relazione non sia solo tra uomo e donna, ma anche diversamente
tra adulto e bambino, tra colleghi, tra uomo e uomo o donna e donna, tra nonna
e mamma, tra figlio e papà. Si dovrebbe. Che le relazioni sono ovunque.
Un’altra
parentesi tra un lui e una lei è illustrata con quando tu e tua moglie vi siete decisi per la fecondazione artificiale
tramite un altro uomo, il vostro matrimonio è finito. Era una conseguenza
inevitabile. E a me nascono immagini eventuali, e sento addosso
l’importanza di certe scelte, da non fare così tanto per così.
Viene
raccontato che chi continua a respingere
e reprimere un sentimento, crea una sgradevole tensione interiore, e che “nessun uomo è un’isola”, e dire “…tu sei uno di noi” a qualcuno che
appartiene a un gruppo fa sentire questo qualcuno più sicuro di sé.
E’ toccante il passaggio L’amore che lega un bambino alla sua famiglia è immenso. Un bambino è
pronto a sacrificare la propria vita senza esitazione, se ciò è necessario per
la sua famiglia. Vuole appartenere ad essa con tutte le fibre del suo essere;
pertanto, condivide il destino e il dolore degli altri membri della famiglia.
Mi emoziono e mi rivedo quando ero piccolo ad osservare molto i grandi, in
casa, a scuola, al parco, per la strada.
Viene
trattato, ovviamente, il concetto dell’aldilà e dei propri defunti, che facenti
parte dell’insieme famigliare portano la loro influenza nelle generazioni successive.
A un certo punto mi domando “perché non siamo in grado di comunicare da soli in
qualche modo coi nostri defunti?? Che cos’è allora l’andare al cimitero o
osservare una foto-santino?”, proprio mentre si esalta il concetto e
l’importanza sopracitati.
Ho
avuto l’impressione che solo con la rappresentazione famigliare si possa avere
un rapporto con chi, vero o no, mi ha influenzato anzi mi sta influenzando.
Allora
mi sorgono un sacco di dubbi, che spesso rimangono lì. Ma nemmeno tanto.
Si
dice che noi vogliamo consigli che ci guidino, e cerchiamo verità stabili. Nessuno
ama l’incertezza ed il dubbio. Credo che dipenda dalle persone, molto dai
punti di vista, e dalle occasioni, e dalle scelte che si fanno; ché ci sono
luoghi e momenti che è viva l’incertezza, mette quel pepe che serve, mentre
altri che è meglio evitarla. Come altre volte è tutto corretto, ma anche il
contrario.
Allora
mi sovviene che proprio perché si impone un punto di vista potrebbe non essere
del tutto reale ciò che si vede o vive nelle rappresentazioni. Più o meno come
quando si segue ciecamente una dottrina o una religione: se queste non
accettano il mio dubbio, e le mie perplessità, le sento opprimenti e poco
adatte.
Nelle
rappresentazioni ci sono il partecipante e i rappresentanti, questi vivono le
costellazioni in prima persona; viene puntualizzato, poi, che lo stesso partecipante potrebbe vedere, se
solo volesse. La verità è scioccante solo per chi non desidera vedere la realtà.
E come
tante realtà vorrei viverle, per quanto possibile, a modo mio.
E
mi piace molto quando si specifica che io
guardo sempre come se fosse la prima volta, perché la verità di un dato momento
viene sostituita da quella del momento successivo. Quindi ha davvero ragione
quel tipo che canta che vuole “che ogni attimo sia sempre meglio di quello
passato”, ma questa è un’altra storia.
Rimango
perplesso con “Questo o quello” è il
principio su cui ci basiamo, NON “Sia questo, che quello”. Contraddirsi è
proibito e considerato segno di debolezza di carattere…, non che non
condivida, anzi, il principio espresso evita discussioni, prevede una scelta
ben precisa, ma non sempre nella vita è la cosa giusta o migliore.
E la
debolezza di carattere potrebbe non essere tutta legata alla contraddizione,
potrebbe esserci ben altro sotto, o sopra.
Questi
sono solo pochi appunti, le orecchie in basso nelle pagine, giacché in alto ce
n’erano già, sono molte di più.
E
molte sono anche le volte che mi sono fermato a riflettere su quanto appena
letto, e su quanto della mia vita, prima, dopo e durante.
L’argomento
è troppo complesso per essere eviscerato bene qui in mezzo alla rete.
Meglio
leggere. Farsi un’idea. Partecipare. Farsi un’idea.
A me è
capitato, ed ho provato a descriverla qui Costellazioni, la famiglia, gli appunti
Oggi
di quei giorni ricordo nitide alcune immagini che tengo qui da me.
Se è
vero che ero novello, è pur vero che so quello che sento, che se mi propongo
solitamente è perché lo sento forte, che altrimenti meglio lasciare perdere e
rimanere defilati.
Quindi
non ho ancora capito, e non ho ancora digerito, per quale motivo la terapeuta
mi abbia imposto una scelta di rappresentante, giacché io sentivo in un modo,
come tante volte inspiegabile; mi sono sentito forzato, e quel lato della
costellazione non mi è andata giù. E rimane lì. Non mi è sembrata mia, o non
mia del tutto. E, rimanendo in tema di sensazioni e di sentire, non capisco
come mai la terapeuta in seguito a una costellazione che non era la mia
emettesse una sorta di verdetto guardando fisso negli occhi miei anziché la
partecipante; dal mio punto di vista io non dovevo essere coinvolto, proprio
perché la mia figura non era stata rappresentata; c’era rappresentato una sorta
di generico, quindi il tutto si svolgeva in un indefinito e ipotetico mio io; e
la distrazione, perché questa è stata, della terapeuta mi lascia il dubbio
della domanda principale, iniziale e finale: chi mi garantisce che tutto sia
svolto senza speculazioni, senza ingerenze, che tutto si svolga in maniera limpida
e non limitata da punti di vista del tutto personali?
Io
stesso all’inizio avevo una considerazione dei potenziali rappresentanti come
me che alla fine era ben diversa. Alla fine non ero più vergine di loro.
Quindi, assieme a tutto il buono che ho raccolto quel giorno, mi sono portato
con me anche dei dubbi, e le mie solite perplessità.
Non
voglio mica asserire che sia tutto sbagliato, ancorché io stesso ho
rappresentato, e sentito, sentito forte, e ho pure sentito di essere me stesso
tutto, di sentire di essere così e non in altro modo (e sono stato pure
richiamato a posteriori), che certe robe le ho vissute in prima persona.
Rimango
della mia idea. Sarà per poca convinzione, forse.
Con
certe cose si deve andare cauti.
Però sono
curioso. Molto.
E
spero tanto non ci siano persone plagiate dall’argomento.
Lo
spero davvero.
(tutto
questo è pur solo quello che ho capito, sentito, assorbito, io. Niente di più)
Bertold Ulsamer, Senza radici non si vola -
La terapia sistemica di Bert Hellinger, Ed. Crisalide (Collana di Psicologia)