lunedì 24 ottobre 2016

Come l'anno scorso, stessi odori stessi personaggi

Dopo tutto quel baccano avevi deciso di fare basta.
Avevi deciso di non passarci più per quel motivo lì.
Però gli altri avevano scelto in merito al peso della busta, e tu eri tornato fuori in attesa di una firma.
Avevi comunque proceduto sui tuoi passi e sulla tua strada.
Avevi ottenuto quella A che in silenzio eri andato a imparare. E ti era piaciuta assai, e non ne avevi alcun dubbio, tanto che il tuo amico ti aveva offerto quella battuta là.
Eri tornato sull'aereo per passare un fine settimana lungo a piedi nella capitale grigia benché assolata.
In effetti, alla fine dei conti, il tuo percorso ti aveva visto ben cambiato.
I chiarimenti invernali avevano spostato altrove le cose in sospeso, e nulla era nell'indeciso o nel poco trasparente.
Anzi, avevi ritrovato chi aveva scelto. E lo sentivi bene.
E sono stati anche altri giri ben più lontani.
Ma quella firma era ben tarda dall'arrivare.
Dunque, tuo malgrado, come l'anno scorso, sei tornato là dentro a cercare quel gruzzoletto per respirare un poco meglio.
Le condizioni erano diverse, avevano addirittura prospettato un ruolo diverso, una posizione diversa, e quindi fatiche diverse. Poi le loro difficoltà, non di certo le tue, li avevano dirottati su scelte che non ti erano piaciute.
Avevano invitato altra gente, alcuni freschi di corso, altri alle prime esperienze, altri esplicitamente di passaggio. E i soliti personaggi nei soliti ruoli con le solite pantomime, le solite esibizioni false e tendenziose atte ad ammaliare chi con loro, e le solite scelte ricadute sui più instabili caratterialmente intendendo.
Solo un personaggio, in effetti, era diverso, anche se lo stesso. Cioè, ne era ben diverso l'attore che lo recitava, dunque anche quel ruolo aveva ottenuto delle sembianze ben diverse. Sì certo le tensioni della consapevolezza del ruolo erano tangibili, e i ruoli concatenati da dirigere erano tanti di conseguenza, ma almeno la persona uomo era meno arrogante, più diretta, meno viscida forse, e non venivano lesinati i grazie. E questo era già tanto.
Tu eri stato scelto per dirigere quello che già conoscevi, quello che già sapevi fare bene e lo avevi dimostrato, ti avevano appoggiato sulle spalle la responsabilità di quel settore, e che tutto potesse girare al meglio e per il verso giusto. Come 'anno scorso.
Presto avevi concluso col pensiero su “forti odori, come sempre, e i personaggi sono sempre gli stessi”.
Ti avevano lasciato in disparte, non ti coinvolgevano nelle loro risate adorne di pochezza.
E tu ben te ne guardavi dal farti coinvolgere ove non ritenevi opportuno.
Ed erano gli stessi movimenti di vite senza fine, erano gli stessi rumori caotici di motori elettrici e a scoppio, erano gli stessi schizzi rossi sulla pelle e sugli indumenti, erano le stesse fatiche sulla schiena, gli stessi scarsi attrezzi, erano le stesse attenzioni a quel miscuglio risucchiato, erano gli stessi silenzi e le stesse attese, erano i tuoi pensieri ad andare ovunque purché non in quel posto, erano le parole strette con chi passava in quel posto e vedeva te un interlocutore diverso, erano sorrisi a chi li meritava e nemmeno uno sguardo a chi prepotentemente pretendeva.
E sentivi che tutto era diverso.
Tu eri diverso.
E lo hai dimostrato anche quest'anno, come l'anno scorso.
Avevi pure detto no, a discapito di un altro respiro agognato ma a favore della tua salute e di tuoi impegni.
Eri pure arrivato a certe conclusioni, che si mal adattavano all'ambiente, e che tenevi ben per te.
Giacché quando pensi di essere nel giusto, perché credi in quel che fai e che quel modo sia quello corretto, non ti devi curare troppo dei personaggi intorno, che pensano male di te e che ti credono coglione nei tuoi comportamenti, loro che ti vedono e sentono distante dagli atteggiamenti da supereroi egocentrici arroganti e impauriti che vivono sempre.
Perché il giusto, lo sai, è come un albero che matura paziente col tempo che passa, invece gli altri intorno si fermano a un arido momento di opportunità.
Tu guardali sempre in faccia e passa oltre.
