Lo
scorso anno ad agosto partimmo presto per poter arrivare all’ora di pranzo e
riuscire finalmente a mangiare qualcosa da quelle parti. Violammo perfino
l’oscurità dell’ultima ora della notte prima che facesse alba per davvero. Scegliemmo
di percorrere tutte strade non a pedaggio, così da osservare i vari panorami
italiani che avremmo percorso e cambiato e voltato e. Quasi sette ora di auto ma
n’è valsa la pena.
Quando
arrivammo imboccando per caso la via giusta per il centro, rimanemmo a bocca
aperta per quanto i nostri occhi ci mostravano. Interi palazzi condomini alti
oltre cinque piani erano scrostati di ogni intonaco, con le facciate sparse in
mille pezzi all’interno di cortili abbandonati all’avanzare di piante
infestanti. E da quella parte nessun segno di vita.
Giungemmo
così a parcheggiare in un viottolo nei pressi dell’ingresso controllato della martoriata
vecchia zona centrale. Intorno a noi intere vie chiuse dalla zona rossa,
inaccessibili.
Poca
gente in giro, qualche turista. Militari ai posti di blocco, a guardia di un
grande castello crollante.
Silenziosamente
camminammo per le vie deserte, raggiungendo piazze incredibili, leggendo
cartelli di sfogo e di sprono. Interi palazzi antichi completamente avvolti da
intelaiature di tubi incrociati, travi di sostegni, puntelli, snodi e bulloni e
chiodi. All’interno dei negozi rimasti uguali a quel giorno nessun oggetto
nessuna merce, solo strutture a sostegno dei solai.
Avremmo
voluto mangiare qualcosa all’interno di quelle vie, ma lo scarso tempo a nostra
disposizione e l’impossibilità di fermarsi oltre ci hanno portato ad uscire da
quel luogo disgraziato. Ci dirigemmo verso i paesi ascoltati e sentiti tramite
i media, con scarsi applausi. Al limitare di paesi devastati erano grandi fette
di villette ognuna uguale a se stessa, senza anima, senza personalità.
Sentimmo
addosso il peso di una situazione anormale ancora a due anni dall’evento
distruttivo. Strano. Senza parole. Occhi sbarrati su crepe nella storia di
quella valle. Addirittura un paese non esisteva proprio più, per piccolo che
fosse, era completamente chiuso al traffico, ed al suo fianco cantieri con
lavori in corso.
Mangiammo
alla prima trattoria aperta trovata lungo la statale del rientro, proprio alle
spalle di una chiesa crepata di traverso ed ancora in piedi per puro miracolo.
Durante il pranzo parlammo ancora di tutto quello sentito precedentemente la
nostra visita, e confrontammo con quello che pur brevemente avevamo appena
toccato con mano.
A
maggior ragione non ci meravigliarono più i pianti nervosi di chi non
sopportava più gli sciami di assestamento.
A
maggior ragione non ci meravigliammo di sguardi persi nell’aria alla ricerca di
qualche certezza tante volte visti in video.
A
maggior ragione capimmo l’importanza di stare vicino a quella gente, in qualche
modo, anche con poco, finanche con solo messaggi di amicizia via rete o che ne
so.
A
maggior ragione capimmo l’importanza di ricostruire la città e i paesi
esattamente dove le persone del luogo avessero voluto. Ricostruire un centro
storico pieno di storia e tradizioni e cultura e possibilità.
Cinque
giorni fa siamo stati fortunati. La crepa si è mostrata al mondo a nemmeno
trenta chilometri da noi.
Ci
siamo dentro, ma ne siamo fuori.
Da
cinque giorni ci sono interi paesi crollati e pieni di macerie e paure. Storie
e sogni sepolti da calcinacci.
A
nemmeno un quarto d’ora da qui. E in questi giorni lo sciame di assestamento lo
sentiamo benissimo. Lo sentiamo e lo possiamo raccontare. Ed anche noi che
stiamo vivendo questa esperienza così recente da così vicino abbiamo timore
delle continue scosse che fanno tremare i piedi e le persone.
Abbiamo
sentito e toccato con mano cosa vuol dire uscire di corsa di casa. Prendere in braccio
bambini cercando di proteggerli da qualcosa di così grande. E tenersi pronti a
farlo in ogni momento.
Abbiamo
amici che dormono in auto perché ancora lesi dentro.
Sentiamo
sulla pelle quelle emozioni forti che ti fa provare la natura quando ci si mette
per bene.
E
lo possiamo raccontare. Lo raccontiamo con quel poco di leggerezza e fatalità che
ci porta a continuare comunque sia, quasi come se fosse niente.
Ma
sappiamo bene che da cinque giorni, anche qui al margine della zona angosciata,
non è più la stessa roba, siamo cambiati, in venti secondi circa e in centinaia
di altre volte.
Siamo
fortunati. Almeno per ora, perché veramente non si può scherzare con la natura.
Non
è esattamente la stessa cosa, l’ambiente la terra, i luoghi la morfologia, tanti
fattori sono diversi, solo i sei gradi circa sono gli stessi. E le stesse sono le
lacrime davanti a tutto ciò.
Un
saluto sincero a quella bassa che conosco e che ho frequentato.
Davvero,
di cuore.
A presto...