venerdì 25 maggio 2012

L’Emilia come L’Aquila? Mah, non so…


Lo scorso anno ad agosto partimmo presto per poter arrivare all’ora di pranzo e riuscire finalmente a mangiare qualcosa da quelle parti. Violammo perfino l’oscurità dell’ultima ora della notte prima che facesse alba per davvero. Scegliemmo di percorrere tutte strade non a pedaggio, così da osservare i vari panorami italiani che avremmo percorso e cambiato e voltato e. Quasi sette ora di auto ma n’è valsa la pena.
Quando arrivammo imboccando per caso la via giusta per il centro, rimanemmo a bocca aperta per quanto i nostri occhi ci mostravano. Interi palazzi condomini alti oltre cinque piani erano scrostati di ogni intonaco, con le facciate sparse in mille pezzi all’interno di cortili abbandonati all’avanzare di piante infestanti. E da quella parte nessun segno di vita.
Giungemmo così a parcheggiare in un viottolo nei pressi dell’ingresso controllato della martoriata vecchia zona centrale. Intorno a noi intere vie chiuse dalla zona rossa, inaccessibili.
Poca gente in giro, qualche turista. Militari ai posti di blocco, a guardia di un grande castello crollante.
Silenziosamente camminammo per le vie deserte, raggiungendo piazze incredibili, leggendo cartelli di sfogo e di sprono. Interi palazzi antichi completamente avvolti da intelaiature di tubi incrociati, travi di sostegni, puntelli, snodi e bulloni e chiodi. All’interno dei negozi rimasti uguali a quel giorno nessun oggetto nessuna merce, solo strutture a sostegno dei solai.
Avremmo voluto mangiare qualcosa all’interno di quelle vie, ma lo scarso tempo a nostra disposizione e l’impossibilità di fermarsi oltre ci hanno portato ad uscire da quel luogo disgraziato. Ci dirigemmo verso i paesi ascoltati e sentiti tramite i media, con scarsi applausi. Al limitare di paesi devastati erano grandi fette di villette ognuna uguale a se stessa, senza anima, senza personalità.
Sentimmo addosso il peso di una situazione anormale ancora a due anni dall’evento distruttivo. Strano. Senza parole. Occhi sbarrati su crepe nella storia di quella valle. Addirittura un paese non esisteva proprio più, per piccolo che fosse, era completamente chiuso al traffico, ed al suo fianco cantieri con lavori in corso.
Mangiammo alla prima trattoria aperta trovata lungo la statale del rientro, proprio alle spalle di una chiesa crepata di traverso ed ancora in piedi per puro miracolo. Durante il pranzo parlammo ancora di tutto quello sentito precedentemente la nostra visita, e confrontammo con quello che pur brevemente avevamo appena toccato con mano.
A maggior ragione non ci meravigliarono più i pianti nervosi di chi non sopportava più gli sciami di assestamento.
A maggior ragione non ci meravigliammo di sguardi persi nell’aria alla ricerca di qualche certezza tante volte visti in video.
A maggior ragione capimmo l’importanza di stare vicino a quella gente, in qualche modo, anche con poco, finanche con solo messaggi di amicizia via rete o che ne so.
A maggior ragione capimmo l’importanza di ricostruire la città e i paesi esattamente dove le persone del luogo avessero voluto. Ricostruire un centro storico pieno di storia e tradizioni e cultura e possibilità.
Cinque giorni fa siamo stati fortunati. La crepa si è mostrata al mondo a nemmeno trenta chilometri da noi.
Ci siamo dentro, ma ne siamo fuori.
Da cinque giorni ci sono interi paesi crollati e pieni di macerie e paure. Storie e sogni sepolti da calcinacci.
A nemmeno un quarto d’ora da qui. E in questi giorni lo sciame di assestamento lo sentiamo benissimo. Lo sentiamo e lo possiamo raccontare. Ed anche noi che stiamo vivendo questa esperienza così recente da così vicino abbiamo timore delle continue scosse che fanno tremare i piedi e le persone.
Abbiamo sentito e toccato con mano cosa vuol dire uscire di corsa di casa. Prendere in braccio bambini cercando di proteggerli da qualcosa di così grande. E tenersi pronti a farlo in ogni momento.
Abbiamo amici che dormono in auto perché ancora lesi dentro.
Sentiamo sulla pelle quelle emozioni forti che ti fa provare la natura quando ci si mette per bene.
E lo possiamo raccontare. Lo raccontiamo con quel poco di leggerezza e fatalità che ci porta a continuare comunque sia, quasi come se fosse niente.
Ma sappiamo bene che da cinque giorni, anche qui al margine della zona angosciata, non è più la stessa roba, siamo cambiati, in venti secondi circa e in centinaia di altre volte.
Siamo fortunati. Almeno per ora, perché veramente non si può scherzare con la natura.
Non è esattamente la stessa cosa, l’ambiente la terra, i luoghi la morfologia, tanti fattori sono diversi, solo i sei gradi circa sono gli stessi. E le stesse sono le lacrime davanti a tutto ciò.
Un saluto sincero a quella bassa che conosco e che ho frequentato.
Davvero, di cuore.
A presto...

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