Ché lo sai bene, tu non sei solo una scimmia mangia banane.
Salute!

martedì 17 maggio 2016

Quando NON tocca a te

In una sera come tante stai percorrendo le stradine della tua campagna a bordo della tua utilitaria ascoltando buona musica. Sono strade strette, a volte più a volte meno, che conosci bene. Negli anni passati le hai già percorse in ogni momento della giornata, la sera la notte all'alba in pieno giorno. Sai bene che le ombre e le luci non sono mai le stesse.
In quella sera, mentre canti a squarciagola le tue canzoni, è tutto in un attimo.
Stai per affrontare quella curva a gomito, verso destra, bella da fare in pieno, bella da occupare tutta la carreggiata. In quell'attimo noti che la siepe del giardino alla tua destra è molto più alta del solito, è talmente poco curata che i rami si mostrano sulla via. In quell'attimo il tuo istinto ti dice che non puoi affrontare la curva come ti piacerebbe, che la luce non permette di notare la presenza di un'auto dalla direzione opposta (la notte, grazie ai fari accesi, invece sì...). In quell'attimo freni bruscamente, non tanto da inchiodare ma molto molto energicamente, scali le marce opportune, e osservi lo scorrere della siepe alla tua destra. E rimani molto alla tua destra. In quell'attimo, appena prima della curva, il muso della tua utilitaria sfiora vagamente il paraurti anteriore del furgone che giunge proprio in quell'attimo insieme a te a quella curva. Il furgone sembra sbandare leggermente a destra, ma è solo un'impressione, è solo per mettersi più alla mano, più alla sua destra.
In quell'attimo hai inteso che basta un niente perché le robe della vita possano prendere una piega molto diversa.
E sorridi. E respiri profondamente.
Poi spegni le tue canzoni. E accosti poco più avanti, ai bordi della strada che porta alla casa non casa che hai sempre sperato fosse la tua casa.
Scendi dall'auto, osservi il sole che volge al tramonto poco più in là.
E respiri profondamente l'aria della tua campagna.
Hai un magone più o meno sotto lo sterno.
In un attimo butti fuori tutto. Ché ti fa solo bene. E lo sai.
E pensi, rifletti, che sei fortunato.
Poi, mentre rientri ancora un poco stordito, che non riesci a pensare ad altro, ti vengono in mente quante volte NON è toccato a te, quante occasioni sono state come in quella curva.
Le più diverse. Come cadere dalle scale, è un attimo che ti possa accadere ancora; oppure, rimanendo “in auto” quella notte che lungo la strada di fondovalle percorrevi i rettilinei con gli occhi chiusi e le curve con gli occhi appiccicati benché aperti; o quando in moutainbike scendevi veloce il sentiero stretto sulla cresta di un calanco che si immetteva in uno stradello a quel punto già ghiaiato ma proprio in quel punto sbarrato da una catena; e poi ti è capitato di mettere la freccia a sinistra per svoltare all'interno del cortile, attraversando la strada, ed attendere quell'attimo giusto per dare il colpo di accelerazione opportuno, controllando che da davanti a te non sopraggiungesse nessuno, e che dietro di te l'auto più vicina fosse ben consapevole delle tue intenzioni, e addirittura con lo specchietto retrovisore notando il sorpasso azzardatissimo di una vettura, ecco in quell'attimo, proprio mentre hai deciso di svoltare, ti sei sentito avvolto dal vento, l'aria ti è passata anche attraverso, e non hai svoltato perché un'auto di grossa cilindrata era in sorpasso dietro di te, e non te ne eri accorti, e in quell'attimo ti era accanto, e tu hai hai potuto solo sbandare sentendo il suono del clacson di chi dietro te, ed accostare appena poco più in là proprio davanti al cortile.
In quell'attimo hai capito che NON toccava a te.
In quell'attimo hai sentito la morte passarti accanto.
E allora, per ora, NON è ancora il tuo momento.

Sii contento.

lunedì 25 gennaio 2016

E poi la Cantina

Tutto è cominciato come il primo giorno a naja: si è tutti uguali e tutti insieme.
Anche se erano ben distinti, ovviamente, Il Preside uscito dall'ufficio, l'Orso ormai a parlare con le vecchie conoscenze e Nitro detto TNT ancora senza le sue nuove provette.
Poi, piano piano altre diversità sarebbero emerse, col tempo e con le competenze.
Lo Spettatore, quindi, era lì insieme a tutti. Pronto, come gli altri, a ricevere le prime istruzioni. O per meglio esprimersi, le prime direttive buttate un po' lì, quasi tanto per fare qualcosa.
