venerdì 29 giugno 2012

METTI PER CASO UNA SERA A SASSUOLO


Metti che hai un’amica che involontariamente si trova dentro al Bar, ci aveva pensato spesso ma non ci sarebbe mai entrata da sola.
Metti che ci mette ben poco ad avere contatti con altre persone all’interno del Bar.
Metti che dopo qualche mese ti nomina, e te ne parla pure, di una tizia col nome un po’ strano ma ha i suoi buoni motivi e te non la raccogli come vorrebbe o dovresti, a te appare come una delle tante.
Metti che poco dopo ti proponga un libro con un titolo che sa di pretesa, e che te che stai sempre sui fatti tuoi non te lo fumi tantissimo.
Metti che poi quel libro te lo fa sfogliare, e te leggi, e rileggi. E rimani basito. Ne rimani affascinato. Praticamente sconvolto. Te lo fai tuo come pochi libri sono stati capaci di entrarti dentro.
Metti che in quel libro non si nomina mai un nome per davvero e che te anche se maschio potresti essere benissimo quella femmina che vive quelle sette notti tanto particolari. Te ci vai davvero al mare d’inverno per stare un poco con te e lontano da tutti, in realtà vai anche sulla riva di un fosso ma è un’altra storia. Te ci vai davvero al cimitero a salutare amici, e ti capita di incrociare sguardi e vite che altrimenti ignoreresti. Te ci vai davvero a trovare le persone, e ne rimani alla giusta distanza, col rispetto che si deve in certi momenti e per certe persone. Te ci vai davvero nei posti più impensati della bassa solo per andare a quel concerto o quell’incontro o quella presentazione. Te ci andresti davvero lontano da casa anche solo per un caffè.
L’occasione fa l’uomo ladro? Bene. Allora oggi pomeriggio vado a rubare qualcosa per me.
E’ uno di quei sabato pomeriggio nei quali si sta veramente bene, di quelli primaverili per davvero, dove è sia caldo che freddo, nei quali ti devi vestire a cipolla partendo da una maglietta di cotone fino alla giacca smanicata. Parto per tempo, ma subito credo di essere in ritardo. Ogni auto che incrocia la mia via sembra lì apposta per farmi ritardare. Mi costringo in continui esercizi zen per mantenere la calma, evitare agitazioni vane, e sudorazioni eccessive alle ascelle, che poi mi si macchia la maglia e dopo non sto più a posto. La strada, comunque, nonostante i paesi e gli incroci e i semafori, è scorrevole per bene.
Infatti arrivo puntualissimo, il mio senso dell’orientamento mi permette di non sbagliare una svolta che sia una, leggo cartelli osservo il sole e le sue ombre seguo l’istinto e l’aria che entra dal finestrino abbassato. Poi va beh, ci metti che ieri ho controllato streetview di googlemaps e il gioco è fatto.
L’ex macello ora Auditorium Pierangelo Bertoli è proprio ristrutturato bene, almeno la parte rinnovata, ovviamente, spero che lavorino anche alla parte est.
Entro in punta di piedi, chiedo pure permesso.
Lei è bellissima!
Quasi proprio come me l’aspettavo. Sta parlando con ragazzi e ragazze che sembrano molto vicine.
Se ne escono con un “Allora ti portiamo il caffè…” che fa crollare la mia idea folle di invitarla finalmente e per davvero a bere un caffè. Pazienza, sarà un buon motivo per rivedersi (?).
Il mio turno lo attendo timido nel mio angolino anche se in realtà trattasi della fila centrale della platea.
Ora le chiedo le due robe minime che mi porto dentro: la foto insieme e l’autografo dedica sul libro. Che emozione. Sono tutto un’agitazione. La mia paranoia sembra avere il sopravvento, il mio sorriso ebete è inevitabile.
Esco a fumare una pajana, il caffè lo evito, sarei solo e non lo volevo da solo.
Mi siedo in terzultima fila nell’attesa dell’inizio di questa serata pomeridiana. Dal foro tondo di heidi sulla parete in fondo di fronte a me entra una calda luce primaverile. Bello. Sto bene. Agitato.
Solo ora la tensione sta scemando sotto i piedi mai fermi, mi spoglio un po’ come usa la cipolla.
L’inizio è ritardato, non capisco se dal protrarsi delle prove o se dalla mancanza di persone presenti. Per diversi minuti sono stato l’unico spettatore presente, quasi un privilegio.
Beh intanto io ci sono. Come altre volte ho voluto esserci. Oggi sono, io, tutto qui da me. Poi vedremo.
