Quando
alle sei e quaranta siamo tutti e tre puntuali non ci credo ancora.
Stiamo
caricando tre bici da montagna, in realtà due mountain bike e un cancello con
le ruote, sulla mia auto per andare a pedalare una roba che tanto è tutta in
piano… beh, quasi…
Dunque
arriviamo presso il Castello S. Giorgio a Mantova puntualissimi, si parcheggia,
ci si veste per bene come le fatiche previste prevedono, si scendono le bici
sulla ciclabile che costeggia il lago di mezzo.
Giornata
assolata ma non calda, cielo azzurro sopra ai caschi, solo due perché il terzo
è troppo cocciuto per essere infilato, e c’è pure una leggera brezza sul lungo
lago che non guasta per niente.
Si
và, decisi come pompieri, cominciamo questi quaranta e più chilometri per il
lago di Garda.
La
prima parte è piacevole, molto. Siamo in sfregola tutti, chi con le parole chi
con le pedalate, chi con le foto chi con le spiegazioni.
I
cartelli ci portano sulla via senza troppa esitazione. Non si fa colazione in
quanto in questo tratto non ci sono bar per l’uopo, e non abbiamo certo voglia
di deviare dal percorso che è tutto curve e deviazioni e ombra di alberi o
coltivazioni o orti o baracche o.
Ci
si mette un’ora per bere il caffè, ed è troppo per noi che ci siamo alzati alle
cinque.
Infatti
si sbaglia caffè, cioè bar. Ce ne sono due a dieci metri di distanza, e noi si
sceglie quello più lontano, quello vicino alla fontana, quello con meno
persone. Sbagliato.. la pulizia non è un gran che, ma la mia pasta ripiena di
cioccolato fuso si sposa benissimo col cappuccino, e chissenefrega se è appena
stata teatro di una danza di mosche e mosconi, quello che non ammazza ingrassa…
Poco dopo aver ripreso la via verso nord, un piccolo incidente.
Un
oggetto volante non identificato, volgarmente detto ufo, ha pensato bene di
sbattere le proprie ali e i propri pungiglioni addosso alla mia bocca. Certo stavo
parlando, ovviamente, strano, ma per fortuna ha urtato i denti, che fanno
ancora male, e non è entrato oltre. Quel robo, non sappiamo cosa fosse, nessuno
l’ha visto, non so forse un tafano o una vespa o un calabrone o l’ape maia o un
moscone o un pedalò o un accidenti volante di medie dimensioni, tipo una mosca
troppo sarebbe troppo piccola e un gabbiano troppo grande. Capisco benissimo
che mi sta pizzicando ovunque tra i contorcimenti delle sue aluccie che
sbattono a manetta sul mio labbro. Subito freno, metto giù i piedi e porto la
mano alla bocca lo prendo con le dita e lo sbatto a terra e sputando pure un
pochino. Nel mentre chiamo subito i ragazzi della banda che mi guardano quasi
increduli. Poi arriva in mio soccorso l’ammoniaca (e io penso cosa cazzo ci fa
in giro con l’ammoniaca?, cosa deve pulire?), ovvero un tubetto verde della
Vape, lo stesso che si dà ai bimbi dopo le punture delle zanzare. Indico la
zona del misfatto, che è piuttosto interna in effetti, vengo spalmato bene,
molto bene, e per mezz’ora sputo roba profumata alla citronella o qualcosa
così.
Si
gonfia, ovviamente, un casino, lo sento subito lavorare bene. Porto pazienza,
anche coi ragazzi che cominciano a chiamarmi buana.
Si
arriva dunque a Borghetto, che passeggiamo tranquilli e beati, rilassando
muscoli e fatiche. E’ una splendida nicchia lasciata alle sue dimensioni,
almeno la parte attorno all’isola.
Si
riprende la via, faticando un po’. Ma la nostra voglia di arrivare supera anche
queste difficoltà. Si comincia a incrociare molte più persone, a ridosso del
lago ormai c’è molto più turismo.
Finalmente
si arriva a Peschiera, ed è davvero un trionfo, una soddisfazione come poche
altre.
Ci
dirigiamo subito verso la nostra vera meta, il bagno nel lago. E così facciamo,
poco, ma lo facciamo.
Ora
rilassiamo i muscoli e i pensieri, tendiamo la pelle sotto il sole vivibile
dell’una del pomeriggio, la giornata è splendida, e così dovrà rimanere.
Si
mangia alla buona, e si riparte, che altrimenti si fa tardi, e c’è un giardino
da tagliarci l’erba…
Il
rientro è con una sola sosta, a metà strada, ed è un errore. Cioè, non è un
errore, ma la discesa che speravamo (?) di trovare è rimasta utopia, e i
chilometri si sono fatti sentire bene.
Io
sono crollato sotto le fatiche di questi giorni che ancora mi porto addosso
nelle ossa e in altro.
I
ragazzi della banda pazientemente evitano di lasciarmi solo e ogni tanto
rallentano il ritmo, che cari. Non ci sono state crisi di crampi o robe del
genere, semplicemente ognuno aveva il proprio ritmo, e ci siamo rispettati a
modo. E mi è piaciuto.
Alla
fine, finalmente, si arriva ai novanta e rotti chilometri totali, col culo a
pezzi e male alle giunture delle ginocchia, delle anche, e di posti di cui non
conoscevamo l’esistenza.
Alla
fine, forse, per noi questa è stata la nostra olimpiade, e io sono contento del
mio bronzo, e sono contento di aver almeno partecipato. Davvero.
Grazie
Negri, grazie Chiappa. Alla prossima. Sono certo che prima o poi ci sarà.
Nessun commento:
Posta un commento