Orso aveva comandato di distribuire le scope in saggina a tutti i pretendenti ciarlando un vago: «Dividetevi lungo le strade e nel piazzale, cominciate da lì davanti... si spazza tutto, foglie aghetti sporcizia, anche i sassolini se necessario... che domani cominciano ad arrivare i soci e vogliono vedere che tutto è pulito.
E non mettetevi troppo vicini tra di voi che altrimenti poi vi fermate a chiacchierare», aveva malamente sogghignato con sorrisi ammiccanti e l'intenzione evidente di abbindolare gli ormai già scopatori.
Così la prima mattina scivolava via con nuvole di polvere un po' ovunque.
E già lì Lo Spettatore aveva raccolto la prima impressione e come suo solito aveva da segnalare che quell'Orso avrebbe potuto dire e comandare di non stare vicini per lavorare al meglio, per distribuire adeguatamente la forza lavoro in tutte le aree dove fosse possibile, e certamente non limitarsi al gretto altrimenti chiacchierate tra voi. Questioni di punti di vista, e di intelligenza.
Qualche addetto (forse più fortunato) aveva ricevuto incarichi diversi, come guidare la sega-erba, detta anche motofalciatrice, nel grande prato centrale oppure adoperarsi col decespugliatore in ogni dove fosse necessario.
Qualche personaggio aveva già la sua evidenza davanti agli altri, Lo Spettatore lo notava bene, come Bellosguardo che con semplici forbici se ne andava in giro a tagliare i rami invadenti, buttarli a terra, e nel caso dare delle direttive a chiunque fosse nei suoi paraggi.
Durante quella lunga prima mattinata lo Spettatore lavorava come gli altri ma sempre a modo suo, aveva sempre uno sguardo oltre il suo proprio posto ed aveva sempre un orecchio pronto a raccogliere conversazioni osservazioni parole commenti.
Era così che cadeva il tempo, tra troppo caldo molto sudore e bevute d'acqua (non solo).
Al termine di quel mattino pieno di nozioni raccolte qua e là, si presentava la prima richiesta apparentemente importante, potenzialmente decisiva: La Chicca era uscita tra gli avventizi alla ricerca di chi aveva la certificazione per la guida dei carrelli elevatori, malamente chiamato patentino per muletti. Lo Spettatore non poteva non rispondere positivo, e si era trovato a richiedere il certificato dove sapeva di trovarlo. A quel punto la sua impressione era che scoprirsi con quella opportunità poteva aumentare la sua fiducia in un futuro prossimo, come quei futuri a distanza di un mese.
E così, almeno per un po', Lo Spettatore aveva pensato che erano lievitate le sue possibilità di conferma al termine del mandato settembrino.
Durante i primi giorni i ragazzi avventizi erano dislocati in vari monotoni lavori di pulizia. Col passare delle ore erano coinvolti nei ruoli che si sarebbero concretizzati con l'avvento dei carri e dell'uva vendemmiata.
Era dunque il tempo e il momento di imparare a usare gli strumenti, le attrezzature, i macchinari. Supermario Dioca ed Il Biondo cominciavano a prendere dimestichezza con La Sonda e l'Acidità e Il Grado. Chi già della cantina, come Buccia e L'orbo e Il Barba richiedevano aiuto più o meno con la supervisione apparente di Orso. Era così che Bellosguardo e Dialat e Cavallopacato accettavano le braccia volenterose degli ultimi arrivati.
Presto, comunque, tutti si passava alle pedane delle garolle.
Nel mentre, comunque, Lo Spettatore, come altri, aveva fatto la conoscenza della prima porzione della cantina. Le vasche e la loro pulizia erano stata un'esperienza importante. Nella solitudine di quelle camere matrimoniali senza porta, giacché si presentavano esclusivamente due stretti buchi praticabili dalle persone, uno in entrata dabbasso e un altro dallalto, erano frequenti i suoi ragionamenti, il suo domandarsi i perché di certe situazioni, il suo rispondersi da solo a certe domande, il suo concludere asserendo soluzioni.
Così che se ne era uscito, una delle ultime volte, con la convinzione che La Elementare un suo bel comodo lavoro in cantina l'aveva certamente, e che era sufficiente imporle l'unica possibilità di lavoro per lei nel lavare, tutti i santi giorni, le vasche di ogni tipo e genere e dimensione e con ogni tipo di materiale da asportare, dalla semplice rinfrescata all'asportazione energica e prolungata della feccia più appiccicaticcia.