Solo ora leggo quanto Lei ha scritto sul mio libro, prima non avrei inteso bene. Ha riconosciuto subito chi ero quando le ho detto il mio nome, e forse già un po’ prima aveva riconosciuto le mie paranoie sparate dai pori agitati della pelle. Ha sorriso. Ed ha scritto una roba che ha fatto centro. Brava.
Cominciano le presentazioni, e capisco subito che non è come mi aspettavo, nessuno leggerà nulla del libro, semplicemente staremo qui ad ascoltare commenti impressioni e opinioni. Mi piace, non me l’aspettavo ma mi piace.
Presto dice che lei è una compagna di transenna, in merito ai concerti ovviamente. Mi sembra perfetto!
Ecco i primi brividi sono arrivati, puntuali, c’è Ivan Benassi detto Freccia che parla del suo credo.
Almeno credo, a quel tale… e mi devi far sentir le mani.
Gli Orazero suonano ancora! Splendidi a cinquant’anni. Ne parla bene il batterista, (e che batterista…), parla dell’incontro col nostro Lui, di come Lui era già cosciente del suo volere e dei suoi intenti, di come sapeva già dove andare nonostante i suoi impacci o robe simili. Già, ne sono ormai convinto, Lui, il nostro Lui, scrive troppo bene per non essere schivo, e nei suoi riserbi ha trovato lo sfogo della parola, poi ci metti che sa suonare le sette note che si ritrova  genuinamente nelle vene, e il mito è fatto.
Sto cantando il playback che Ho ancora la forza, tanta, anche per venire qui ce n’è voluta, e so che me ne servirà tanta, ma so anche di averla. Silvia ha conosciuto Lui stamattina, Silvia è una fan, amica di Lei, è ballerina.
Ora c’è la Ballerina del carillon suonata in casa da una pianista ma con la chitarra.
Mi sento Leggero come quando ne avevo bisogno un anno fa circa durante una follia di camminata. Nazareno ha voce imponete, fin troppo compressa.
Rammento felice che il nostro Lui suonava “di corsa” Questa è la mia vita, era luglio, mi cambiava la vita.
Silvia è tornata sul palco, sembra davvero una Piccola stella senza cielo…
E’ proprio vero, e non ci sono parole da aggiungere, L’amore conta, sempre!
Lei dice che è stata male a Campovolo lo scorso luglio; io ci sono stato benissimo; ha evidenziato il valore dell’amicizia, brava, ha ragione, certe robe sono delicate da affrontare in compagnia. Come nelle ferie nei matrimoni anche nei concerti serva una vera amicizia.
Quella che non sei non sarai, a me basterà!
Io Ti sento… c’ho il sole dritto in faccia e sotto la mia buccia che cosa mi farai? E parlo di profumo… rimani quanto vuoi! In un posto dentro che so solo io…
Ecco che la Lettera a G è più che mai importante, e ricordo quelle visite a salutare Matteo. Se (ti) scrivo solo adesso da qualche parte un motivo ci sarà. Fa buon viaggio, poi riposa se puoi!
La serata si conclude come Certe notti, un caso?, non credo…
Ora, solo ora, ho inteso che questa serata è stato semplicemente un incontro tra amici. Ora che le luci si sono accese sui nostri visi sorridenti noto che tutti si salutano come vecchi amici o giù di lì. Solo io rimando indietro in disparte.
Non so che fare, attendo un attimo. Fosse per me inviterei Lei almeno a una pizza. Fosse per me la potrei anche riportare a casa, che è lontana, così nel mentre si parla un po’. Ecco che le mi idee, le mie paranoie, e le fantasie, si fanno vive e concrete nella mente, e il mio criceto le sta rincorrendo impazzendo di frenesia.
Calma, meglio aspettare il mio turno. Metti caso che sia Lei a invitarmi per una pizzata tra amici… no non credo possa accadere una roba così.
Beh, io nel mentre, come sempre rimango da me.
La cerco con lo sguardo, Lei mi vede, mi fa un cenno. Mi avvicino. Le prendo la mano a mo’ di saluto. Vorrei abbracciarla ma mi sembra troppo. Vorrei baciarla in fronte ma mi sembra esagerato. Ci si limita ai canonici baci sulle guance.
Le faccio i complimenti, e le chiedo, incitandola ma non troppo, di continuare a scrivere, per favore.
E lei, a sorpresa: “Ho visto che hai scritto tanto, te…”, ed io rimango senza parole.
Poi scappo da una situazione che non riuscirei a reggere, forse. Non lo saprò mai.
Mi è piaciuto leggere Sette notti con Liga. E mi è piaciuto ascoltare parole un anno dopo…
Ciao Chimena, grazie davvero.

