lunedì 29 giugno 2015

Riky come Vicky, andata e ritorno

ANDARE, ANDARE. E COME ANDAVAMO!, Fabrizia Amaini, Ed. Fortepiano

Per tutta sincerità mi aspettavo altro, non so cos'altro, ma certamente la lettura mi ha sorpreso, come sempre come spesso.
Per tutta sincerità certi dialoghi non sono proprio in grado di raccoglierli così come sono stati scritti.
Ché non credo mica a una madre che, quando si trova in preda ad ansia e agitazione per il figlio finalmente tornato a casa, anche se praticamente in fin di vita, possa adoperarsi in contorti monologhi e in discorsi complessi per spiegare il proprio stato d'animo. E forse nemmeno quel figlio tanto colto e tanto letterato non so mica se possa affaticarsi in spiegazioni finanche ridondanti.
Ecco, per tutta sincerità questo libro stavo per abbandonarlo sul nascere, quasi.
La lettura si stava arenando e stancando in quelle troppe pagine pesanti del ritorno.
Poi, però, per fortuna, è stata raccontata l'andata.
E allora la lettura è scivolata via, a fianco di Riky, sentendo sulla pelle le sue emozioni di giovane scrittore.
Poi la storia raccontata, del viaggio interiore ed esteriore, è stata uno spasso.
Sorridevo, mi piaceva, mi compiacevo, riflettevo, mi emozionavo.
Poi, il lettore, per fortuna, è stato davvero ammaliato dalla scrittrice.
E quando il lettore si sente un tutt'uno col personaggio, col protagonista, vuol dire che tra lui e chi scrive nasce una sinapsi continua, una scintilla dopo l'altra, che raramente è interrotta prima della fine.
Infatti la fine è arrivata.
E' arrivata come mi aspettavo, giacché la storia di Riki come Vicky un poco la conosco.
E alla fine sono rimasto un poco con l'amaro in bocca, sono rimasto pensando che una persona così, dico io, avrebbe dovuto avere altro riscontro in vita. Una persona così avrebbe dovuto avere una considerazione maggiore, e diversa, soprattutto da quelli che la pacca sulla spalla al bar gliela davano per davvero, ma anche da quelli che lo osservavano e salutavano per le vie del suo borgo.
L'“andata” è stata costretta, cosi come costretto si è sentito il “ritorno”.
E in mezzo tutto quello che è stato, ottimamente descritto da Fabrizia. Ché mi sono sentito là con lui, a volte più a volte meno, in giro a conoscere a volte più a volte meno, di ritorno da una riflessione a volte più a volte meno.
Come spesso mi capita ho “orecchiato” le pagine e o sottolineato dei passaggi, che qui mi permetto di riportare:
     “...Così è l'amore. L'amore è assoluto, non si può comandare, accelerare, guidare, evitare. L'amore è totalità e pienezza. L'amore ti fagocita, ti trasforma, t'inghiotte, e tu perdi te stesso. L'amore è cieco e non sceglie la persona da amare. Ma l'amore può ucciderti. E ha ucciso me”.
     La scrittura mi salvava. Tu non puoi immaginare! La lettura ti fa viaggiare, fantasticare, sognare. La lettura ti erudisce, anche, ti rende libero perché ti svincola dalla tenebra del pregiudizio e dell'ovvietà. La lettura ti nutre. Ma la scrittura! La scrittura è una cosa che non puoi spiegare! Se non ce l'hai dentro, non la capisci. La scrittura ti salva. E ti conserva. E t'alleggerisce.”
     Una trappola, ecco che cos'è la religione! Il calappio al collo ti stringe, poi ti tira dalla parte che vuole lei. E' una fregatura! Ti fa credere che ti ama, poi ti rifiuta se non la obbedisci. Al diavolo preti e religione!...”
     Oh, non è mai troppo tardi. Si può cominciare ad essere artisti anche a quarant'anni. L'importante è che prima di morire si riesca ad estrarre quelle qualità e quelle ambizioni che stavano compresse dentro come abiti dismessi in una cassapanca chiusa a chiave”.
     ...E' sul tempo che bisogna lavorare, perché solo il tempo saprà apportare le giuste risposte e fornire la misura delle cose”
     A volte la sua voce si smorza in flebile sussurro, e la malinconia le rallenta il fiume di parole. Allora i suoi occhi diventano due opache fessure che racchiudono storie lontane.     “L'amore fa soffrire. Non vorrò più amare nessuno””
     Al fondo c'è un dolore troppo grande da celare, ci sono le infinite chimere spezzate, una velleità sconfinata di pace e una silente invocazione d'aiuto da non urlare, perché il suo dolore è una cosa intima, tutta sua, che non può e non vuole condividere”
     ...e vorrei alzare una mano per farmi scorgere, per dire loro che io sono qui, dietro l'angolo, a non perdermi lo spettacolo della preparazione del loro viaggio. Perché sempre di viaggio si tratta: andare in duomo o volare nelle calde terre del sud, è la medesima cosa. Sempre un viaggio. E una fuga. Una fuga verso una realtà diversa che ti restituisca un cibo nuovo per vivere, che ti allarghi novelli orizzonti di utopie.
Andare, andare. E come andavamo!



Ora lo posso rendere a Chiara, compaesana del/i protagonista/i, che certe relazioni nel borgo le ha vissute simili, ricordando che “coraggio che è lunga”.