Ecco, all'apparenza era una sentenza ma Lo Spettatore era ben certo di quel che concludeva con quel ragionamento.
(anche in virtù del fatto che Lo Spettatore è sempre stato di poche parole, e sentendosi reclamare sempre più spesso questa sua latitanza la volta che espone forse sarebbe il caso di ascoltare, o sentire, per davvero per bene) – (ma in effetti questo è un altro discorso, e fa parte di una storia ben più lunga e articolata)
E così, passati i primi giorni a fare la conoscenza di persone, luoghi, attrezzature, spazi, divieti, possibilità, giri diversi, Lo Spettatore aveva terminato il suo piccolo viaggio propiziatorio esattamente all'inizio della garolla numero tre, una barca da sversare, Mimmoamerelli alla consolle, e Supermario Dioca a comandare il trattorista.
E lì, tra la tre e la uno, sarebbe stato tutti i turni successivi, per tutti i giorni successivi.
I giorni seguenti erano già stati organizzati bene bene da Bellosguardo con il silente contributo del Barba: erano infatti già esposti e conosciuti a tutti i vari turni di lavoro, che dal secondo giorno in avanti volevano dire 6 o 7 ore oppure 8 o 10 ore giornaliere.
Era così che le giornate di settembre sarebbero trascorse, al ritmo del sonno, colazione veloce, lavoro, pranzo veloce, lavoro, doccia, cena, sonno, senza un attimo di respiro per qualsiasi altro accidente.
E coi giorni a trascorrere pesanti e impegnati e pieni era ben poco il tempo per pensare.
Lo Spettatore a questo punto era pronto a giocarsela tutta. Viveva momenti e sensazioni contrastanti.
Era euforico e carico perché sentiva di potersi esprimere bene e farsi conoscere, partendo da zero era consapevole che mescolate le carte avrebbe comunque potuto scegliere quelle migliori da giocare.
Quindi, come nei primi giorni, aveva continuato a domandare, aveva continuato a interessarsi anche alla più banale curiosità, aveva continuato a proporre idee.
Rimaneva vigile, attento, in attesa di chissà che.
Aveva anche continuato ad ascoltare le opinioni degli altri avventizi, soprattutto quelli che avevano già trascorso le stagioni di vendemmia in quella cantina. Ascoltava in silenzio, senza commentare.
Come quando Bimbomix aveva cominciato a spillare ricordi ed impressioni di quel che sarebbe stato partendo da quel che era stato gli anni passati, lui dall'alto della sua esperienza. Aveva raccontato la propria opinione in merito alla presenza de Il Prof che valutava la qualità dell'uva, che per lui era ben meglio fosse presente, giacché gli scorsi anni l'uva veniva valutata velocemente direttamente alla Sonda dalla Chicca, che da un po' di tempo segretariava in ufficio, e, a detta sua, spesso i voti venivano modificati poi d'ufficio a seconda delle esigenze di cantina o di socio. Vero o falso era comunque una sua opinione.
Bimbomix era sempre assai perplesso mentre si alternava con Mimmoamerelli alla consolle del comando delle garolle.
Bimbomix e Mimmoamerelli erano a tutti gli effetti i coordinatori e responsabili di quanto accadeva prima durante e dopo lo sversamento dell'uva dai carri dei soci. Erano loro a comandare in merito alle esigenze impartite da Nitro detto Tienneti e da Bellosguardo. Con gli anni e le esperienze, e le amicizie, Bimbomix e Mimmoamerelli si erano guadagnati la responsabilità di gestire macchine, maestranze, e terzi. E lo Spettatore sinceramente non è ancora certo che tale responsabilità venisse loro ripagata adeguatamente.
I meno avvezzi, quelli con meno o nessuna esperienza, erano più o meno giustamente attorno e sopra ai carri.
Era così, a causa di queste organizzazioni, che Lo Spettatore aveva la possibilità di conoscere altri avventizi come lui.
Aveva imparato a conoscere e tenere alla distanza giusta Ragazzopersempre, in primo luogo perché sentiva l'impossibilità di scambiare con lui un dialogo degno di questo nome, in secondo luogo ma con importanza elevata per la inettitudine di Ragazzopersempre nel muoversi, giacché sempre in pericolo per se stesso, figuriamoci per i colleghi che malauguratamente si trovassero a impegnarsi con lui nell'opera di pulizia carri.