martedì 26 giugno 2012

TENGO BOTTA AL CONCERTO PER L’EMILIA


Erano appena passate le quattro del mattino, c’è chi canta che a quell’ora c’è l’angoscia e un po’ di vino.
Dormivo ma ero vigile, non so perché. Qualcuno o qualcosa o qualchenonloso mi ha preso di peso e mi ha alzato in piedi. Non ho pensato, non mi sono domandato. Ho capito subito, sapevo già quello che era. Due passi e poi le braccia allungate a raccogliere il miracolo che dormiva beato, la signora altrettanto col piccolo. Il rumore assordante sui muri alle finestre sul pavimento, il suono improvviso imperterrito dello scacciapensieri cinese appeso all’ingressino. Due passi, un inchino ad accucciarsi sotto l’architrave dell’ingresso, abbracciati ai miracoli nel tentativo di proteggerli, accovacciati a difenderli in un modo che non conoscevo. Alla domanda perché facessimo così solo una risposta è stata data, vera, diretta, è il terremoto che ci sveglia stamattina quando è ancora buio.
Lui non aveva inteso bene cosa volesse dire sentirsi scuotere dentro e sotto i piedi perché lui fortuna sua vive in un luogo lontano a sufficienza per non sentire nulla o poco e niente. Lui ha soltanto solo ascoltato i nostri discorsi, miei che l’ho vissuta da meno vicino, e di altri che l’hanno sentita per bene, che hanno visto la propria casa muoversi e dondolare, che avevano già cominciato a dormire in auto o in tenda o. Eravamo appena arrivati nel capannone del nostro terzista per controllare un sacco di roba. Giusto il tempo di entrare bene nell’angolo lontano dall’uscita. Forte il boato è giunto da fuori, sul coperto del capannone, sugli scaffali di metallo a stridere tra loro, sul pavimento grigio di cemento non più immobile. I nostri occhi sbarrati sull’inconsapevolezza, il suo viso teso nel cuore leso da un timore ancora sconosciuto, i nostri passi a scappare da qualcosa di avvolgente.
Stavo pranzando da solo, guardando le notizie di quel martedì mattina, ancor più pesante della domenica precedente. Il mobilio a tremare tutto, i trofei a suonare l’allarme nel loro incessante ticchettio lassù in alto, il lampadario a scuotersi dalla polvere degli anni, il pavimento a ondulare sotto i piedi. L’ho proprio vissuta in diretta tv, niente da dire. Chino sotto di me a raccogliere le forze e muovere quei muscoli per spingere i passi davanti a me.
E vaffanculo! Non vincerai tremore di terra tanto amata! Voglio che la mia vita continui!
Provo a lavare i piatti, le mani nel secchiaio, ma la cucina riprende a muoversi come pochi minuti prima, in un tempo infinito lungo forse una vita.
La consapevolezza di essere fortunato. Il cuore che batte aritmie oscure.
Orecchie tese ad ascoltare il mondo. Rumori amplificati da sensazioni di impotenza.
La possibilità di poterne parlare in modo forse sereno.
La fatalità delle cose che ancora lambisce la mia vita. La voglia di meritarmi quello che passa da me.
Ieri sera sono stato emozionato da uno stadio pieno, da persone consce dei propri pensieri, da vento fresco ad accompagnare tanta buona musica.
L’emozione di stare in compagnia, riconoscere musicisti su e giù dal palco, vedere volti felici, ascoltare racconti toccanti.
Sigarette accese sui miei pensieri profondi, lasciando correre il criceto della mente in modo sempre più frenetico.
La fatica di una serata in solidarietà che non riempirà mai il vuoto della mia mancanza di volontariato. E non riempirà mai quel vuoto che i miei conterranei hanno dentro e che avranno dentro e che nessuno saprà mai quando sarà colmato.
Io, oggi, mi sento fortunato, voglio sentirmi fortunato, non voglio lamentarmi delle mie condizioni, non voglio lamentarmi di quello che non ho e di quello che non riesco.
Vorrei solo riuscire a meritarmi quel che c’è già qui da me.
Vorrei serenità per quella gente tanto poco lontana da me.
Ciao ragazzi, rimanete in giro, teniamo botta insieme.

venerdì 15 giugno 2012

Io tifo per l'Irlanda

Strapazzati alla prima, schiaffeggiati alla seconda, ormai fuori alla terza, sono certo che venderanno cara la pelle, proprio con noi. Ma tant'è.
Ieri sera i verdi d'Irlanda perdevano quattro a zero dai campioni del mondo e d'europa, dunque rispettato in tutti i modi il pronostico. Apparentemente tutto normale. Quindi ormai fuori dai giochi calcistici europei.
A cinque minuti dalla fine sono divenuti sempre più presenti e rumorosi i cori intonati dagli spalti.
La mia pelle d'oca si è increspata sulla schiena e in ogni lembo di pelle.
Gente in arancio bianco e verde, gente truccata a strisce, gente vestita come i folletti dei boschi celtici. Gente orgogliosa, rispettosa, gente sportiva, che sa di rugby, gente seria, concreta alla vita. Gente a volte ubriaca di guinness o della prima pinta di birra sul bancone del pub, gente avvolgente che volendo ti vuole bene, gente simpatica amata da tanti.
Nonostante la pesante sconfitta e l'eliminazione certa, gente a cantare fino alla fine, sempre, a squarciagola per la propria squadra per la propria nazione, gente che ci sta, che c'è sempre, e comunque c'è, la trovi sempre lì, dove credi che debba essere.
Io non la conosco, non ci parlo, solo raccolgo opinioni in radio o per il digitale, raccolgo parole lette in pubblicazioni dedicate, raccolgo immagini in panorama mozzafiato, foto di verde di scogliere e di pioggia.
Io non conosco perché non sono mai stato, ma ho ascoltato chi c'è stato.
Credo, dunque, di intendere e di capire quei tifosi sugli spalti polacchi a cantare sempre di più, fino all'ultimo.
E allora, io, per quanto mi è possibile, tifo per il quadrifoglio verde irlandese.
E non ce n'è per nessuno.
Ciao Dublino, chissà, un giorno, forse, atterrerò lì.