Aveva conosciuto meglio, per quanto era possibile, Supermario Dioca, sempre pronto alla battuta, sempre pronto a fare robe, volendo a prendere giuste iniziative. Supermario Dioca era del posto, più o meno. Presto Lo Spettatore riconobbe in lui quel personaggio che parla con tutti, con troppi, quelle figure che si lasciano scappare fin troppi commenti con chicchessia, quelle bocche da starci attenti alle parole che gli arrivavano alle orecchie. Dunque, suo malgrado, Lo Spettatore tenne le giuste distanze. Ciò nonostante era disponibile per quanto possibile, e non si tirò indietro quando Supermario Dioca si prensentò al lavoro privo del giusto abbigliamento e non ci pensò troppo prestandogli la propria felpa. Era comunque un collega meritevole di attenzioni, giacché sempre pronto ad aiutare chi al suo fianco.
Lo Spettatore aveva assorbito i sogghigni e le risate a crepapelle di una coppia affiatatissima, se non per il lavoro da svolgere quanto meno per le rime che si declamavano. Broccoli Antonio e Bambino erano proprio una macchietta. Nei momenti di pausa, tra una spazzata e l'altra, si seguivano passo passo per rappare le rime più disparate. Non serviva un argomento in particolare, non c'era mai un filo conduttore perpetuo, erano semplici ispirazioni, buttate lì tra una garolla e l'altra, pronte a fare ridere e perché no riflettere. Improvvisavano rime al ritmo di tum tum col movimento del braccio, era come avessero un vinile in una mano e l'ispirazione nell'altra. Spesso erano in competizione tra loro, ma era palese che non era una gara ma un semplice e puro divertimento, e Lo Spettatore distanza ne sentiva la leggerezza ed era contento per loro.
Era contento anche perché visti in quei momenti sembravano poco avvezzi alla ciclicità del lavoro monotono e faticoso, invece ogni qual volta se ne presentava la necessità erano sempre pronti a farsi in quattro per scaricare in tempi consoni qualsiasi tipo di carro.
Spesso a testa bassa, in silenzio, persi nei propri pensieri.
Alla fine, comunque, dando il giusto onore al merito, Bambino era anni luce avanti a Broccoli Antonio nell'abilità di sciorinare rime rappate qualsiasi fosse il personaggio da deridere o da sorridere. Anche Lo Spettatore fu protagonista di alcune strofe, e solo dopo diverse insistenze era riuscito ad ascoltarle, e ne aveva riso e si era complimentato con Bambino per quella sua destrezza.
Aveva raccolto quanto fosse lontana da lui la timidezza che lo distingueva in passato in determinate occasioni, aveva raccolto il suo non essere permaloso a differenza di certe sentenze troppo frettolosamente attribuitegli, ed aveva elogiato e stimolato Bambino a perseguire quel suo dono, peraltro allenatissimo.
Lo Spettatore aveva modo di chiacchierare poco con Il Biondo, giovane quasi aitante novello universitario, con lo sguardo carico delle ingenuità del suo carattere, e certi ragionamenti tipici di chi svolta la pagina dello studio obbligatorio verso le pagine bianche dei corsi da seguire in orari e cadenze non conosciute, pagine tutte da scrivere daccapo, pagine spesso sprovvedute lasciate aperte al rimandare ancora l'entrata nel mondo dei grandi.
Tutti ragionamenti dello Spettatore, questi, lontanissimi dalla sua idea della Chicca, dottoressa e non solo, visto che a parer suo certe pagine non le ha volute nemmeno prendere in considerazione quando era stato il suo momento.
Il Macchia era ovunque. Nonostante fosse partecipe dei turni alle garolle, spesso, era comunque richiesto a destra e a manca, da Buccia o da L'Orbo, era spesso lontano dai carri e dagli sversamenti d'uva. Ma quando c'era era uno spettacolo osservarlo. Lo Spettatore cercava di mettersi in posizione favorevole per osservarlo al meglio. Aveva anche assistito a un esubero da parte di Mimmoamerelli, il quale volle fotografare o filmare Il Macchia durante i suoi tipici movimenti coordinatissimi. Alla fine, comunque, a ben vedere, aveva ragione lui: Il Macchia non sforzava mai la schiena ma impostava la posizione di fatica sfruttando la sua forza nelle gambe, o all'occorrenza delle braccia; la schiena del Macchia raramente fletteva a favore dell'obiettivo della fatica, ma era per lo più ritta sopra alle anche che si muovevano in merito alle flessioni delle gambe. Il Macchia era uno spettacolo, e Lo Spettatore, avesse avuto possibilità, avrebbe votato per lui.
In qualche poche occasioni avevano pure scambiato alcune parole, discorsi diversi, di problematiche lontane tra loro, ma erano piuttosto monologhi ai quali Lo Spettatore sapeva sottrarsi solo se era vicino il fine turno o se era incombente un lavoro da svolgere. Cioè, spesso, come altri, anche Lo Spettatore scappava letteralmente dalle sue vicinanze.
Il Macchia, da lui stesso asserito, era un lavoratore solitario, un po' per carattere un po' per esigenze naturali. D'altronde, lui stesso raccontava le proprie esperienze cantiniere come continui lavaggi di vasche, sopra sotto dentro fuori ma soprattutto dentro e dentro e ancora dentro.
Ecco che alcune teorie si allineavano alla pratica. Spesso Il Macchia lavorava in solitaria; anche quando era alle garolle.
A volte, in chiusura di giornata, chi era rimasto lontano dalle garolle intento in altri importanti impegni prestava gli ultimi minuti di turno a chi per tutto il giorno aveva tenuto in mano scope e spazzoloni e badili e.
La giornata si concludeva sempre col lavaggio di garolla, la vasca la coclea la pigiatrice la pedana e tutto quello che poteva essere inondato e lavato con acqua sparata a pressione tramite l'apposita gomma.
La gomma era ovunque in cantina. Si trattava di tranci di tubo verosimilmente telato atti a poter lavare qualsiasi angolo della stessa. Ne va da se che c'erano pochi rubinetti senza innestata la gomma, e non c'era muro o corsia o piano dove non fosse presente almeno un rubinetto d'acqua corrente.
Il lavaggio serale però veniva effettuato con una gomma tutta particolare: era a pressione. Era necessario aprire l'acqua (o accendere come usava dire in cantina) ed accendere (davvero) il compressore cosicché dalla pistola al capo della gomma uscisse acqua a pressione elevata tale da permettere lo scostamento dei residui zuccherini dell'uva, di rami e foglie rimaste incastrate nella coclea, e delle bucce rimaste all'interno della pigiatrice rotante.
A volte, in chiusura di giornata, Lo Spettatore aveva modo di ammirare altri tipi di colleghi, dai quali teneva distanze e rispetto in ugual misura. Cantinieri con esperienza, con diverse stagioni sulle spalle. Capaci di ricordare a memoria ogni piccola incombenza e ogni piccolo passaggio allo spegnimento delle garolle. In particolare modo erano in grado di gestire le tre pompe con ampi gesti al consoller di turno, che dall'alto della sua posizione diramava gli ultimi ordini. La pompa della garolla tre, più moderna ma più complessa, era un insieme di passaggi degni di un'alchimia da sottomarino. Gira qui, apri là, lava sopra, sposta qua, apri nel verso giusto la valvola, richiudi al momento opportuno la valvola. Ecco, la fortuna dello Spettatore è stata assistere alla pulizia/spegnimento della pompa tre già la prima sera, quando ancora chi faceva cosa spiegava (a modo suo che nessun insegnante mi disprezzi se utilizzo questo termine) ai novelli avventizi ogni singolo passaggio. Quindi, per fortuna, Lo Spettatore aveva assistito al primo ritorno di pompa, cioè al rigetto che la pompa spruzzava in alto al termine delle operazioni.
C'è da dire che degli scherzi ne furono fatti, in giro per la cantina, e uno in particolare era inevitabilissimo.
La sera che Il Biondo andò ad aiutare la chiusa garolle venne invitato a controllare bene soprattutto la pulizia della numero tre. Quando a fine lavori venne invitato a sporgersi nei pressi della pompa e venne inondato dal getto di ritorno della pompa, bagnato da capo ai piedi la prese in ridere, la prese bene, e a parer dello Spettatore non diede nemmeno troppa soddisfazione a quelli che lo misero in scacco.
Lo Spettatore, riflettendo, si disse certo che quel ragazzo biondo avrebbe avuto da stare attento nei suoi prossimi passi nel proprio mondo.
Una sera, stanco dai troppi troppissimi carri arrivati durante la giornata, Lo Spettatore ebbe modo di osservare da vicino il lavoro del Barba, ragazzo appena confermato fisso alla cantina con alle spalle diverse stagioni di vendemmia. La sapeva lunga Il Barba, era capace, molto, ed era palpabile che sapeva come dove quando eccedere e allo stesso modo quando ritrarsi, dai doveri dalle fatiche e dalle compagnie. Era sorridente, ma anche cupo. Aveva intrecciato buoni rapporti con Orso e con Bellosguardo, non disdegnava Dialat, anzi spesso erano in coppia, ed era tangibile il suo manovrare la manodopera a sua discrezione.
Allo Spettatore era palese che la cantina dalla parte degli operai, o cantinieni, era in mano a tre personaggi tre.
Mentre dalla parte di là, fin troppo lontano, erano Nitro detto Tienneti e Il Preside a dirigere i ritmi. Nella parte di là erano presenti alcune zone ben distinte, a parte l'ufficio.
La Celata era stata incaricata di accettare e salutare i carri, cioè di pesare i carri in entrata e di pesare i carri in uscita. Esisteva un documento, utilizzato successivamente dal Biondo o da Supermario Dioca alla Sonda, e dal Prof alle garolle, che ne attestava l'adempimento. Ascoltando voci di corridoio Lo Spettatore se ne faceva un'idea che al termine del mese era ben diversa da quella dell'inizio. Quando si dice non sempre le prime impressioni sono quelle giuste. Aveva parlato con lei la prima sera, quando Il Preside impose una riunione di benvenuto con tanto di bevute e mangiate. Avevano scambiato due sorrisi due e qualche parola in merito all'inizio dell'avventura, ignari entrambi di quel che sarebbe stato esattamente. Gli era risultata simpatica, finanche propositiva. Era dunque fuor di dubbio che la scelta ricaduta su di lei fosse una scelta azzeccata. Niente di tutto questo però si venne a confermare durante i trenta giorni di settembre, al termine dei quali, saputo sempre da voci di corridoio, lei era arrivata a stento, rischiando più volte il pre-licenziamento. Che alla fine, in sostanza, era un peccato per lei, poiché col suo maldestro fare aveva bruciato una buona buonissima occasione di impiego.
L'altra stagionale, non assunta ma in stage accademico o qualcosa del genere, era La Mavalà, giovine studentessa alla ricerca di punteggi da iscrivere nel personale curriculum. Addetta al negozio di vendita, di vino, e simili. Dunque, basta poco per immaginare che durante il periodo di vendemmia di vino non ce ne fosse un'enormità, da vendere si intende. Cioè, sarebbe come andare dal salumiere ed aspettarsi una buon salame stagionato proprio nel periodo di macellazione del maiale: i tempi non collimano bene. Quindi, per farla breve, il suo impegno non era così, come dire, impegnativo. Aveva molti tempi morti, dicono sempre i corridoi. E pare che a ogni proposta nuova o iniziativa diversa dalla normale noiosa routine, lei facesse tipo spallucce e rifiutasse ogni ulteriore minimo sforzo. E' dunque facile pensare come Il Preside e Nitro detto Tienneti non gradissero molto spendere il proprio tempo nella sua gestione, ed hanno lasciato scemare le sue non iniziative fino allo scadere dei termini.
L'ufficio in sé, lontanissimo ma non esente dal chiasso della vendemmia, era quindi strutturato con la presenza di quattro persone. Detto de Il Preside a dirigere tutto e tutti ma anche no, e di Nitro detto Tienneti a scegliere come dove e quando selezionare un tipo di uva piuttosto che un altro, erano presenti anche due figure femminili, oltre a quelle temporanee alla pesa e al negozio.
Voci di corridoio, sempre le stesse, davano come agognato il periodo di vendemmia per la possibilità di allontanare La Elementare, se pur temporaneamente. Era dunque stata posta all'alternanza con La Celata alla gestione della pesa.
Lo Spettatore non aveva modo di lavorare con lei, erano dunque le solite voci di corridoio che lo ragguagliavano in merito alle varie situazioni che venivano a crearsi col passare dei giorni.
L'opinione non era per nulla cambiata, e si concentrava in lui l'idea che il lavoro di pulizia delle vasche era veramente adatto alla Elementare, in quanto minuta come era non avrebbe certo avuto difficoltà nell'entrata e nell'uscita.
La Chicca era a conoscenza di ogni cosa, di ogni persona, di ogni lavoro, di ogni movimento. Ovviamente quelli ufficiali, ma va da sé che avendo a che fare con tutte le persone presenti dentro e fuori la cantina era palese la sua consapevolezza di come girassero le cose in tutti i luoghi.
Anche se non lo avrebbe mai detto di sapere di chi, di cosa, o il perché, se non fosse stato strettamente necessario. Era molto professionale, agli occhi dello Spettatore appariva come una bravissima professionista. La cultura che trapelava col suo incedere era palese, i suoi sorrisi non mancavano mai ai ragionamenti che lo necessitassero, e neppure gli sguardi seri non venivano lesinati nei momenti opportuni.
Chiamare La Chicca segretaria è come chiamare automobilista un pilota di formula uno: asserire riduttivo sarebbe poco.
Era molto di più, proprio per quanto emerso in quel mese, e prima e dopo, Lo Spettatore non potrebbe mai parlarne in malo modo.
Era affascinato dalla sua presenza. Era.

Per Lo Spettatore la parte più gratificante era stata senz'altro l'aver avuto la possibilità di mettersi in gioco.
Alla fine di agosto erano esattamente dodici mesi di assenza da un lavoro giornaliero “serio”. Di lì a poco avrebbe avuto di nuovo a che fare col lavoro vero, dal mattino alla sera. Era pronto a mettersi in competizione, ma anche no conoscendosi il carattere, con le altre persone. Sapeva di partire da zero, o quasi. Era ignorante di ogni passo da fare. Era pronto a camminare un passo alla volta, cercando di non inciampare. Era pronto a mettere la propria curiosità al servizio della cantina e della sua presenza.
Era pronto a giocarsela.
Era pronto a mettersi in gioco.
Guardava tutto. Osservava tutti. Non risparmiava parole a nessuno, ed ascoltava tutti.
Era carico, pronto a scattare, anche se pronto con la mano sulla leva del freno perché in certi momenti era meglio non esagerare.
Era pronto a ogni evenienza, a ogni piccolo mestiere da sostenere.
Quando in un momento di pausa era chinato a osservare l'andamento dell'uva correre con le onde create dalla sua caduta nella garolla, gli venne in mente come poter evitare certi sprechi di materiale e di tempo e di pulizia. Aveva preso un foglio, una biro, aveva disegnato grosso modo l'idea, e l'aveva fatta proporre al Preside.
Il Preside era una buona persona da ascoltare, nonostante i suoi punti di vista fin troppo radicali o radicati.
Ci parlava bene con lui. Era un piacere scambiare delle parole, prima e dopo il periodo di vendemmia. Era stato motivo di accrescimento per Lo Spettatore. Era riuscito a parlare apertamente di ogni argomento, liberamente, entrambi col proprio punto di vista, e rispettandosi nei ruoli. Lo Spettatore era certo di avere trovato una persona schietta, come poche se ne trovano. In modo particolare che riescono a capire quando eccedere e quando invece tergiversare. Spesso era capitato che Lo Spettatore e Il Preside si raccontassero robe spiegandosi dove volevano arrivare, e alla fine ci arrivavano sempre a quello stesso punto di conclusione.
Poi, certo, alcuni episodi durante settembre, o circa lì, hanno lasciato l'amaro in bocca allo Spettatore.
Come l'imposizione di nuove tabelle di turni, obbligando alcuni incolpevoli avventizi alla metà di ore da lavorare a causa di maldestri comportamenti di taluni. Taluni che successivamente non furono mai sanzionati come dalle sentenze del momento. Anzi, tutt'altro.
In quell'occasione Lo Spettatore mise da parte ogni minima timidezza ed affrontò il momento di petto. Prese iniziativa, per sé e per i colleghi più diretti. Chiese informazioni direttamente dalla direzione. E ne segui una presa di posizione organizzata in turni. A volte a lui favorevoli.
Ed infine, ma non fu l'ultima, la questione delle conferme per i mesi successivi a settembre. Al modesto e personale parere dello Spettatore, le cose sarebbero potuto, e dovuto andare diversamente.
Nemmeno per sé, bensì per gli altri che come lui furono eliminati in favore di una prudenza mai capita.
Anche perché, a ben riflettere, ci furono manovre in stile mafioso, di conoscenze, di amicizie, di minacce velate ma non troppo, e di recriminazione concrete.

Lo Spettatore aveva concluso la sua prima stagione di vendemmia con una delusione, ma rafforzato nello spirito, nelle voglie, nel giocarsi, nel non nascondersi, nel proporsi.
Nel cercarsi ancora una volta.
Nel ritrovarsi. Uguale ma diverso.

Le conclusioni dello Spettatore sono poche:

La prima che ha imparato? Che il vino si fa ANCHE con l'uva.
L'ultima? Che il merito non è visto nel modo migliore.
Si deve continuare per la propria strada, per il proprio credo.
Per il resto, poi, si passa oltre, che altrimenti è finita per davvero.